Presentazione del libro “La mia vita è un romanzo” nel carcere di Catanzaro
Un’occasione da quelle da non perdere.
Un momento importante.
La presentazione, presso la Casa Circondariale di Catanzaro, il 23 febbraio, del libro di Eugenio Masciari, “La mia vita è un romanzo” –“Edizioni La rondine”- che ha raccolto i racconti e le riflessioni dei detenuti dell’Alta Sicurezza 1 che, lo scorso anno, hanno partecipato ad un laboratorio di scrittura creativa tenuto da Eugenio Masciari appunto.
Voglio per un momento ricordare il nome di tutti i detenuti che hanno partecipato a questo corso:
Raffaele Afeltra, Antonio Albanese, Francesco Annunziata, Claudio Conte, Pasquale De Feo, Rocco Donadio, Giovanni Farina, Vincenzo Furnari, Salvatore Giuliano, Alessandro Greco, Mario Lo Russo, Luigi Mancuso, Rocco Moretti, Antonio Rizzo, Gianfranco Ruà, Fabio Valenti.
Eugenio Masciari, attore, regista, scrittore, ha dato un’impronta originale all’opera andando al di là dei classici binari della scrittura creativa, spingendosi fino ai confini della trascendenza, e della riflessione sulla stessa struttura della materia, oltre a ricorrere all’ispirazione di “pesi massimi “come Sofocle, Platone, Shakesperare, Gesù. Ma il libro porta a confronti su temi decisivi per tutti, ma che si colorano di una gradazione particolare in carcere, come la libertà, la colpa, la responsabilità, la coscienza.
Arrivo verso le 15:30 nel carcere di Siano, dopo avere attraversato il quartiere Siano di Catanzaro Nord. Il carcere di Siano sarebbe adattissimo per un film sulle carceri, intese come territorio oltre, imponente, cupo, grigio come quei soffocanti edifici dell’edilizia popolare del realismo sovietico.
Una volta entrato nella “fortezza Siano”, in pochi minuti, dopo avere ottemperato alle necessarie formalità, sono nella sala teatrale del carcere. I relatori sono già seduti, e la sala segue una non esplicitata, ma evidente linea di divisione. I detenuti nella seconda metà della sala. Giornalisti, autorità e funzionari del carcere, parenti dei relatori o altri, nella prima.
La prima nota stonata riguarda i detenuti appunto. Perché i detenuti presenti, non sono gli autori del libro. Gli autori fanno parte dell’Alta Sicurezza 1. Come ormai sapete, per il cervellotico sistema penitenziario italiano, i “mondi” carcerari interni non si possono “mischiare”. Gli Alta Sicurezza 1 possono stare solo con gli Alta Sicurezza 1, gli Alta Sicurezza 2 solo con gli Alta Sicurezza 2, i media sicurezza solo con i media sicurezze, e via così. Questo non è un problema del carcere di Catanzaro. E’ un problema nazionale, di disciplina penitenziaria. A quel punto la Direzione del carcere di Catanzaro ha preferito ospitare i detenuti di una sezione che non comprendeva gli autori del libro, ma che erano più numerosi (circa un centinaio presenti in sala), al fine, credo, di permettere a un maggior numero di detenuti di assistere alla presentazione, rispetto a come sarebbe stato se ad assistervi fossero stati solo gli Alta Sicurezza 1, circa una ventina. Logica comprensibile, ma che lascia l’amaro in bocca perché in una presentazione sembrerebbe la prima cosa che vi fossero coloro che hanno contribuito a crearlo il libro.
A salutare i partecipanti è stata la Direttrice con un breve discorso, nel quale fa anche riferimento al fatto che si sta cercando di fare in modo che i detenuti possano partecipare ad attività, che li tengano il più possibile fuori dalle celle.
L’incontro, poi, si è svolto con una modalità “alternata”. I brani, tratti dal libro, letti dall’attrice Anna Macrì, si alternavano agli interventi dei conferenzieri.
Vi dico subito che, tranne per l’intervento finale dello stesso Eugenio Masciari, l’incontro ne avrebbe guadagnato se fosse stato in gran parte incentrato sulla lettura dei brani del libro, visto che gli interventi, in molti frangenti sono stati privi di mordente, quando non, addirittura, “lunari”.
I relatori, comunque erano, il vescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone.
Il nuovo Presidente del Tribunale di Sorverglianza di Catanzaro, Maria Antonietta Onorati.
Il vicario del Provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Rosario Tortorella.
E lo stesso Eugenio Masciari.
Il vescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, ha esordito con un intervento interessante, dove sottolineava il suo stupore per il fatto che di certi temi, come la libertà, la coscienza, la responsabilità, l’anima “bisogna venire in carcere per parlarne”. Il suo intervento è stato sicuramente colto e raffinato, e non privo di una sincera riflessione etica. Ma, è mancato il colpo d’ala, l’afflato poetico, il pathos, il momento della “nobile indignazione”. Il vescovo dice una cosa vera quando sostiene “che si deve imparare a chiedere perdono e ad ammettere i propri limiti ed i propri errori”. E’ di decisiva importanza riuscire a farlo. Ma quelle parole, a parere mio, sarebbero dovute seguire ad un intervento di forte denuncia del sistema del carcere, un intervento carico di indignazione e “spirito profetico” che il Vescovo avrebbe dovuto fare, e che invece si è ben guardato dal fare. Un intervento piacevole, interessante ed “ecumenico” insomma, ma senza coraggio, senza pathos, senza colpi d’ala.
L’intervento di Maria Antonietta Onorati, nuovo presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, ha avuto un momento che merita sincero apprezzamento, quando è stato riconosciuto che l’ergastolo è una pena inumana che “limita il principio costituzionale del fine rieducativo della pena”. Un’affermazione chiara e sacrosanta, ma che non sempre viene fatta, con altrettanta chiarezza, in questi casi. Invece mi hanno lasciato perplesso alcune dichiarazione della Onorati, che si incentravano sull’idea, così l’ho percepita, di “totale” responsabilità del detenuto. In sostanza il detenuto è in carcere perché se lo merita, perché ha sbagliato, ed è pienamente “responsabile” della situazione in cui si trova. E’ vero che un livello di responsabilità personale va sempre tenuto presente. Ma andrebbe ricordato che, in tanti casi almeno, questo livello si aggiunge a fattori famigliari, ambientali ed esperienziali pesantissimi che incidono sul percorso che portano quell’essere umano al carcere. Porla tutto sul piano del libero arbitrio e dimenticare gli altri fattori, credo sia un po’ limitante.
L’intervento del vicario del Provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Rosario Tortorella, è stato invece letteralmente imbarazzante. Un misto di retorica, sminuimento dei problemi, e affermazioni “lunari”. Il carcere viene sostanzialmente raccontato come un luogo “duro ma giusto”. Il problema dell’ergastolo viene lambito con una vaga disapprovazione, aggiunta alla considerazione che però finché l’emergenza criminale continua, è difficile pensare a cambiamenti in tal genere. Ma i momenti più allucinanti sono stati due. Quando il vicario del Provveditore ha detto che “questo libro dimostra che in realtà il carcere fondamentalmente funziona, ed agisce in maniera positiva sui detenuti”, con un salto logico che trasforma l’eccezione in regola. Il fatto che accade una certa cosa non significa che sia prassi che quel tipo di cose accadono, può anche trattarsi di una fortunata eccezione, o di una tendenza minoritaria. L’altro suo intervento “impressionante” è stato quando ha detto che “si dice che il carcere è disumano.. certo non dovrebbe esserlo.. ma la ricordiamo la disumanità di chi commette un reato.. ed è umano fare un omicidio, non è disumano?” Avrei voluto dirgli, che a livello di Ordinamento non importa se un atto sociale sia disumano. L’intervento “pubblico” (di qualunque tipo, specie se rivolto a persone in condizione “sensibile”) non deve essere MAI disumano, a prescindere se siano stati compiuti o no, atti disumani privati.
Come ultimo è intervenuto Eugenio Masciari, un bell’intervento, lucido, equilibrato ed impregnato di emozione. Non è stato un intervento lungo, e neanche emotivamente sopra le righe. L’intensità emozionale si avvertiva nei modi, e nei gesti. Un libro questo che è sicuramente diventato, anche per come è nato e per quello che simboleggia, parte integrante della sua stessa esistenza. Una delle affermazioni con cui ha esordito è di quelle che ti restano impresse e che, in un certo senso, destabilizzano.
“Ognuno di noi dipende, in qualche modo, da qualcun altro, anche qui in carcere, le guardie rendono conto al comandante, lo stesso Direttore deve confrontarsi e rendere conto ad altri. Ognuno di noi nella nostra vita rende anche conto a qualcuno. Non dimenticherò quando incontrando un detenuto che aveva ricevuto l’ergastolo ostativo, mi disse che, quando lo aveva saputo si era sentito, finalmente libero.. <<tutti gli altri hanno paura che gli possa succedere qualcosa, che qualcuno possa loro fare qualcosa, Io non ho più paura di nulla. Nessuno mi può più fare nulla. Non dipendo più da nulla. Sono libero>>”.
Affermazione coraggiosa questa da fare proprio dentro un carcere, e che sicuramente non tutti hanno capito fino in fondo o accettato fino in fondo. Ma che, credo, vuole anche essere una riflessione profonda sul senso dei condizionamenti e della libertà, che a volte, può manifestarsi, soprattutto dove meno te l’aspetti.
Le letture hanno rappresentato un momento altissimo. Alcuni degli autori dei testi letti…Mario Lo Russo, Salvatore Giuliano,Francesco Annunziata, Claudio Conte, Giovanni Farina, Pasquale De Feo, L’attrice Anna Macrì all’inizio era professionale, ma leggendo è diventata anche sempre di più capace di rendere l’energia emozionale dei testi, capacità che è cresciuta sempre di più, e ha trovato riscontri nel pubblico, tanto nei “liberi”, e ancora di più nei detenuti presenti. Credetemi, ogni brano letto andrebbe riportato, dovreste leggerlo anche voi, sono state tutte pagine splendide. Ma i limiti inevitabili di questo post mi impediscono di riportare tutto. Riprenderò quei brani in altri post. A livello simbolico, riporterò una parte di quello di Pasquale De Feo, uno degli ultimi ad essere stati letti, e quello sbatte in faccia ai presenti la realtà della situazione carceraria degli ergastolani, e che è, allo stesso tempo, un invito alla dignità e alla lotta.
Tutte le persone hanno la loro prigione, non tutti lo sanno, molti se la sono costruiti da soli, altri sono prigionieri della società, la maggioranza dell’ignoranza. Uscirne è molto difficile perché certi contesti sono così radicati da sembrare delle montagne. Noi detenuti, nella stragrande maggioranza siamo due volte prigionieri; castrati fisici e sessuali e il sistema ci vorrebbe anche castrati mentalmente. Castrati fisici perché prigionieri delimitati di uno spazio ristretto; castrati sessuali perché non abbiamo una vita sessuale, pertanto prigionieri con la costrizione della castità. Il sistema fa di tutto per renderci castrati mentalmente, con la paura, ritorsioni, pressioni di ogni tipo e in alcuni casi con la tortura, in modo da poterci controllare senza problemi, ridurci ad una specie di vegetali. Per fortuna siamo in un Paese democratico con le libertà civili, in caso contrario cosa ci avrebbero fatto?
Gli ergastolani vivono un eterno presente e non potendo avere un futuro evitano anche di progettarlo, spesso si evita di pensare al passato perché è fonte di ricordi dolorosi. Questa pena ci rende dei morti viventi, civilmente ci hanno ucciso, ma ancora vivi, essendo esseri viventi. La maggioranza di noi del Corso di scrittura siamo ergastolani ostativi e pertanto dobbiamo morire in carcere, anche se la società conosce una realtà artificiosa alimentata dai media, per la quale l’ergastolo non esiste, perché nessuno lo sconta. Se non c’è, perché non lo aboliscono? Pochi hanno questa consapevolezza, la maggioranza s’illude in una speranza futura di cambiamenti, credo sia più per tirare avanti, per evitare il rischio di impazzire o lasciarsi andare. Comprendo che è difficile vivere con la certezza di questo pesante fardello, aspettare la morte, che può portare al suicidio, alla pazzia, scivolare nell’oblio in cui nulla più importa, oppure forgiare un carattere di ferro.
La mia speranza è tutta nella lotta per cambiare le cose, lottare per superare l’ostacolo che mi tiene inchiodato a queste catene. Fino a quando avrò la forza lotterò per cercare di fare abolire l’ergastolo, una pena non umanamente accettabile. La mia speranza è solo nella lotta.
Alla fine della presentazione, ci alziamo tutti. Arrivati nei pressi dell’uscita le guardie ci restituiscono cortesemente carta d’identità, cellulari, ombrelli. Il cielo fuori è di un grigio quasi soffocante, le macchine partono, verso altre destinazioni. Qualcun altro invece resta dentro, a passare un’altra serata, tra le mura di una fortezza, dalle parti di Siano.