Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

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Presentazione del libro “La mia vita è un romanzo” nel carcere di Catanzaro

Un’occasione da quelle da non perdere.

Un momento importante.

La presentazione, presso la Casa Circondariale di Catanzaro, il 23 febbraio, del libro di Eugenio Masciari, “La mia vita è un romanzo” –“Edizioni La rondine”- che ha raccolto i racconti e le riflessioni dei detenuti dell’Alta Sicurezza 1 che, lo scorso anno, hanno partecipato ad un laboratorio di scrittura creativa tenuto da Eugenio Masciari appunto.

Voglio per un momento ricordare il nome di tutti i detenuti che hanno partecipato a questo corso:

Raffaele Afeltra, Antonio Albanese, Francesco Annunziata, Claudio Conte, Pasquale De Feo, Rocco Donadio, Giovanni Farina, Vincenzo Furnari, Salvatore Giuliano, Alessandro Greco, Mario Lo Russo, Luigi Mancuso, Rocco Moretti, Antonio Rizzo, Gianfranco Ruà, Fabio Valenti.

Eugenio Masciari, attore, regista, scrittore, ha dato un’impronta originale all’opera andando al di là dei classici binari della scrittura creativa, spingendosi fino ai confini della trascendenza, e della riflessione sulla stessa struttura della materia, oltre a ricorrere all’ispirazione di “pesi massimi “come Sofocle, Platone, Shakesperare, Gesù. Ma il libro porta a confronti su temi decisivi per tutti, ma che si colorano di una gradazione particolare in carcere, come la libertà, la colpa, la responsabilità, la coscienza.

Arrivo verso le 15:30 nel carcere di Siano, dopo avere attraversato il quartiere Siano di Catanzaro Nord. Il carcere di Siano sarebbe adattissimo per un film sulle carceri, intese come territorio oltre, imponente, cupo, grigio come quei soffocanti edifici dell’edilizia popolare del realismo sovietico.

Una volta entrato nella “fortezza Siano”, in pochi minuti, dopo avere ottemperato alle necessarie formalità, sono nella sala teatrale del carcere. I relatori sono già seduti, e la sala segue una non esplicitata, ma evidente linea di divisione. I detenuti nella seconda metà della sala. Giornalisti, autorità e funzionari del carcere, parenti dei relatori o altri, nella prima.

La  prima nota stonata riguarda i detenuti appunto. Perché i detenuti presenti, non sono gli autori del libro. Gli autori fanno parte dell’Alta Sicurezza 1. Come ormai sapete, per il cervellotico sistema penitenziario italiano, i “mondi” carcerari interni non si possono “mischiare”. Gli Alta Sicurezza 1 possono stare solo con gli Alta Sicurezza 1, gli Alta Sicurezza 2 solo con gli Alta Sicurezza 2, i  media sicurezza solo con i media sicurezze, e via così. Questo non è un problema del carcere di Catanzaro. E’ un problema nazionale, di disciplina penitenziaria. A quel punto la Direzione del carcere di Catanzaro ha preferito ospitare i detenuti di una sezione che non comprendeva gli autori del libro, ma che erano più numerosi (circa un centinaio presenti in sala), al fine, credo, di permettere a un maggior numero di detenuti di assistere alla presentazione, rispetto a come sarebbe stato se ad assistervi fossero stati solo gli Alta Sicurezza 1, circa una ventina. Logica comprensibile, ma che lascia l’amaro in bocca perché in una presentazione sembrerebbe la prima cosa che vi fossero coloro che hanno contribuito a crearlo il libro.

A salutare i partecipanti è stata la Direttrice con un breve discorso, nel quale fa anche riferimento al fatto che si sta cercando di fare in modo che i detenuti possano partecipare ad attività, che li tengano il più possibile fuori dalle celle.

L’incontro, poi, si è svolto con una modalità “alternata”. I brani, tratti dal libro, letti dall’attrice Anna Macrì, si alternavano agli interventi dei conferenzieri.

Vi dico subito che, tranne per l’intervento finale dello stesso Eugenio Masciari, l’incontro ne avrebbe guadagnato se fosse stato in gran parte incentrato sulla lettura dei brani del libro, visto che gli interventi,  in molti frangenti sono stati privi di mordente, quando non, addirittura, “lunari”.

I relatori, comunque erano, il vescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone.

Il nuovo Presidente del Tribunale di Sorverglianza di Catanzaro, Maria Antonietta Onorati.

Il vicario del Provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Rosario Tortorella.

E lo stesso Eugenio Masciari.

Il vescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace, Vincenzo Bertolone, ha esordito con un intervento interessante, dove sottolineava il suo stupore per il fatto che di certi temi, come la libertà, la coscienza, la responsabilità, l’anima “bisogna venire in carcere per parlarne”. Il suo intervento è stato sicuramente colto e raffinato, e non privo di una sincera riflessione etica. Ma, è mancato il colpo d’ala, l’afflato poetico, il pathos, il momento della “nobile indignazione”. Il vescovo dice una cosa vera quando sostiene “che si deve imparare a chiedere perdono e ad ammettere i propri limiti ed i propri errori”. E’ di decisiva importanza riuscire a farlo. Ma quelle parole,  a parere mio, sarebbero dovute seguire ad un intervento di forte denuncia del sistema del carcere, un intervento carico di indignazione e “spirito profetico” che il Vescovo avrebbe dovuto fare, e che invece si è ben guardato dal fare. Un intervento piacevole, interessante ed “ecumenico” insomma, ma senza coraggio, senza pathos, senza colpi d’ala.

L’intervento di Maria Antonietta Onorati, nuovo presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro, ha avuto un momento che merita sincero apprezzamento, quando è stato riconosciuto che l’ergastolo è una pena inumana che “limita il principio costituzionale del fine rieducativo della pena”. Un’affermazione chiara e sacrosanta, ma che non sempre viene fatta, con altrettanta chiarezza, in questi casi. Invece mi hanno lasciato perplesso alcune dichiarazione della Onorati, che si incentravano sull’idea, così l’ho percepita, di “totale” responsabilità del detenuto. In sostanza il detenuto è in carcere perché se lo merita, perché ha sbagliato, ed è pienamente “responsabile” della situazione in cui si trova. E’ vero che un livello di responsabilità personale va sempre tenuto presente. Ma andrebbe ricordato che, in tanti casi almeno, questo livello si aggiunge a fattori famigliari, ambientali ed esperienziali pesantissimi che incidono sul percorso che portano quell’essere umano al carcere. Porla tutto sul piano del libero arbitrio e dimenticare gli altri fattori, credo sia un po’ limitante.

L’intervento del vicario del Provveditore regionale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Rosario Tortorella, è stato invece letteralmente imbarazzante. Un misto di retorica, sminuimento dei problemi, e affermazioni “lunari”. Il carcere viene sostanzialmente raccontato come un luogo “duro ma giusto”. Il problema dell’ergastolo viene lambito con una vaga disapprovazione, aggiunta alla considerazione che però finché l’emergenza criminale continua, è difficile pensare a cambiamenti in tal genere. Ma i momenti più allucinanti sono stati due. Quando il vicario del Provveditore ha detto che “questo libro dimostra che in realtà il carcere fondamentalmente funziona, ed agisce in maniera positiva sui detenuti”, con un salto logico che trasforma l’eccezione in regola. Il fatto che accade una certa cosa non significa che sia prassi che quel tipo di cose accadono, può anche trattarsi di una fortunata eccezione, o di una tendenza minoritaria. L’altro suo intervento “impressionante” è stato quando ha detto che “si dice che il carcere è disumano.. certo non dovrebbe esserlo.. ma la ricordiamo la disumanità di chi commette un reato.. ed è umano fare un omicidio, non è disumano?” Avrei voluto dirgli, che a livello di Ordinamento non importa se un  atto sociale sia disumano. L’intervento “pubblico” (di qualunque tipo, specie se rivolto a persone in condizione “sensibile”) non deve essere MAI disumano, a prescindere se siano stati compiuti o no, atti disumani privati.

Come ultimo è intervenuto Eugenio Masciari, un bell’intervento, lucido, equilibrato ed impregnato di emozione. Non è stato un intervento lungo, e neanche emotivamente sopra le righe. L’intensità emozionale si avvertiva nei modi, e nei gesti. Un libro questo che è sicuramente diventato, anche per come è nato e per quello che simboleggia, parte integrante della sua stessa esistenza. Una delle affermazioni con cui ha esordito è di quelle che ti restano impresse e che, in un certo senso, destabilizzano.

“Ognuno di noi dipende, in qualche modo, da qualcun altro, anche qui in carcere, le guardie rendono conto al comandante, lo stesso Direttore deve confrontarsi e rendere conto ad altri. Ognuno di noi nella nostra vita rende anche conto a qualcuno. Non dimenticherò quando incontrando un detenuto che aveva ricevuto l’ergastolo ostativo, mi disse che, quando lo aveva saputo si era sentito, finalmente libero.. <<tutti gli altri hanno paura che gli possa succedere qualcosa, che qualcuno possa loro fare qualcosa, Io non ho più paura di nulla. Nessuno mi può più fare nulla. Non dipendo più da nulla. Sono libero>>”.

Affermazione coraggiosa questa da fare proprio dentro un carcere, e che sicuramente non tutti hanno capito fino in fondo o accettato fino in fondo. Ma che, credo, vuole anche essere una riflessione profonda sul senso dei condizionamenti  e della libertà, che a volte, può manifestarsi, soprattutto dove meno te l’aspetti.

Le letture hanno rappresentato un momento altissimo. Alcuni degli autori dei testi letti…Mario Lo Russo, Salvatore Giuliano,Francesco Annunziata, Claudio Conte, Giovanni Farina, Pasquale De Feo, L’attrice Anna Macrì all’inizio era professionale, ma leggendo è diventata anche sempre di più capace di rendere l’energia emozionale dei testi, capacità che è cresciuta sempre di più, e ha trovato riscontri nel pubblico, tanto nei “liberi”, e ancora di più nei detenuti presenti. Credetemi, ogni brano letto andrebbe riportato, dovreste leggerlo anche voi, sono state tutte pagine splendide. Ma i limiti inevitabili di questo post mi impediscono di riportare tutto. Riprenderò quei brani in altri post. A livello simbolico, riporterò una parte di quello di Pasquale De Feo, uno degli ultimi ad essere stati letti, e quello sbatte in faccia ai presenti la realtà della situazione carceraria degli ergastolani, e che è, allo stesso tempo, un invito alla dignità e alla lotta.

Tutte le persone hanno la loro prigione, non tutti lo sanno, molti se la sono costruiti da soli, altri sono prigionieri della società, la maggioranza dell’ignoranza. Uscirne è molto difficile perché certi contesti sono così radicati da sembrare delle montagne. Noi detenuti, nella stragrande maggioranza siamo due volte prigionieri; castrati fisici e sessuali e il sistema ci vorrebbe anche castrati mentalmente. Castrati fisici perché prigionieri delimitati di uno spazio ristretto; castrati sessuali perché non abbiamo una vita sessuale, pertanto prigionieri con la costrizione della castità. Il sistema fa di tutto per renderci castrati mentalmente, con la paura, ritorsioni, pressioni di ogni tipo e in alcuni casi con la tortura, in modo da poterci controllare senza problemi, ridurci  ad una specie di vegetali. Per fortuna siamo in un Paese democratico con le libertà civili, in caso contrario cosa ci avrebbero fatto?

Gli ergastolani vivono un eterno presente e non potendo avere un futuro evitano anche di progettarlo, spesso si evita di pensare al passato perché è fonte di ricordi dolorosi. Questa pena ci rende dei morti viventi, civilmente ci hanno ucciso, ma ancora vivi, essendo esseri viventi. La maggioranza di noi del Corso di scrittura siamo ergastolani ostativi e pertanto dobbiamo morire in carcere, anche se la società conosce una realtà artificiosa alimentata dai media, per la quale l’ergastolo non esiste, perché nessuno lo sconta. Se non c’è, perché non lo aboliscono? Pochi hanno questa consapevolezza, la maggioranza s’illude in una speranza futura di cambiamenti, credo sia più per tirare avanti, per evitare il rischio di impazzire o lasciarsi andare. Comprendo che è difficile vivere con la certezza di questo pesante fardello, aspettare la morte, che può portare al suicidio, alla pazzia, scivolare nell’oblio in cui nulla più importa, oppure forgiare un carattere di ferro.

La mia speranza è tutta nella lotta per cambiare le cose, lottare per superare l’ostacolo che mi tiene inchiodato a queste catene. Fino a quando avrò la forza lotterò per cercare di fare abolire l’ergastolo, una pena non umanamente accettabile. La mia speranza è solo nella lotta.

Alla fine della presentazione, ci alziamo tutti. Arrivati nei pressi dell’uscita le guardie ci restituiscono cortesemente carta d’identità, cellulari, ombrelli. Il cielo fuori è di un grigio quasi soffocante, le macchine partono, verso altre destinazioni. Qualcun altro invece resta dentro, a passare un’altra serata, tra le mura di una fortezza, dalle parti di Siano.

 

Il male oscuro… di Giovanni Arcuri

Giovanni Arcuri è stato uno delle ultimissime “entrate” tra i protagonisti di questo Blog. Il suo primo testo pubblicato (unito ad una sua lettera di presentazione) risalgono al 24 dicembre dello scorso anno (vai al link…  https://urladalsilenzio.wordpress.com/2011/12/24/un-nuovo-amico-ci-scrive-giovanni-arcuri-da-rebibbia/

Giovanni ha 54 anni, è detenuto da 10 anni, è prossimo alla laurea, e ha scritto tre libri, di cui due pubblicati. Il carcere in cui si trova attualmente è quello di Rebibbia.

Ha avuto una gioventù impetuosa e ribelle, e ha innescato nel tempo una serie di dinamiche azzardate che hanno finito col portarlo in carcere (nella prima parte pubblicata del suo pezzo “Contingenza annunciata”, si parla anche di questo.. vai al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/01/04/8364/).

Giovanni, ha una cura particolare delle parole, e del modo di accompagnarle nelle frasi. E’ uno scrittore nato dai pugni pestasi sul tavolo, e dalle notti insonni del carcere, dall’urlo e dall’emozione che corre su fogli bianchi, e fa male sì, ma anche libera.

Giovanni non cerca ruoli prefissati, non rivendica un ruolo collaudato. Cerca di pensare oltre le etichette, e di aprirsi a dimensioni più ampie, che coinvolgono la realtà sociale, e l’essere umano, intravisto anche nelle sue dinamiche interiori.

Vi lascio oggi a questo suo pezzo intitolato.. Il male oscuro.

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IL MALE OSCURO

L’Italia celebra il suo 150° anniversario della sua unificazione politica in una situazione d’incertezza e di affanno alle prese con gli effetti di una crisi economica di dimensione globali che non ha precedenti.

Si sommano incertezze a debolezze antiche: nodi mai sciolti che il trascorrere del tempo  rende più stringenti. Ma non è solo l’economia a suscitare sconforto e preoccupazione.

E’ tutta la società ad essere come pervasa da un senso d’incertezza, da un torpore spirituale che si riverbera in molti aspetti della vita della collettività. Un malessere insidioso sembra essersi impadronito del paese; non se ne mette a repentaglio l’esistenza ma, provocando uno stato diffuso di astenia, ne debilita lo spirito e ne menoma le capacità di reagire.

La complessità delle società contemporanee, con i problemi in essa insite. E’ fenomeno di scala mondiale, risultante dal sovrapporsi di processi di segno e di spinte contrastanti.

La velocità delle trasformazioni e la propagazione a cerchi concentrici  dei loro effetti rendono incerta l’interpretazione dei processi in atto e ancora più ardua l’individuazione delle tendenze di lungo periodo. Sullo sfondo comune di queste trasformazioni che sembrano condurre a ritorno della nostra civiltà, si collocano  le specificità del singolo paese, delle singole collettività nazionali.

Storici, politologici, opinionisti di varia estrazione e orientamento, sollecitati dall’anniversario del 2011, si sono esercitati in direzioni diverse per interpretare, diagnosticare, spiegare: una nazione e un popolo sul lettino dell’analista per scavare fino ad arrivare alla radici del male oscuro.

In quest’ultimo anno ho seguito con assiduità e interesse questa sorta di seduta psicoanalitica collettiva. Di questo affollato dibattito sono stato osservatore attento, partecipe ed emotivamente coinvolto. Dall’altra parte mi trovo in una condizione personale in cui non si lasciano cadere le occasioni che si presentano anche per ripercorrere la propria vita e le scelte compiute, non poche delle quali avvenute e in parte determinate o strettamente connesse con le vicende che hanno segnato il secolo passato. Sono quegli appuntamenti dove le nostre piccole e insignificanti vicende personali incrociano la Storia. Vuoi o non vuoi, determinate scelte di vita sono spesso condizionate da situazioni sociali. L’ “andare via da certe cose” in un particolare momento storico, il trovarsi leggi speciali ed emergenziali a conseguenza di azioni scellerate di altri, la guerra fredda, la caduta del muro, il caro petrolio, le crisi monetarie, ecc. ecc.

Non possiedo le capacità interpretative dello storico. Non padroneggio le categorie del politologo, non ho approfondito le valutazioni economiche di Friedman, mi faccio bensì delle opinioni, ma queste restano per lo più confinate nella ristretta cerchia familiare e nelle conversazioni animali.

Non sono per nulla un pessimista, tutt’altro, ma oggi come oggi devo dire che questa non è l’Italia che sognavo. Mi vado persuadendo che l’origine del male oscuro che ci affligge è di natura culturale ed etica più che politica, economica e sociale.

Credo che l’affievolirsi di valori ispirati e ideali di solidarietà, di rispetto della propria e altrui dignità, di integrità morale coadiuvati da una finanza senza regole hanno portato alla situazione in cui ci troviamo oggi. La corsa al benessere ad ogni costo, sempre più soppiantati dagli idola del successo, del guadagno, di una totale mancanza di senso civico, di un individualismo esasperato che si allontana di molto dalla meritocrazia pura nella quale credo e continuerò a credere, porta a perseguire ossessivamente il proprio interesse a scapito degli altri. Questa è a mio avviso una realtà così diffusa che genera indubbiamente uno stato di assuefazione.

In mancanza di un approfondito esame di coscienza rischia di diventare la normalità.

Solamente un processo di autoanalisi, che è presupposto indispensabile per rifondare la società italiana su basi culturali ed etiche più solide, più console , possiamo sperare in una resurrezione della nostra tradizione di civiltà che giace nel dimenticatoio.

Nell’attesa che questo avvenga speriamo che il governo tecnico dell’economista Monti metta in condizione il nostro Paese di risolvere l’emergenza che è ormai arrivata a livelli di insostenibilità.

Novembre 2011

Giovanni Arcuri

Il luogo dell’anima.. di Giovanni Zito

Giovanni Zito… in assoluto lo scrittore più prolifico del Blog. E leggendo tanti dei suoi pezzi arrivo a capire chi ha sempre detto che l’umiltà è una caratteristica delle persone “grandi”. Perché Giovanni all’inizio non voleva neanche scrivere… era titubante.. come se non avesse nulla da dire o il modo per dirlo.. e ancora adesso ci sono volte che mi scrive alla fine dei suoi pezzi “se vuoi pubblicalo.. quello che non va bene toglilo..ecc…”

Ma che se vuoi e se vuoi Giovanni? 🙂

Sai scrivere meglio di tanti spocchiosi da fiera.. e soprattutto non hai la loro spocchia. Vedete lettori del Blog, una persona non la fa né il denaro, né tanto meno il ruolo, il potere e l’alterigia.. ma la mente, l’anima e il cuore. Questa è una verità che a molti non piacerà. Pazienza..:-)

Come spesso accade con Giovanni.. la concretezza assume sembianze poetiche.. e il quotidiano diviene rivelazione di improvvise folgorazioni emotive o di mondi malinconici del ricordo…

E’ una scrittura “etica”, come etica è la “visione” in registi come  Kieslowski non c’è bisogno che le parole diventino “ideologiche” o di tirare fuori un pamplet.. basta un “fotogramma” e tutto è rivelato. Leggete ad esempio questo frammento dal testo di Giovanni Zito…

“Così suona il pianoforte mentre consumo un altro giorno. Purtroppo è vero. Ogni cosa bella prima o poi deve finire. Meglio rientrare. La mia ora d’aria finisce così. Rifaccio le scale, pestando con forza ogni singolo gradino, piano piano, per sentire il tempo che mi spinge verso la mia cella. “

E’ sobrio nella forma.. ma “straniante”, lapidario nel disvelamento dell’inesorabilità del tempo come condanna che strema la vita nell’ergastolo. “Rifaccio le scale”.. quelle scale fatte un milione di volte… “pestando con forza ogni singolo gradino”.. pestando con forza… e già dici tutto.

E poi quando scrive…

La luce accesa. Il block-notes sul tavolino. Così si buttano sul foglio le parole dell’ergastolano ostativo. Ed una realtà senza fermare più le ore inutilmente”

E li “vedi” luce e block-notes.. vedi anche la penna… vedi quell’angolino dove Giovanni si siede e scrive. Dentro il buco del culo di un carcere. Nel centro del Mondo. In quel luogo dell’anima dove anche le ombre parlano..

Vi lascio alle parole di Giovanni..

Buona sera a tutti cloro che leggono.

Anche oggi vi ho scritto delle cose vere e sincere.

Le mie parole vengono pescate alla giornata. Sono parole di un menù fatto in carcere. Spero che vadano bene per i vostri gusti, anche perché non c’è molto da dire. Ma vi posso garantire che il mio piatto è saporito quanto basta. Quindi buona lettura amici, perchè vi lascio con la penna, ma mai con il cuore.

Giovanni Zito

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Che giornata strana oggi.

Credevo di avere ancora qualche spicciolo di euro nelle tasche dei pantaloni. Ma poi mi sono reso conto che avevo speso fino all’ultimo centesimo in tutti questi anni di carcere. Eppure sentivo questo tintinnare di monetine nelle tasche.

Come è strana la vita. Non muoiono mai i ricordi? Fanno più rumore di cento rintocchi di campane.

L’accendino con le sigarette, un pacchetto di fazzolettini e vado nella vasca di cemento avanti e indietro. Così mi arrampico verso quella erta salita di pensieri. Una fatica per arrivarci. In cima alla vetta c’è freddo, molto freddo. Guanti di lana e cappuccio in testa. Che brividi..brrr.. sembrano passati secoli.

Dalla cima dei miei ricordi si apre uno scenario spettacolare. Un teatro fato di luci e ombre, unico e solo. Cerco sempre di respirare una boccata di aria pulita, fresca, alzando gli occhi al cielo e per un attimo credo di volare oltre il punto indefinito in cui mi trovo.

Così suona il pianoforte mentre consumo un altro giorno. Purtroppo è vero. Ogni cosa bella prima o poi deve finire. Meglio rientrare. La mia ora d’aria finisce così. Rifaccio le scale, pestando con forza ogni singolo gradino, piano piano, per sentire il tempo che mi spinge verso la mia cella.

La luce accesa. Il block-notes sul tavolino. Così si buttano sul foglio le parole dell’ergastolano ostativo. Ed una realtà senza fermare più le ore inutilmente.

Quella voglia di averti vicino mi fa una rabbia nel cuore. Vado in doccia a togliermi questi odori forti di dosso. Ma non vanno via. Gli odori di  rangito (forse è “rancido”), di  vecchio.. li senti dentro di te. Vivono con me. Fanno parte di me.

Riordino la mia mente. Troppo caos, troppi pensieri stupidi e spenti, come la notte.

Il pigiama sulla branda, stendo la biancheria intima, un pò di profumo sulla pelle nuda.

Uno sguardo allo specchio mi fa notare i capelli quasi d’argento. Un segno del deterioramente del corpo che invecchia. Mi siedo sul mio sgabello di legno aspettando che il profumo del caffé inebrii il mio angusto luogo di sopravvivenza.

Scrivo un altro giorno, ancora una pagina di dolcezza, di speranza. Anche io ho dentro al mio cuore qualche zolletta di zucchero, tanto per dire che la vita non è poi così amara.

Io sono ciò che voglio essere.. me stesso..

Concludo questo  mio breve racconto così…..

Ieri

domani

un giorno

una vita

una volta

per sempre

piacere

dolore

una luce

una porta

un abbraccio.

Grazie a tutti, sono Giovanni Zito.

2011

 

L’uomo dell’Est.. la rubrica di Gerti Gjenerali

Eccoci con l’avventura di una nuova rubrica su questo Blog, che della sperimentazione, della creatività, del rinnovamento ha fatto alcuni dei suoi caposaldi.

Questa rubrica sarà un appuntamento con Gerti Gjenerali, il detenuto albanese che molti di voi hanno imparato a conoscere.

Ricordo che già prima di leggere qualcosa di lui, ne sentii parlare diverse volte. Dalla nostra Nadia e da Carmelo soprattutto. Mi parlavano di questa persona, che divorava libri come fossero noccioline, curioso di tutto, con una grandissima vita interiore, ma anche molto riservato, a volte anche schivo… E da subito immaginavo un grandissimo mondo, però non condiviso se non in pochissimi momenti intimi.

Poi lo incontrai a Spoleto, quando entrai nel carcere grazie a Nadia e ci parlai pochi minuti.. ma fu una bellissima impressione. Di quelle a pelle, che non hanno bisogno di troppe parole.

A un certo punto Gerti fece il suo ingresso in questo Blog, con un testo memorabile, un testo da grande letteraura, uno di quei pezzi che sono come il “miglior cinema” e che resteranno, per la loro forza di impatto, energia cinetica e capacità visiva (ecco il link…https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/04/16/salve-mi-chiamo-gerti-gjenerali-detenuto-albanese/). E poi continuò a mandare i suoi testi, di volta in volta, sempre originali, sempre con un loro impeto, mai banali.. anche con le poesie non scherzava (ad es, vai al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/07/23/la-luce-che-aveva-sbagliato-strada-poesie-di-gerti-gjenerli/).

Poi iniziò il filone dei “Dialogi tra due diavoli all’inferno” tra Gerti e Carmelo Mumusci. Insomma due vere “teste atomiche” messe insieme….:-)

E da qualche tempo scrivevo a Gerti per dire di tentare una sua rubrica. In cui provasse a parlare anche di altro che non fosse il carcere. Perchè, su questo non esistono dubbi, Gerti potrebbe fare riflessioni acute e profonde su una quantità enorme di argomenti. Potrebbe dire la sua su molti autori. Potrebbe parlare dei suoi “viaggi” in tanti romanzi e libri.

Io credo che ciò che ha da dire possa essere molto prezioso. E poi mi piace come lo dice. Con il costante otto volante che è la sua scrittura. I momenti di dramma che lasciano passo a momenti di fierezza e speranza. Il calore umano che si si intreccia con la riservatezza. E la fortissima ironia. Quando leggerete questo suo primo pezzo per questa sua nuova rubrica vi accorgerete di come gioca con l’ironia in diversi momenti.. anzi è talmente bravo a farlo, che non sembra neppure che lo faccia.

Bene… la barca di questa rubrica parte oggi.. vedremo che ne uscirà… io vedo solo una grande occasione in più per chi si approccia in questo strano territorio fuori casta, fuori classe e “fuori legge” (ma nei confronti della legge dell’indifferenza e del pregiudizio) chiamato Le Urla dal Silenzio.

Buona lettura

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Cosa potrei scrivere, io uomo dell’Est, pieno di paure e terrorizzato dalla vita e dal sistema….

Ecco, il mio compagnero Alfredo mi ha scitto una lunga lettera, bellissima, piena di domande importanti, ma soprattutto molto profonda.. e io t ringrazio.

Compagnero, hai affermato che posso avere una specie di rubrica… ma, mi domando, cosa posso dire io… è vero che leggo come un piccolo drogato, ma, alla fine, io non ho tante risposte e soprattutto non mi esprimo con paroloni pieni di significato.

Ci provo a dire quello che penso.. e.. se poi a qualcuno non piace.. Dio, non riuscirò a dormire di notte.

Ultimamente ho letto tanto. In pratica da quest’estate mi sono ucciso di lettura.

Ovviamente (rispondendo alla tua domanda) ho letto un pò di russi quando ero giovane e il concetto del bene e del male in “Delitto e castigo” si avvicina molto alla mia realtà.

Quando ero un ragazzo cercavo sempre la felicità nelle cose che mi facevano stare bene. Accadeva molto spesso che il mio occhio perdeva la capacità di vedere qualsiasi altra cosa, fuori, o magari vicina a quella che cercavo. E purtroppo non riuscivo mai: poiché pensavo sempre unicamente a ciò che cercavao, le cose veloci, e soprattutto facili… Non capivo le cose di cui avevo bisogno.. ce le avevo dentro di me e davanti ai miei occhi.

Purtroppo anche ora che sono in carcere da una vita sono sempre più confuso di prima. Capisco molto bene che non esiste nessuna dualità.. nell’istante stesso in cui si applica un criterio. Ognuno di  noi ha un suo criterio di vita.

Vedi Compagnero, quando i pensieri sono nella mia testa sono così belli, ma, quando li scrivo sono così banali e sciocchi… Io mi ritengo molto fortunato per il semplice fatto che ho due culture addosso. La radice del mio albero è Albanese, dura e pura, profonda, frutto della mia educazione assurda. Ma le foglie e i fiori che sbocciano nel mio albero, in primavera, sono vostre, Italiani, visto che quest’anno faccio venti anni che sono un ospite da voi.

Le parole sono importanti, esprimono il sentimento di un momento e i pensieri che un uomo ha dentro di sé… ma dentro di me non li amo tanto, non posso amarli, perchè non contano nulla, non hanno colore, né odore, né sapore, né caldo, né freddo. Solo solo parole. I fatti e le azioni che un uomo fa, quelli sì che contanto per l’eternità.. senza scampo..

In fondo la vita non è giusta né ingiusta, né buona né cattiva. Sono attributi che diamo noi con le nostre belle parole. La vita è quella che è, scorre  come un fiume impassibile e trascina le barche di noi poveri sciocchi. Io che faccio amico mio compagnero? Cerco con tutte le mie forze di fare in modo che la mia barca non faccia acqua; di sopravvivere con molto ardore, perché so molto bene che alla morte non c’è rimedio.

Ecco che ritorniamo alla questione dei libri. I libri sono fondamentali per me in questo momento della vita mi aiutano a capire, a passare il tempo, a farmi una cultura personale, visto che l’ambiente è quello che è. Qualcuno potrebbe pensare che sono chiuso o magari un pò rigido. Ma non posso fare altrimenti, è una specie di difesa. Si evitano molti problemi. In fondo anche io sono come voi. Cerco equilibrio e serenità a tutti i costi.

Quando scrivo i dialoghi con Carmelo, qualcuno degli amici commenta dicendo che siamo saggi e filosofi. Altro che saggi siamo… o per meglio dire, io  sono alla ricerca della mia pace e della mia felicità interiore. Non posso insegnare a nessuno. La scienza si impara, ma la saggezza.. non credo proprio…

Ora vado.. mi annoio.. vedo che pure io faccio lo sbaglio di tutti quanti. Volevo scrivere cose bellissime e profonde. E alla fine non faccio quello che fanno tutti quanti… io, io, io, io.. i criteri.. i maledetti criteri.. vediamo sempre il mondo e la vita a modo nostro…

Gerti Gjenerali

Lettere dal di fuori.. da Pamela Iamundo a Carmelo

 

Per la rubrica “Lettere dal di fuori”…  pubblico questa lettera di Pamela Iamundo, che attualmente si trova ad Amburgo.. lettera spedita a Carmelo Musumeci..

Le lettere sanno scendere alle volte come i solchi sui vecchi dischi. Ti lasciano, cioè, l’impressione di un sapore di vita, di una smania inquieta e gioiosa insiene, di una frenesia che condivide la sete costante e la voglia di mordere, prendere, afferrare, dare.

Questa è una lettera così, intrisa di un sapore generoso. Ricca del volto bello di un legame che nasce oltre tutti i cancelli.

Ci si incontra tra anime affini.. il tempo corre.. e lo si vive insieme.. condividendo momenti al sole, panchine fresche, attimi della stessa rabbia, attimi della stessa speranza.

Vi lascio alla lettera di Pamela Iamundo

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AMBURGO, 30 dicembre 2010

Carissimo Carmelo,

sono molto felice di avere ricevuto i tuoi auguri. Poco fa mi è stata consegnata la lettera che conteneva la tua cartolina.

E’ vero quello che mi dici.. I NOSTRI SOGNI DI OGGI SONO LA REALTA’ DEL NOSTRO FUTUR. E’ quello che ho sempre creduto, quello che continuerò a sperare e volere, sempre!

Mi hai scritto che hai inviato una lettera giù in Calabria, ma purtroppo non è arrivata prima della mia partenza. Chiederò ai miei genitori di spedirmela qui appena saranno rientrati dalla visita a mia sorella in Veneto.

Intanto mi auguro che tu stia bene. Ho letto dal tuo diario pubblicato sul sito internet che hai avuto problemi al braccio. Leggo sempre il tuo diario, lo sai, ma da qualche giorno non ho più internet, devo rinnovare l’abbonamento e mi viene alquanto difficile. Sai, ancora con il tedesco non ho fatto amicizia. Dunque non conosco il resto che sarà stato pubblicato.

Penso spesso a te, come penso a Giovanni e a Paolo.

A proposito di Giovanni, ho visto sul Blog che avete iniziato una corrispondenza “Bologna-Spoleto andata e ritorno”. Mi piace molto leggere di voi, voi due in particolare riempite la mia mente quotidianamente…

Ho letto poi l’augurio che ti faceva “una tua fan”, che hai voluto pubblicare sempre sul sito dell’Informacarcere. Diceva più o meno che avrebbe tanto voluto saperti a casa, un giorno, a discutere con la tua compagna delle più banali scelte da prendere.

Sai, ci penso spesso, penso a quanto sarebbe bello un giorno, magari non troppo lontano, riuscire ad incontrare uno di voi e serenamente salutarvi e chiacchierare di qualunque stronzata ci venga in mente. Mi piacerebbe tanto che un giorno tu abbia realmente la possibilità di tornare a casa dalla tua compagna, che Giovanni possa stare a tavola con sua moglie e il suo bimbo, che Paolo, un giorno, possa sperare di riabbracciare la sua bimba in un prato… Questi sono i vostri sogni, ma sono diventati anche i miei da quando ho imparato a conoscervi…

Ho imparato a conoscervi con molta umiltà, ho imparato giorno dopo giorno che un detenuto ha molto da insegnare, spece dei detenuti speciali come voi. Da voi, in particolare DA TE, Carmelo, imparo sempre molto. Imparo che la vita va vissuta momento dopo momento, con le persone con cui si vuole vivere. Imparo ad apprezzare quel poco che posso avere, perché quanto posso avere è già tanto rispetto a chi non può desiderare tutto.

Rimane però in me forte il desiderio di avere sempre di più, e non parlo del materiale, delle cose, dei soldi, dei possedimenti. Potrei vivere una vita intera senza un soldo in tasca, ma mai senza sapere che ciò che desidero posso realizzarlo.

E devo ringraziarti perché da quando ho conosciuto te la mia vita ha preso un’altra direzione. Non so se è quella giusta o sbagliata, non posso definirla obiettivamente, ma posso sicuramente definirla dal mio punto di vista. Io la ritengo BELLA.

Bella  nel senso pieno del termine. Bello è ciò che è perfetto, ciò che provoca interesse. Bello èè un momento che si vive in pienezza, sensitivamente completo, bello è quando si sta bene intimamente, quando si ha la felicità di condividere, di partecipare, di esserci.

Io sento che grazie a te sto vivendo un momento bello.

Spero che questa strada che ho deciso di intraprendere ci porti veramente là dove vogliamo arrivare. Ad urlare a squarciagola ciò che abbiamo dentro, il desiderio di giustizia e di giustezza che ci accomuna dovrà essere sentito da tutti.

Appena finite queste feste, che per fortuna quassù vanno via con il capodanno (non aspettano la befana, loro), inizierò a prendere contatti con tutta la gente che potrà interessarmi. Intanto pensavo di andare all’ambasciata e iniziare a capire come muovermi e a chi rivolgermi per iniziare a lavorare pur non parlando tedesco. Il 12 inizio il corso di lingua, per ora mi sto arrangiando con l’inglese, e quando c’è il mio ragazzo con me se la sbriga lui (lui lo parla abbastanza bene), poi vedrò di tradurre il progetto e inviarlo a qualche produttore tedesco.

Qui non è male, solo troppa rigidità. I tedeschi non sempre sono “simpatici”, per non dire “umani”. Proprio oggi abbiamo avuto delle grosse difficoltà, quasi la proprietaria ci cacciava di casa… non hanno flessibilità, seguono le regole alla lettera, e guai a chiedere un minuto in più per questioni che non dipendono da te… è pazzesco, ma d’altronde è proprio quello che cercavo.

Avevo bisogno di stare in mezzo a persone che quando dicono qualcosa è quella e in quel preciso momento; avevo bisogno di “regole che si rispettano”. In Italia questo sembra un’utopia, ancor di più al Sud.

Non sono per le regole, mi piacerebbe un mondo senza regole poché questo significherebbe che non ce ne sarebbe bisogno, ma purtroppo non tutti sono disposti al rispetto incondizionato verso gli altri, dunque qualcosa che regolarizzi il comportamento umano ci vuole.

Purché sia corretta, altrimenti io sono la prima disobbediente!

Parlavamo con Alberto  e altre persone proprio di questo una delle ultime volte che siamo stati insieme.. del rispetto delle regole. Posso io rispettare la regola che mi impone di denunciare un clandestino?  Posso rispettare la regola che mi impone di denunciare una mamma che ruba del latte per il proprio bimbo perché non ha i soldi per comprarlo? Certamente posso farlo, ma la mia coscienza mi dice chiaramente che sto andando conto il mio volere, contro il mio credo, contro i miei valori, contro me stessa. Dunque preferisco disobbedire allo stato piuttosto che a me stessa.

Per questo dico che le regole probabilmente è giusto che ci siano, soprattutto sarebbe importante che siano giuste secondo quelli che sono i principi fondamentali dell’essere umano, secondo quelli che sono chiamati “diritti umani”.

Dunque anche quest’anno il natale è andato! Come lo hai trascorso? Come sei stato?

Domani sarà l’ultimo giorno di questo 2010, come ogni anno anche questo è terminato. Come sempre ci ritroviamo a rivalutare tutto ciò che è stato bello e positivo per la nostra esistenza e tutto ciò che ci ha fatto male. E come sempre ci sembra che i momenti negativi siano stati di più rispetto a quelli positivi. Perché, secondo te, la mente umana ricorda con più facilità i momenti tristi piuttosto che quando si è stati bene? E’ veramente così leggera la felicità da non sentirne il peso? Eppure non si fa altro che dire che la felicità è così rara, che i momenti che si vivono in felicità sono preziosi, e come tali vanno ricordati.

Ma perché nessuno mai se ne ricorda? Mi viene da pensare che chi non ricorda i momenti felici e ricorda solo quelli tristi, probabilmente è una persona intimamente triste, che ha perso la sensibilità e non sa apprezzare nulla della propria esistenza.

Tu hai dei ricordi felici di quest’anno? Quali sono i ricordi che pesano di più nella vita di Carmelo? Musumeci? Quelli felici o quelli tristi?

Io credo di avere una grande capacità di cancellare gli eventi tristi dalla mia vita, o comunque di viverli in modo che anche quei momenti possano essermi utili al mio accrescimento personale. Il problema è che non sono così brava a vivere serenamente e tranquillamente la realtà. Sono sempre in tensione, sono come una molla, ogni momento che trascorro a non fare nulla mi sembra di impazzire. Quando mi viene chiesto di rilassarmi mi incquieto ancora di più… passerò la mia vita a rincorrere sempre qualcosa, e alla fine sarò solo io (sic! scriveresti tu).

Alla fine, a parte lo humor, sai che ti dico? Che tra momenti felici e momenti tristi non saprei proprio quali siano quelli più pesanti o meno pesanti, so solo che ogni momento è utile alla propria esistenza, dunque che ben vengano, tanto, in entrambi i casi, vengono e poi vanno via.

Bene Carmelo, per oggi concludo qui. Non prima però di augurarti ancora una volta tanta serenità per questi ultimi giorni di festa, e che il nuovo anno ci faccia realizzare giusto qualche nostro sogno più intimo e forte.

Ti abbraccio, caro Carmelo. Anche io ti voglio bene!

Pamea Iamundo

Lettera aperta… di Sebastiano Milazzo

Non è possibile, anzi è folle, pensare che sia solo la delazione l’unico criterio di valutazione del ravvedimento del condannato.”

Basterebbe questa frase a rendere degna di lettura questa lettera aperta.. che ci ha inviato Sebastiano Milazzo. La vicenda di Sebastiano Milazzo la stiamo seguendo da tempo, e troverete nei post già dedicati a lui, o contenenti lettere sue gli elementi fondamentali di ciò che è accaduto(ad esempio vai ai post https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/10/11/sebastiano-milazzo-e-stato-trasferito-a-carinola/ ..e poi..   https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/10/25/il-caso-sebastiano-milazzo-lultima-lettera/).

In sostanza Sebastiano ha subito un trasferimento che sembra avere tutte le caratteristiche del trasferimento punitiva. Sebastiano in tutta la sua detenzione si è impegnato in ogni modo per dare prova di buona volontà, e per cogliere tutte le opportunità che poteva cogliere. Tra le altre cose, si è preso cura per 18 anni della Biblioteca del Carcere di Spoleto.

Sebastiano ha una certa età (anche se non nello spirito, che resta lucido e vivacissimo).

Sebastiano chiedeva da tempo semplicemente di potere essere trasferito in un carcere della Toscana per potere vedere la moglie (malata) che non vede da 18 mesi, e con essa i figli (che non vede dallo stesso tempo). Se si aggiunge che anche la madre non può vederla perché molto anziana e acciaccata, si può intravedere il dramma di questo uomo.

Sebastiano fa fatto l’ “errore” di avere protestato contro l’introduzione nella sua cella di un’altra branda.. secondo una pratica che si stava mettendo in atto a Spoleto, ma anche in tante altre carceri. UNA PRATICA ILLEGALE.. in quanto in violazione dell’art.22 del Codice Penale che stabilisce l’isolamento diurno per gli ergastolani.

SIA BEN CHIARA UNA COSA. METTERE PIU’ ERGASTOLANI IN UNA STESSA CELLA E’ UNA PRATICA ILLEGALE. I CARCERI CHE PONGONO IN ESSERE QUESTO ATTO E L’AMMINISTRAZIONE CHE LI AVVALLA.. STANNO VIOLANDO LA LEGGE. QUESTO LO SI SAPPIA. E QUESTO CONTINUEREMO A DIRLO. Anche se violare la legge è una moda, che trova autorevoli esponenti a partire dallo stesso governo del paese.

Comunque… Sebastiano.. alla fine è stato trasferito ma non in Toscana.. ma molto più lontano dalla Toscana rispetto a dove era prima (Spoleto)… è stato trasferito a Carinola, ossia un carcere considerato “punitivo”, il classico carcere “dormitorio”, di quelle carceri che spengono piuttosto che risvegliare la vitalità e l’impegno dei detenuti, quelle carceri come tran tran sfiancante, basta che passi il tempo, tu mangi e dormi, e non creare grane.. passivo.. passivo ragazzo.. mettiti in ombra e non avrai problemi..

Tra l’altro non può neanche usare il computer, a cui era abituato da anni. Sulle tragicomiche vicende che riguardano il rapporto tra i detenuti e la possibilità di usare il pc vi richiamo, tra gli altri, al caso di Alfredo Sole (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/11/29/ancora-su-alfredo-sole-e-il-suo-computer/), caso (quello di Alfredo Sole) che tuttavia sembra in via di risoluzione.

E andiamo alla lettera aperta che da poco Sebastiano Milazzo ci ha inviato. E’ una lettera di ampio respiro. Una lettera che va al di là della sua personale vicenda, per fare una riflessione non scontata ma franca e limpida sulla situazione di tanti detenuti in Italia, e sulla necessità di un profondo cambiamento, oltre gli stereotipi, la pigrizia intellettuale, l’opportunismo e l’aria fritta da convegni.. dove ci si riempie la bocca.. con parole come rieduazione, scopo della pena, riforme, ecc. I grandi oratori sicuramente non ci sono mai mancati. La grande ipocrisa neppure.

Vi lascio alla lettera aperta di Sebastiano Milazzo

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LETTERA APERTA

Il Dott. Paolo Canevelli, Presidente del Tribunale di Perugia, ha sostenuto, sostanzialmente, che la maggioranza degli ergastolani sono destinati a morire in carcere. Questa situazione illustrata in un convegno da un esperto, addetto ai lavori, è destinata a non mutare se non cambiano le norme che impediscono di concedere i benefici agli ergastolani. La possibilità del riscatto è negato loro da quelle norme che, in base al tipo di reato, portano alla complessiva inutilità delle aree rieducative, a ciò s’aggiunge la pratica inesistente dei controlli su quei funzionari, quelli per intendersi che li allontano dalle residenze dei familiari, perché pensano all’ergastolano come a un individuo da eliminare, in un modo o nell’altro. Una pratica sistematica che aderisce al pensiero della pena vista come vendetta, cerca di addossare la responsabilità del loro fallimento sempre ai mancati funzionamenti e alla mancanza di assunzioni, ma queste non sono le sole cause per le quali gli ergastolani sono destinati a morire in carcere, e nemmeno il motivo per cui il sistema della pena non funziona. Il sistema non funziona, e non potrà mai funzionare, se non trova una nuova via, non di rivolta, ma di civile e faticosa battaglia di ritorno ai valori che la Costituzione assegna alla pena, che sono i valori fondamentali della democrazia, che si può definire tale solo se ha leggi chiare e uguali per tutti. Leggi chiare che devono affidare alla durata della condanna la gravità del reato e non alle discriminazioni che, oltre ad essere la vera causa per cui il sistema è vicino al collasso, impediscono la valutazione seria delle singole personalità dei condannati. Leggi chiare e senza discriminazione sarebbero più utili del fiume di parole inutili sul sistema penitenziario e delle gestioni delle pene, parole oggi riferite solo alle teorie, e mai sulla realtà delle cose.

Oggi, quello che, o è diventato l’ergastolano dopo decenni di detenzione non conta niente e, non interessa a nessuno, invece ci sarebbe una nuova via che possa portare il condannato a farsi carico del proprio futuro, assumendosene precise responsabilità. Ma per poter fare questo deve poter contare su un diritto vero che decide sulla base di fatti reali e non burocraticamente fittizi come avviene oggi.

Un diritto che dovrebbe potarlo a poter proporre quale strada intende percorrere, in modo che le decisioni nei suoi confronti possano essere prese con il suo contributo. In tal caso, un condannato che pensa e pesa sulla decisione che lo riguarda, fa si che partecipazione e co-decisione rendano sua “Patria” la LEGGE, una legge che a quel punto sarebbe amata da chi, per merito di essa, ha la  possibilità di aver concessa ancor un po’ di vita.

Sono ingenuo lo so, nel pensare di poter partecipare al decidere il proprio futuro, ma non sono astratto, ne tanto meno folle, quando penso al modo come un ergastolano, dopo aver scontato la parte di pena prevista dalla legge, possa ritornare a diventare protagonista del proprio futuro destino.

Non è folle pensare di poter fornire i propri propositi, non perché questi possano bastare per decidere il proprio futuro, ma perché possano contribuire a definire le responsabilità precise che si è disposti ad assumere e la possibilità di una seria verifica, attraverso gli elementi forniti, se esistono le condizioni socio ambientali che danno la possibilità al condannato di rispettare i sani propositi. Non sono astratto nel pensare qualcosa di più razionale degli attuali labirinti procedurali, senza senso e senza sostanza, della attuali omertose solidarietà e nebbie tra le diverse professionalità che gestiscono la pena oppure dalle centrifugazioni dei compiti che non forniscono mai alcun elemento reale e utile alla decisioni.

Non mi sento un visionario se penso, al di là del mio singolo pensiero, e quanto è diffuso tra noi ergastolani, il rifiuto netto e definitivo verso quelle regole di vita che avevano impedito di stare in contatto con le proprie, vere, identità.

Le sofferenze patite, le privazioni effettive, gli studi fatti e i lunghi anni di riflessioni nella detenzione portano a sentire solo il bisogno di una nuova partecipazione alla vita affettiva e sociale.

Non è possibile, anzi è folle, pensare che sia solo la delazione l’unico criterio di valutazione del ravvedimento del condannato.

Folli sono le attuali norme che non consentono all’ergastolano di ridiventare amico della comunità cui appartiene e non più nemico, un collaboratore della società e non più un peso.

Collaborazione, non intesa come delazione, ma come capacità di diventare una risorsa, collaborazione intesa come capacità di progettare, come educazione alla vita.

Educazione che avrebbe, come premessa, bisogno di offrire all’ergastolano una prospettiva della pena che non sia solo castigo, ma un diritto, il diritto di poter apprendere ciò che si è realmente come persona umana.

 

 

 

Sebastiano Milazzo

Carinola, Novembre 2010

 

La mia prima ferita, e bambini.. di Nuvola (Giovanni Leone)

Nuvola, dal carcere di Voghera… alcune anime stanno lì appese, tra ferri e mura… e parlano e cantano.. non dimenticate dal tempo, non si arrendono alla polvere.. Nuvola è una di queste. Gli piace farsi chiamare Nuvola (e saprete anche il perché se leggerete il post… https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/10/13/io-sono-nuvola-opere-e-riflessioni-di-giovanni-leone/), ed è persona riservata e particolare, di lunghi silenzi e riflessioni. E’ di quelle persone che poche volte scelgono di aprirsi, quindi è un onore per tutti gli amici del blog ricevere i suoi pensieri.

Ne inserisco due, giuntimi recentemente… entrambi accompagnati da un disegno. Ogni disegno è connesso al testo scritto che lo precede.. ergo il disegno con l’albero è collegato  a “la mia prima ferita”; e quello con i bambini in gabbia a “I bambini”.  Che poi proprio qualche minuto fa.. mi sono accorto che il disegno e lo scritto sui bambini risalgono al 2007 (è scritto anche 31 marzo.. ma deve esserci stato qualche errore..dato che si fanno gli auguri di natale..), però se Nuvola ha voluto mandarceli forse è perché ritiene che il loro messaggio sia completamente vivo. E lo ritengo anch’io.

Il primo testo, amici, è di quelli che fanno male. Fanno male all’anima.. sempre se non sei un pezzo di ghiaccio o una mummia con gravi deficit emozionali. Non sono lamenti.. non sono pagine scritte per vittimismo.. Qui c’è una vita umana finita sulla graticola, una esistenza completamente stravolta. E qualunque ne siano state le cause… la comprensione umana dovrebbe valere sempre. Anche se ci fossero state effettive responsabilità di Giovanni Leone (non conosco la sua vicenda processuale e giudiziaria), la vicinanza verso chi cade e chi soffre non dovrebbe mai venire meno.

E, comunque sia, responsabilità o meno.. il carcere non deve essere un luogo di inutile gratuita crudeltà. In queste poche righe Giovanni delinea una atmosfera da 41 bis.. ad esempio con la vetrata.. che separa il detenuto da chi viene a visitarlo per il colloquio. Una vetrata e un citofono.. per mesi.. per anni.. Una atmosfera da 41 bis.. che è come dire. una atmosfera di tortura. Ma adesso non si dice. Non si può dire. Nessuno parla. Chiunque ha saputo queste cose e in questi anni (parlo di cose come il regime detentivo del 41bis), ed ha taciuto, un giorno sarà considerato responsabile  complice morale allo stesso tempo. Perché tacere per vigliaccheria e convenienza rende complici del male. C’è una canzone di Ligabue che gira in questi giorni.. ne ricordo una strofa..

“C’è una linea sottile tra tacere  e subire”..

E’ forte la rievocazione della madre.. di questo amore invincibile che non si ferma nemmeno davanti a un vetro e a un citofono.. e dura negli anni.. nonostante Giovanni cerchi di schermirsi da esso perché si considera un “fantasma”… un quasi morto.. eppure quell’amore, sofferto, coperto di lacrime, non si spezza e non si inaridisce mai.

Per non fare confusione.. questi sono eventi risalenti nel tempo.. adesso Giovanni Leone sconta sempre l’ergastolo, ma non è sottoposto al regime di tortura del 41 bis.

Il secondo pezzo è un inno alla libertà dei bambini.. che possano correre.. che siano liberi.. e non intruppati in mille regole e regoline, rituali e controlli.. E piace la freschezza generosa di tali parole.. generosa perché devi essere generoso davvero se, dopo anni passati rinchiuso in gabbia, hai la spinta a fare pensieri del genere e ad avere a cuore la libertà dei bambini.

E anche i disegni vi piaceranno… disegni che hanno qualcosa della purezza di un bambino..

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La mia prima ferita avvenne quando avevo un’aria libera, ero pieno di vita e di calore. E il mio sorriso, come quello della mia mamma, fioriva improvviso. Io ero assai simpatico. Ma se qualche ipocrita si pronunciava, mi turbava i lineamenti, mi facevano subito levitare. Ero vivo, di quei giovanotti che diventano ostili come un osso, quando mi sentivo incompreso o disprezzato; ma che diventavo simpaticissimo al primo segno di simpatia.

Ma quando mi sentivo in procinto di affrontare la vera vita, si presentò il disastro. Venni travolto da un mandato di comparizione. Provavo tutte le angosce di un temporale, che si trasformava in ciclone, che spazza via tutti i mei sogni del quieto vivere di ogni  gioia; e perfino la vita mi stringeva inesorabilmente il cuore. Più capivo la piega del processo, e più vedevo cupo, e più veniva meno la mia libertà. Stavo per diventare uno schiavo dell’istituzione, e la mia libertà nella diletta città era finita.

Ero piuttosto triste, ma dalle lettere dei familiari che ricevevo si indovinava una specie di eccitazione febbrile. Ero frastornato da tutti quei cambiamenti. Non riuscivo a riconquistare il mio equilibrio. Sembrava quasi che mi lasciassi trasportare dal diavolo nella corrente vorticosa della mia nuova realtà. Ero preoccupato, perché sentivo che mi stavano togliendo le ali della libertà per ssempre. Pensavo che tutto questo mi costava tante pene e tante ansie di dolore. Anche quelle ai miei cari.

Ma quell’orgoglio che c’è sempre stato in me cercava il riscatto, il conforto attraverso la fede. Sbagliavo se lasciavo Dio, anche se gli occhi miei e quelli di mia madre si erano consumati di lacrime. Ma i nostri cuori si sono sempre stretti in un spasimo di affetto tra figli e madre. Perché in lei trovavo un sorriso raro, intimo, caldo, bellissimo.. di luce d’amore materna.  Perché era uno dei tanti cuori di mamme che non si stancano mai di curare le ferite dei propri figli

E quando le notti calavano, e si arrampicavano testardemente come i rimorsi, ero tanto triste da non avere più energie sufficienti per respirare il profumo dell’ebrezza, che la natura mi offriva tramite la pioggia che faceva sprigionare dai viali alberate… né per protteggere dai miei deliri. Come spiegarlo alla mia adorabile mamma .. con i suoi capelli grgi e lo sguardo segnato  dal tornare della mente sulle stesse cose e nel problema di andare avanti, nell’apparente indifferenza di lavorare ai ferri da calza di quella vita sospesa, tra le terre e il cileo, in mezzo alle nuvole bianche, simbolo di purezza, come ogni cuore di mamma… come spiegarle che io ero solo un miraggio? he non esisteva più nessun diritto di bene, perché la mia sorgente è stata assorbita dall’ergastolo?  Poiché nuto un profondo amore per la mia mamma, anche se il mio cuore era stato impietrito e non esistevano  luoghi dove rifugiarmi.. non sono riuscito a spiegarglielo.

Come lei non è riuscita a desistere quando usciva di casa per venirmi a fare il colloquio.. il cuor suo non smette mai di pronunciare il mio ritorno a casa.

Ho dovuto imparare a trattare con la mia mamma attraverso le piccole bugie, pur di evitarle conseguenze più dolorose. Ma con riguardo mi sottraevo al suo sguardo con il cuore dolorante, che passava attraverso la parete di vetro che ci separava. Ma i particolari più insignificanti, i miei sorrisi, mi servivano da corazza, evitando ogni parola che potesse sottindere un approccio per la mia condanna. Anche se i suoi occhi mi assediavano in silenzio, ma le lacrime parlavano come quel tacito scontro appesantiva l’atmosfera e la saturava di un dolore al viso che gelava la sala di colloquio che aveva sostituito il mo cuore. Era la sofferenza che l’aureolava di una bellezza sofferente simile a tutte quelle mamme che, a i piedi della croce, pregano il Buon Dio, che prima di morire voleva il ritorno di suo figlio nelle proprie braccia…

 

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I BAMBINI

I bambini hanno il diritto di giocare in mezzo alla natura, muoversi liberamente e non sentire il solito grido di richiamo.. di “non toccare che ti sporchi.. stai fermo.. o ti fai male…”

Lo scambiate per un robot? Mentre loro hanno bisogno di rincorrere le farfalle, le cavallette, le coccinelle, ecc.. sentire anche i profumi della natura che lo circonda, come il sole che lo riscalda, come la mamma quando lo abbraccia e gli dona il calore del cuore…. e sentire la pioggia che porta via la monotonia e l’angoscia.. la brezza del vento che sente come le carezze sul viso della mamma, quello che quasi quasi non sentono più dei genitori?

Perciò non mettete in opera la furberia con altri giocattoli nuovi.. perché alla fine non danno più loro emozione, e si rendono noiosi.. come quei genitori che non sanno più trovare il tempo di stare insieme nella gioia e nell’amore di vivere e partecipare a questa preziosa verità. Dovete cercare prima la gioia di crescere insieme per un cammino mano nella mano.. per un mondo di baci.

Sia un buon natale di felicità

Giovanni Leone                      Voghera                    31.03.2007

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