Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

Il 13 agosto 2009 , queste furono alcune delle parole con cui nacque questo Blog

“Sei arrivato nel Territorio degli Uomini Ombra. In coloro che vedono ogni giorno stagliarsi inesorabile nel “fine pena mai”. Questo blog è stato creato per loro. Per i condannati all’ergastolo ostativo, quello senza nessun beneficio, senza mai un giorno di permesso: anni e anni, decenni, senza mai un giorno fuori dal carcere, senza mai un Natale in famiglia, senza mai un abbraccio libero con i propri cari. Tutto questo per reati commessi anche 20-30- 40 anni prima. (…) Chi è condannato alll’ergastolo ostativo (..) non potrà mai uscire se non collabora con la giustizia. Non sempre quando un ergastolano non diventa “collaboratore di giustizia” è per omertà, ma anche per ignoranza, per paura, o perché non vuole mettere qualcun altro al suo posto. Le persone condannate all’ergastolo ostativo, anche quando scontato 20-30 anni di reclusione e hanno realizzato una radicale trasformazione interiore, NON POTRANNO USCIRE VERAMENTE MAI DAL CARCERE (…).
Nessuno è colpevole per sempre. Ci sono recinti circondati da filo spinati. Mondi in riserva, fuori dallo sguardo. Ci sono persone che non esistono, perché i più non “pronunciano” il loro nome. E ciò che non nomini lo consacri all’oblio. Paria nello stesso mondo del carcere. Paria tra i paria. Per la vulgata dominante l’ergastolo effettivo non esiste, tra permessi e benefici, nel tempo prima o poi si esce. Ma questo non avviene con l’ergastolo ostativo. Chi è condannato ad esso rischia davvero di uscire solamente morto. Dietro quelle sbarre ci sono uomini che non vogliono essere schiacciati dal silenzio, che hanno qualcosa da tirare fuori. Questo blog vuole essere un ponte per la loro vita, per i loro drammi, per la loro anima.”

Queste parole sono per noi ancora vive. Gli ergastolani ostativi per i quali nacque questo Blog sono ancora una colonna di esso, e lo saranno sempre. Ma nel tempo questo Blog si è espanso fino a ricomprendere anche coloro che ergastolani ostativi non sono.

Questo Blog è diventato un Territorio ancora più ampio.

Il Territorio di chi -ergastolano ostativo e non solo- viene abbandonato nel silenzio.
Di chi, in carcere, viene privato della sua dignità.
Di chi subisce l’ingiustizia degli abusi e dell’indifferenza.
Di chi resiste, e vuole fare uscire la sua voce.
Il Territorio di chi difende la sua umanità e vuole farla crescere.

(19 novembre 2013)

Contro l’ergastolo ostativo, intervista a Carmelo Musumeci

di Simone Delicati

Carmelo Musumeci nasce ad Aci Sant’Antonio, in provincia di Catania, nel 1955. Trasferitosi in Liguria, la sua carriera criminale ha inizio all’età di 16 anni quando diviene socio di una bisca clandestina a Massa. Di lì a pochi anni diventa capo di un’organizzazione criminale dedita a rapine, traffico di droga, racket, tangenti e bische clandestine – guadagnandosi l’appellativo di ‘Boss della Versilia’. Il Clan Musumeci, attivo da La Spezia a Montecatini, si rende protagonista, lungo tutti gli anni ’80, di una sanguinosa guerra contro il Clan Tancredi. Musumeci viene arrestato il 22 ottobre 1991 con l’accusa dell’omicidio di Alessio Gozzani, ex portiere della Carrarese, affiliato al clan rivale. Si rifiuta di collaborare e viene quindi condannato, l’anno successivo, all’ergastolo ostativo – previsto per i reati più gravi e differente da quello normale perché, appunto, ‘osta’ all’ottenimento di determinati benefici (libertà condizionale, semi-libertà, permessi) comportando, effettivamente, una pena senza termine o, come l’ha definita Musumeci, una ‘pena di morte viva’. Dopo 25 anni di carcere, trascorsi con la certezza di non uscirne più, Carmelo ottiene su istanza la semilibertà e, con essa, il ritorno alla vita reale. Nel frattempo è cambiato: ha conseguito 3 lauree ed ha scritto 8 libri. Conduce, ormai da anni, una battaglia per l’abolizione dell’ergastolo cercando di aprire un dibattito sulle ragioni e sul senso di una pena senza fine che in Italia è la storia di altre 1500 persone – ergastolani ostativi.

Carmelo, cosa significa vivere da ergastolano ostativo?
Muori, senza vivere, un po’ tutti i giorni e tutte le notti. 
Purtroppo questa terribile pena ti fa sentire perduto per sempre. 
E non puoi fare altro che vedere la tua vita scorrere senza di te. 
Quando al mattino ti svegli nella tua cella, pensi subito che anche oggi non andrai da nessuna parte. 
E sarà così per sempre. 
Fino all’ultimo battito del tuo cuore. 
Alla lunga questa terribile pena ti ruba tutti i tuoi pensieri. 
E non pensi più alla libertà. 
Neppure alla vita. 
Pensi solo a fare sera. 
E subito dopo a fare mattina. 
Credimi, è difficile per tutti vivere e stare in carcere, ma quasi impossibile vivere se sai che non uscirai mai.

Dopo 25 anni di carcere, quanto è stato difficile ritornare alla ‘vita reale’?   
È difficile, ma bello. 
Sto imparando di nuovo a vivere perché è incredibile come il mondo che ho lasciato 26 anni fa sia cambiato. È bellissimo camminare senza fare avanti ed indietro dopo pochi passi e non trovare nessun muro davanti o di dietro. 
Le persone camminano parlando o muovendo il dito a testa bassa sui loro telefonini. 
Per fortuna i bambini non sono cambiati e i loro sorrisi mi ricordano che sono tornato nel mondo dei vivi.
Quando al mattino esco dal carcere è bellissimo vedere nascere la prima luce del giorno, senza sbarre e muri di cinta intorno. 
Gli spazi aperti mi fanno girare la testa, forse perché sono stato circondato da quattro mura per troppi anni. E il mondo mi sembra troppo grande per i miei occhi e probabilmente anche per il mio cuore. 
Al mattino quando esco dal carcere, e prima di rientrare alla sera, parlo o mando dei messaggini ai miei nipotini. 
Poi penso con tristezza ai miei compagni in carcere, che hanno una sola telefonata a settimana, della durata di dieci minuti. Non capirò mai perché il carcere oltre alla libertà ti vuole togliere anche l’amore delle persone cui vuoi bene.

Cosa è cambiato con la semilibertà? Come trascorri le tue giornate?
Il primo giorno mi sono sentito come un morto che usciva da una tomba. 
Dopo un quarto di secolo scontato in carcere, conosco tutto delle nostre Patrie Galere, ma ben poco del mondo di fuori. 
E giorno dopo giorno mi sto accorgendo che non è facile ritornare a vivere, mi sento come un profugo in un paese straniero. 
Nella Casa Famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, dove faccio volontariato, ci sono alcuni bambini disabili e quando mi occupo di loro penso che questo sia il modo migliore per continuare a scontare la pena, per rimediare un po’ il male fatto, facendo del bene. 
I sorrisi di questi bambini mi fanno uscire il senso di colpa e mi fanno pensare a quanto nella mia vita sono stato cattivo.
Ti confido che mi sembra di vivere due vite diverse, una di giorno e l’altra di notte.
E ogni mattina quando esco dal carcere sento il profumo della libertà, mentre alla sera sento l’odore dell’Assassino dei Sogni (è così che Musumeci chiama il sistema penitenziario, ndr).

La scienza ci dice che le persone sono il prodotto dei contesti sociali in cui vivono, dei valori alle quali vengono socializzate (tu stesso hai partecipato ad un lavoro sociologico sul tema, portando la tua testimonianza). Ti senti vittima del posto in cui sei nato?
Credo di essere nato già colpevole, ma poi ho fatto di tutto per diventarlo.

Sei entrato in carcere con la licenza elementare. Ora, oltre al diploma, hai scritto diversi libri e hai ottenuto due lauree in giurisprudenza ed una in filosofia. Immagino che, studiando certi testi, tu abbia avuto modo di ragionare profondamente sulla tua vita. È lo studio che ti ha cambiato?   
Fin dall’inizio della carcerazione avevo smesso di sperare di tornare un giorno un uomo libero e forse per questo ce l’ho fatta.
Sono stati anni difficili perché non mi è mai interessato solo sopravvivere.
Volevo anche vivere, forse anche per questo ho sofferto così tanto.
Il sapere tante cose non serve a molto, rischi solo di diventare un’enciclopedia che cammina se non puoi vivere quello che studi. 
Quello che mi ha cambiato, ma forse sarebbe meglio dire migliorato, sono state le relazioni sociali che dal carcere mi sono creato, insieme all’amore della mia famiglia.

L’Italia e l’Inghilterra sono gli unici stati europei ad avere l’ergastolo ostativo. Perché a livello politico non si trova la forza per abolire il carcere a vita? 
La pena dell’ergastolo ostativo fa comodo un po’ a tutti, ai politici per non perdere consenso elettorale e ai colletti bianchi (mafiosi) per non perdere la “manovalanza”, perché molti ergastolani con una speranza potrebbero uscire, anche culturalmente, dalle loro organizzazioni.   
Penso anche che la legalità, prima di pretenderla, sia necessario darla. 
Credo pure che certi fenomeni non potrebbero esistere senza una certa complicità politica.

Hai detto più volte che il carcere ti ha peggiorato, privandoti della libertà e dell’amore, facendoti sentire vittima senza mai perdonarti. Anche alla luce dell’obiettivo rieducativo della pena (previsto dall’Articolo 27 della Costituzione) come si può, se si può, passare da un carcere che punisce ad uno che perdona e rieduca? 
Quando penso alla nostra Costituzione mi viene in mente che molti dei nostri padri costituenti erano ex-galeotti e che ormai la nostra Carta è diventata carta straccia.
A mio parere il carcere per funzionare dovrebbe fare bene, invece fa male, tanto male, sia ai prigionieri, sia a chi ci lavora e soprattutto ai cittadini, perché molti prigionieri quando usciranno saranno diventati più cattivi di quando sono entrati.

L’opinione pubblica, culturalmente, sembra sostenere la ‘giustizia come vendetta’. Avrai sicuramente seguito il dibattito sulla ‘possibile’ scarcerazione di Totò Riina, come spiegheresti agli italiani che anche una persona così grandemente incriminata avrebbe diritto, trascorsa la pena, ad uscire dal carcere? 
La società non è né cattiva né forcaiola, è solo informata male, perché tutti i detenuti sono recuperabili con un carcere e una pena umana. Paradossalmente non sono “recuperabili” solo le persone di fuori che pensano che ci sia qualcuno che non si possa in qualche modo recuperare. 
In noi c’è sia il bene che il male, sta anche a chi ci sta intorno tirarci fuori l’uno o l’altro.
Riina, sotto un certo punto di vista, sarà fortunato perché morirà da criminale in carcere, senza alcun rimorso di coscienza del male che ha fatto, perché lo Stato non ha fatto nulla perché accadesse questo.  

Sia Umberto Veronesi che Margherita Hack hanno sostenuto la tua battaglia. Oggi loro non ci sono più, ma per la scienza l’ergastolo è una pena sbagliata: l’evidenza scientifica ha largamente smentito gli argomenti a favore del ‘fine pena mai’. Quanto ha significato, per te, l’appoggio di questo mondo?
Moltissimo. 
Da solo non ce l’avrei mai fatta. 
E sono loro molto grato, perché non è facile schierarsi con un condannato a essere cattivo, maledetto e colpevole per sempre.

Più volte hai raccontato come lo scrivere ti abbia permesso di vivere una vita immaginaria, parallela a quella obbligata dai confini della cella. Nel tuo ultimo libro – Angelo Senzadio – Lorenzo è un ergastolano che riesce a diventare migliore creandosi un angelo, grazie alla propria immaginazione, non grazie al carcere. Lorenzo e Carmelo sono la stessa persona?
Sì.

Il tuo angelo ha un nome?
Nadia Bizzotto, della Comunità Papa Giovanni XXIII fondata da Don Oreste Benzi. 
L’aveva creata la mia mente quando scontavo un anno e sei mesi d’isolamento mentre ero sottoposto al regime del 41 bis all’isola dell’Asinara. 
Gli angeli prima si sognano e poi s’incontrano.
Anche per questo continuo a sognare che tutti i prigionieri possano aver scritto nel loro certificato di detenzione l’inizio e la fine della loro pena.

Suicidi d’estate, di Carmelo Musumeci

Suicidi d’estate

  La notizia dell’ennesimo suicidio in carcere mi ha fatto pensare che l’Assassino dei Sogni (il carcere, come lo chiamo io) convince a togliersi la vita più d’estate che d’inverno. Che amarezza però che quasi nessuno ne parli e dica che la sofferenza che c’è in un carcere non si trova in nessun altro luogo, neppure nelle corsie di un ospedale. I suicidi dall’inizio di quest’anno sono arrivati a 32, per un totale di 68 morti.

     Per sensibilizzare l’opinione pubblica ho pensato di dare voce a qualche detenuto che s’è tolto la vita (che altro posso fare?) raccontando la storia di Melo, un prigioniero che ho conosciuto molto bene.

Melo attaccò lentamente la cintola dell’accappatoio alle sbarre della finestra.

La osservò con attenzione.

E pensò che in fondo la sua non era stata una brutta vita.

Aveva sempre vissuto come aveva potuto. E non certo come avrebbe voluto, ma non aveva mai smesso di amare l’umanità, anche quando questa l’aveva maledetto e condannato a essere cattivo e colpevole per sempre.

Ricordò che i filosofi non consideravano la scelta di suicidarsi un crimine o un peccato, ma solo un modo di abbandonare la scena quando la vita diventava inutile.

E la sua vita, oltre che inutile, ora era diventata anche insopportabile.

Si augurò di non svegliarsi mai più.

Né in paradiso né all’inferno.

Ne aveva già abbastanza di questo mondo.

E anche dell’altro, dove presto sarebbe andato.

Melo non temeva la morte.

Era già da tanto tempo che l’aspettava.

E lei, per fargli dispetto e per continuare a lasciarlo in prigione, ritardava a venire.

Ora però sarebbe stato lui ad andare da lei.

Ogni prigioniero resiste a stare in carcere fino a un certo punto, che varia secondo la storia di ognuno.

Poi per alcuni, ad un certo momento, non rimane altro che impiccarsi alle sbarre della finestra della propria cella.

Melo aveva già superato questo limite da molti anni, ma non aveva ancora avuto il coraggio di togliersi la vita in quel modo. Troppi ne aveva visti di prigionieri appesi alle sbarre.

Era terrorizzato di fare quella fine.

Una volta aveva tentato di salvarne uno, senza riuscirci, tenendolo per i piedi.

Avrebbe preferito scappare dall’Assassino dei Sogni con una morte dolce, ma non poteva certo andare in Svizzera per chiedere l’eutanasia.

Melo camminò un po’ per la cella, avanti e indietro.

Poi si sdraiò sulla branda.

Fissò il soffitto macchiato di umidità, per una diecina di minuti.

Si scrollò gli ultimi dubbi di dosso e non ci volle pensare più.

Si guardò intorno, quasi per paura che qualcuno lo potesse vedere e impedirgli di fuggire per sempre dall’Assassino dei Sogni.

Tentò un debole sorriso a se stesso.

Si tolse la malinconia con una scrollata di spalle.

In tutti questi anni ci aveva pensato anche troppo.

Montò sullo sgabello.

E lo fece cadere.

Subito dopo ebbe la sensazione di annegare.

Sentì il cuore addormentarsi.

Fissò le sbarre della finestra.

E si consolò pensando che era l’ultima volta che le vedeva.

Provò la sensazione che le pareti della cella si stessero stringendo verso di lui.

Poi venne il buio.

Ed era così denso che sembrava gli sorridesse.

La morte e la libertà erano così vicine che sarebbe bastato allungare la mano per toccarle.

E lo fece.

Prima toccò la morte.

Poi abbracciò la libertà.

Pensò che finalmente ce l’aveva fatta.

Era finalmente libero.

Cadde nel torpore.

Smise di respirare.

E dopo trentatré anni di carcere Melo fu finalmente libero.

Uscì per sempre dalla sua vita.

E si addormentò, come sanno fare solo i morti.

 

Carmelo Musumeci

www.carmelomusumeci.com

   Estate 2017

 

Estate tra le sbarre, di Carmelo Musumeci

L’estate volge al termine e, a dire il vero, sono contento per i detenuti, perché si dice che in galera si sta al fresco, ma non è affatto vero.

In carcere, forse per colpa del ferro e del cemento, si soffre di più il caldo e non c’è mai un alito di vento. In prigione non c’è mai una via di mezzo: o fa freddo o fa caldo.

Quando ero detenuto tutto il giorno, ricordo che d’estate l’afa mi faceva aumentare l’ansia e l’angoscia: dormivo di meno, ed era peggio, perché di notte la nostalgia e il desiderio di libertà sono più forti.

In quei mesi spesso stavo alla finestra delle ore ad aspettare un alito di vento, che non arrivava mai, e a guardare il cielo, la luna e le stelle, a pensare ai miei figli. E il pensiero che anche loro vivevano sotto quello stesso cielo me li faceva sentire più vicini.

L’Assassino dei Sogni (il carcere, come lo chiamo io) le notti d’estate ti mangia l’anima con più voracità.  Ricordo bene che la sera, quando mi chiudevano il blindato, la cella si trasformava in una trappola. Il tempo si fermava e il mattino non arrivava mai.  Per reagire alla malinconia e all’afa, in quelle notti terribili mi mettevo a scrivere, forse per questo quasi tutti i miei libri li ho scritti d’estate. Poi mi addormentavo un po’ più sereno, sognando un mondo migliore per i protagonisti dei miei romanzi e anche per me, perché un ergastolano solo nei sogni riesce a trovare quello che cerca nel mondo reale.

Ora che sono semilibero dormo ancora in carcere la notte, ma di giorno esco fuori e va comunque meglio. Ecco però cosa mi scrivono alcuni detenuti, in questa estate infernale:

 Ciao Carmelo, qui continua la calma piatta più totale e un caldo disumano contribuisce alla stasi. Neanche cucina più nessuno, l’idea di accendere il fornello ci terrorizza, già la notte sto incominciando a dormire in terra e chi se ne frega degli scarafaggi. Tutta colpa di queste dannate bocche di lupo in plexiglass, sembra di stare in una serra. Per assurdo all’aria fa più fresco anche in pieno sole, infatti ormai alla fine ci ritroviamo un po’ tutti a sonnecchiare ed a cercare di assorbire il fresco del cemento negli angoli più bui…

 (…) Questo carcere fa schifo. I pavimenti e le pareti sono tutte dello stesso colore grigio con macchie d’intonaco scrostate. A causa dell’arredamento inesistente i suoni rimbombano, cancelli e ferri dappertutto, passeggi piccoli, scuri e cupi, con muri di contenimento alti, con il cielo coperto da una rete metallica. Si vive insieme con topi e scarafaggi. Ieri sera sentivo dei rumori e mi sono affacciato dalla finestra ed ho visto un gatto che miagolava disperato perché circondato da topi che sembravano leoni (non sto scherzando). Si soffoca! La mia stanza è la cella più calda di tutte le altre perché ci batte sempre il sole, ma alla notte, nonostante il caldo, chiudo la finestra per paura che mi entrano i topi.(…)

(…) C’è un caldo che si soffoca e non si respira. Non riesco neppure a leggere. Mi è difficile trovare la concentrazione giusta a cause dei rumori e delle grida che vengono dal corridoio. Poi con il caldo hanno tutti la finestra aperta e sento il volume della loro televisione. Ti confido che è da venti anni che tutte l’estati sogno la stessa cosa: un bagno in mare con l’acqua salata. Non mi rassegno, ha ragione l’Assassino dei Sogni, sono veramente irrecuperabile perché continuo a sognare i sogni che non potrò mai realizzare. Come fanno quelli del DAP e tutti i politici a pensare che trattando così un essere umano questi possa migliorare? Il fine rieducativo è solo una facciata, il vero fine è quello di eliminarci con una morte lenta, lontano dalla società “per bene”. (…)

(…) Hanno messo le doppie brande a tutte le celle. A me è successo che la sera quando sono andato per mettermi a letto e trovandomi una branda sopra, mi sono sentito come se fossi stato chiuso in una bara ed ho avuto un attacco di panico, in pochi minuti ero un pezzo d’acqua, mi sentivo soffocare. Mi sono spogliato, mi sono lavato con un panno bagnato in acqua, mi sono cambiato, ho rimesso il pigiama, ho preso il materasso e l’ho spostato alla branda superiore, come sono salito mi sembrava di stare su un materasso gonfiabile in mezzo al mare,lì mi sono accorto che il problema era serio, mi girava la testa, vertigini da impazzire. Sta di fatto che sto dormendo con il materasso a terra. Ma come è possibile che dopo 25 anni di carcere a dormire su una branda, mi vanno a collocare in una scatola chiusa. A me manca proprio l’aria. E poi dicono che siamo noi i criminali. Riguardo al sovraffollamento stanno dichiarando il falso, anziché sfoltirlo lo stanno aumentando. Vedi a noi ergastolani ci stanno mettendo tutti a due.(…)

(…) Non sono riuscito a chiudere occhio ed ho pensato fino all’alba cosa è stata la mia vita e a che cosa avrebbe potuto essere… In questi giorni fa troppo caldo, sopra la mia cella c’è il tetto dove picchia il sole tutto il giorno. E di notte, per trovare un po’ di fresco, dormo per terra con sotto un grande asciugamano di spugna. Questa notte ho fatto un brutto sogno. Era un vero e proprio incubo. Ero chiuso in una cella dove le pareti della mia cella si restringevano e il soffitto si abbassava per raggiungere il pavimento. E non avevo nessuna via di fuga (…) 

 (…) Qui ci sono solo diciotto celle divise da uno stanzino dove si dovrebbero fare le telefonate, scrivo così perché con il via vai fra le prime e le ultime celle e con quel vecchio rottame è praticamente impossibile godersi l’unica telefonata che si può fare in una settimana, che non dura quasi mai dieci minuti e molto spesso la linea è disturbata o a volte si interrompe e non ci è permesso rifarla. Il femminile cade a pezzi, tutto è ingiusto, abbiamo solo tre docce che oltretutto si intasano sempre. Le tv sono vecchie e murate e hanno oscurato quasi tutti i canali. Chi non ha soldi qui se la passa molto male, c’è un degrado assurdo, i muri sembrano trasudare malessere, cattiveria, invidia, paura, le cose concesse nella spesa sono scadenti e i prezzi sono stati alzati di brutto. La scelta dei prodotti è scarsissima. La biblioteca apre solo per 30 minuti (se apre…) Il cibo ti fa venire voglia di diventare anoressica, il menù è assurdo, con questo caldo non si può far cucinare piatti cibi invernali. La carne sembra suola di scarpe. Ci sono due educatori Sert per l’intero istituto, due volontari, quattro educatori che se sei fortunata ti chiamano ogni tre o quattro mesi. Psicologa e psichiatra le vedi solo se fai qualche gesto estremo. (…)

 Carmelo Musumeci

www.carmelomusumeci.com

Estate 2017

 

Un ex detenuto e un ergastolano si scrivono

Pubblico oggi questo bellissimo scambio epistolare tra il nostro Carmelo e un’e detenuta. Sono parole che dovrebbero essere lette con molta attenzione e da tante persone.

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Avevo già capito che i posti per il paradiso erano pochi, mentre l’inferno era aperto a tutti. E fin da piccolo giurai a me stesso che nella vita avrei lottato con tutte le mie forze per salire in paradiso. Ancora, però, non sapevo che sarei sceso solo all’inferno.   Dal libro di Carmelo Musumeci “Angelo SenzaDio” disponibile su Amazon

Ciao Carmelo,
stasera è una di quelle serate in cui il cervello vola verso altri orizzonti che sono sempre lontani dall’immaginario comune. A volte mi sembra di vivere due vite, una in cui mi sembra di essere come tutti gli altri, e l’altra in cui mi sembra di essere perennemente in uno stato di prigionia. Le due vite non si incontrano mai, perché ancora, dopo tanti anni che sono uscita dal carcere, non sono riuscita mai a spiegare alle persone care che cosa significhi essere privati della libertà. Allora mi sembra una doppia prigionia, quella fisica e quella mentale, perché sono convita che detenuti si rimanga tutta la vita e, nonostante tu faccia di tutto per cancellare quel brutto ricordo, succederà una bella notte che sognerai la guardia che ti sveglia con la torcia, oppure sentirai il rumore delle chiave che ti ronza nella mente. Quando aprirai gli occhi penserai: “meno male che è solo un sogno!”. Ma, in realtà, non è così perché in Italia in galera ci finisci sempre due volte: la prima da presunto innocente e la seconda da condannato. Poco importa se nel mezzo una persona si ricostruisce una vita, perché la legge è questa e non ci sono altre vie d’uscita.
Rieducazione, reinserimento e altro ancora diventano un lontano miraggio perché, come in tutte le cose che contraddistinguono il nostro modo di essere, nessuno è realmente interessato alla sofferenza altrui. Se dovessi raccontarti la mia vita in una sola parola potrei usare il termine “diversa”, perché è così che mi sento ora che ho quasi trent’anni. Ed è stato così anche da bambina quando, invece di giocare con le amichette, mi piaceva aiutare gli altri. Così sono cresciuta, senza malizia e nella convinzione che se fai del bene ottieni lo stesso. Ma nulla è stato come pensavo. Dopo quello che ho vissuto, ho perso fiducia negli esseri umani, ma soprattutto ho capito che esiste una certa tendenza a “godere delle sofferenza altrui” che mi spaventa tremendamente.

     Ti scrivo questo perché ti penso molto spesso, penso molto spesso alle parole che ci siamo dette nel corso di quel pomeriggio passato insieme. Mi rendo conto di come siano complesse le relazioni umane e di come basti davvero un piccolo gesto per cambiare una vita; nel tuo caso possiamo dire per sempre (…ma anche nel mio). Credimi, se fosse per me potrei riempire le mie giornate di seminari sul carcere, sull’ergastolo o su qualsiasi argomento che parli di “umanità”, ma mi sto rendendo sempre più conto che nelle persone c’è solo una terribile voglia di trovare “il cattivo” e poca voglia di capire il perché di molte cose. Vivo questa frustrazione quotidianamente e la cosa che mi fa più male è vedere alcune mie colleghe (che studiano servizio sociale!) che mi dicono di stare dalla parte delle vittime e non dei carnefici. Ti rendi conto del livello in cui siamo arrivati? Dopo anni di istruzione ci sono persone che ancora non sono in grado di sviscerare le situazioni, ma si sentono in diritto di poter giudicare e condannare. Sono sempre più convinta che, se raccontassi a qualcuna di queste future assistenti sociali qualcosa del mio passato cambierebbero subito idea di me.
Ma io mi chiedo: è mai possibile che uno debba vivere in eterno con questa stima? Ma come si fa a sentirsi liberi davvero quando le persone ti ricorderanno per quello che tu hai fatto 10 anni fa e non per quello che fai oggi?

     Ti ammiro Carmelo perché ci sono delle volte che vorrei solo piangere, ci sono delle volte che non ho più voglia di lottare e di spiegare le mie ragioni. Come fai? Come hai fatto a trovare dentro di te tutta questa forza e tutta questa pazienza di amare il prossimo? Forse sono domande banali, ma meritano una risposta che sia ripetuta quotidianamente.
Mio papà, quando ero piccola, mi diceva sempre: tu devi lottare per essere libera, per poter essere quello che desideri e per poter fare quello che ti piace. Ma la libertà si paga sempre a caro prezzo; a volte per guadagnartela la devi perdere del tutto!
Non so l’inferno che hai passato, l’ho letto dai tuoi libri, ho cercato di capirlo fino in fondo, ma solo tu puoi essere testimone della tua sofferenza. Quello che posso dirti però è che questo incontro mi ha cambiato la vita. Non sapevo nemmeno che cosa fosse l’ergastolo finché un giorno non ho letto della presentazione del libro tuo e di Pugiotto a Firenze, e da lì è iniziato il mio viaggio. Ti ringrazio di tutto, di ogni singola parola che ci siamo scambiati, della tua dolcezza nel raccontare le cose, della tua accoglienza, della tua voglia di donarmi in po’ di te stesso, del tuo interesse verso tutti noi studenti e di tante altre cose che porto nel mio cuore. E se penso che ti “abbiamo” (perché questa è una colpa che tutti abbiamo a livello societario) tolto tutti questi anni di vita, mi sento profondamente in colpa e mi sento in dovere di chiederti scusa per non aver fatto molto per cambiare le cose. Perché è giusto che le cose cambino ed è giusto che nessuno muoia in carcere senza la speranza di poter uscire.

      Concludo dicendoti che sei sempre nei miei pensieri, perché se qualcuno mi chiedesse oggi cosa significhi essere libero io penserei a te, perché sei un esempio di intelligenza e di libertà interiore.
Ciao Carmelo un abbraccio forte e un sorriso.

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Ciao Anna,
sul treno che prendo al mattino quando esco dal carcere ci sono molti ragazzi che vanno a scuola. Questa mattina alcuni di loro si passavano la palla con le mani e alcuni passeggeri li guardavano male. Io, invece, sorridevo loro e quando la palla per caso è andata a sbattere sul mio posto a sedere, l’ho raccolta e, con timidezza, mi sono messo a giocare con loro. Quando prendo il treno, mi siedo sempre nel posto vicino al finestrino. A differenza degli altri passeggeri che guardano il loro telefonino, io mi metto ad osservare il panorama che sfreccia davanti a me. E mi viene in mente con tristezza quando mi traferivano da un carcere all’altro con le manette ai polsi e vedevo la libertà solo dai fori della parete del blindato.
Ieri notte, un mio compagno che ha continuamente paura del terremoto, ci ha svegliato alle due di notte perché aveva sentito la branda tremare. Io non sentito nessuna scossa e gli ho detto di spegnere la luce e di mettersi a dormire tranquillo perché i carceri, a differenza delle case, li costruiscono solidi e tutti in cemento armato per non fare scappare i prigionieri.

     Non c’è nulla da fare: alla sera, appena passo la porta dell’Assassino dei Sogni, sento l’inconfondibile puzza di ogni prigione in cui sono stato: l’odore di dolore. Al mattino, quando arrivo nella struttura dove lavoro, mi faccio subito una doccia per levarmelo di dosso.
Da poco tempo sono stato qualche giorno in licenza da mio figlio e ho avuto la conferma che in alcuni casi i “cattivi” cambiano, ma i buoni non cambiano mai. Infatti una notte, alle due in punto, la polizia ha suonato il campanello per controllare se ero in casa. Mio figlio è venuto in camera a svegliarmi ed insieme a lui si sono alzati anche i miei due nipotini. Questa visita fuori luogo e fuori orario mi ha ferito perché ho capito che per molti rimarrò sempre l’uomo del reato. Inoltre, mi è dispiaciuto soprattutto per mio figlio perché immagino abbia rivissuto la notte in cui sono venuti ad arrestarmi.
All’indomani, per la prima volta nella mia vita, sono andato a prendere a scuola i miei nipotini e l’ultimo giorno di licenza l’ho trascorso solo con loro. Così mi sono messo da parte nel mio cuore le belle emozioni che ho provato, per i giorni tristi che verranno. Purtroppo sono sicuro che verranno perché il mio fine pena, anche se di giorno uscirò dal carcere, rimarrà sempre il 9.999.

Carmelo Musumeci
Anna (…)

Luglio 2017

Dell’Utri, i BR e i bambini in carcere… di Piero Sansonetti

Trovo molto efficace e ben scritto questo articolo di Piero Sansonetti, che è stato pubblicato su “IL DUBBIO” e che voglio condividere anche su questo Blog.

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Quasi 57mila persone passano il ferragosto in carcere, la cosa non interessa molti. Giornali, intellettuali e politici son tutti presi dalla smania di buttar la chiave

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Oggi è ferragosto e gli italiani sono quasi tutti in vacanza. I ricchi in luoghi di lusso, i mezzo- borghesi un po’ intruppati, i poveri a casa loro, alcuni allegri, alcuni tristi.

Poi ci sono 56 mila e 766 persone che non sono in vacanza. Sono in carcere. Di loro, a parte gli addetti ai lavori e gli amici radicali ( e qualche volta il papa), non si occupa nessuno. Loro passano un ferragosto di dolore, come tutti gli altri giorni dell’anno, aggravato dalle sofferenze a volte insopportabili del caldo. Pigiati nelle celle, perché le celle sono piccole e ospitano molti detenuti, spesso molti di più di quelli che possono contenere. Tra questi quasi 57 mila nostri fratelli disgraziati, ce ne sono 730 che sono rinchiusi in regime di 41 bis. Cosa vuol dire? Semplicemente vuol dire “carcere duro”, una espressione che dopo la caduta del fascismo era stata cancellata dal nostro linguaggio, ed è tornata prepotentemente negli anni 90. Queste 730 persone, delle quali circa 100 sono in attesa di giudizio, non possono ricever visite se non una al mese e da dietro una vetrata, vivono isolati 24 ore su 24, senza tv, senza radio, non possono cucinare, non possono lavorare, non hanno l’ora d’aria con gli altri detenuti. Dell’Utri, i brigatisti, i bimbi in cella. Una cosa li unisce: sono persone…

Una specie di Cajenna. E siccome sono quasi tutti accusati di essere mafiosi, è quasi impossibile immaginare che qualcuno, nel mondo per bene, abbia una parola gentile, o persino un nascosto pensiero affettuoso nei loro confronti.

Eppure sono persone. Persone come tutti noi. La maggior parte di loro è colpevole di vari e talvolta efferatissimi delitti, alcuni invece – forse pochi – sono vittime di errori giudiziari, più frequenti di quel che si crede, in Italia. Tutti, però, sono persone. Tra le altre persone che passeranno in carcere il ferragosto ci sono anche 64 bambini. Per fortuna solo 64. Ma non sono pochissimi 64 bambini di meno di tre anni. In cella, con la loro mamma, qualcuno anche col fratello o con la sorellina. La maggior parte di questi bambini è straniero: 40 stranieri contro 24 italiani. Eppure, sebbene la maggioranza sia straniera, questa massa di bambini sicuramente riuscirà, più dei mafiosi, a strappare qualche buon sentimento, forse un sorriso, forse una parola di pietà, anche nel mondo perbene. Con i bambini ci sono 50 mamme. Più della metà straniere. Molte rom, o senza fissa dimora. In genere non scontano pene lunghissime, pochi anni o qualche mese. Ma sono recidive. Piccoli furti, borseggi, qualche truffa. Recidive e dunque niente scarcerazione.

Ci sono anche delle persone famose in carcere. Generalmente le persone famose non suscitano nessuna simpatia. Spesso stimolano i sentimenti della rivalsa e della vendetta. “Hai avuto una vita agiata, sei stato potente? Ah ah: ora paghi, soffri maledetto”. E spesso questo senso di rivalsa e di vendetta non è nemmeno un sentimento che si nasconde, del quale ci si vergogna. Anzi lo si esterna con soddisfazione, si grida forte. Poi magari si va anche a messa, dopo.

Tra le persone famose ne ricordo tre, perché conosco bene la loro vicenda giudiziaria. Un medico, un senatore ed un ex senatore. Il medico si chiama Pier Paolo Brega Massone, è in cella da nove anni. Lo accusano di cose orribili, di avere operato pazienti che sapeva inoperabili, e di averli uccisi, per prendere qualche rimborso. Lo hanno imputato per quattro omicidi volontari e condannato all’ergastolo. Sebbene in sede civile fosse stato assolto, e dunque qualche dubbio sulla sua colpevolezza fosse evidente. La Corte d’appello, di fronte a una perizia del Pm che diceva “colpevole” e una perizia della difesa che diceva “innocente”, si è rifiutata di nominare un perito indipendente e ha creduto al Pm. Brega Massone chiedeva solo quello: un perito indipendente. Lui si è sempre dichiarato del tutto innocente, e molti medici, esperti, dicono che ha ragione. Ora la Cassazione ha stabilito che sulla base delle prove raccolte non può certo trattarsi di omicidi volontari. Sono eventualmente omicidi colposi. Niente ergastolo, bisogna ricalcolare la pena. C’è tempo, c’è tempo, hanno risposto i magistrati. E lui sta i carcere. Tra poco fa dieci anni. La moglie cerca di tirare avanti, lavoricchiando, con una bambina di 13 anni, perché il marito non produce più reddito, bisogna assisterlo in prigione, pagare gli avvocati…

Il secondo caso è quello che conoscete tutti. L’ex senatore Marcello dell’Utri. E’ in prigione da quasi tre anni. E’ accusato di un reato che non è scritto nel codice penale: concorso esterno in associazione mafiosa. Una specie di offesa al vocabolario e alla sintassi. La Corte europea ha stabilito che quel reato, seppure esiste, esiste dal 1994. I fatti imputati a dell’Utri sono degli anni 80.

E’ chiaro che deve uscire. Perché non esce? La “compagnia dell’antimafia” non vuole, e talvolta i magistrati subiscono la pressione della “compagnia antimafia”. E poi dell’Utri è molto amico di Berlusconi, e se non si può mettere dentro Berlusconi si tiene in prigione, finché si può, un suo amico. Siccome non c’è il reato, tecnicamente Dell’Utri è un prigioniero politico.

Poi c’è il giovane senatore Caridi, del quale abbiamo parlato nei giorni scorsi. E accusato di associazione mafiosa. Prove? No non ce n’è. Ci sono alcune dichiarazioni dei pentiti di una decina d’anni fa. Dichiarazioni già considerate non attendibili dai giudici di allora, ma poi, si sa, i tempi cambiano. Uno di questi pentiti ha dichiarato di aver assistito a un incontro segreto tra Caridi e un certo boss mafioso nel 2007. Sarebbe la prova regina della colpa del senatore. Poi si è saputo che nel 2007 ‘ sto boss mafioso era al 41 bis. Non poteva incontrare proprio nessuno, tantomeno di nascosto. Però non è stato cancellato il pentito è stata corretta la data…

Cosa c’entra quel cuore di pietra di Dell’Utri coi bambini di tre anni? C’entra, perchè sono persone: nello stessissimo modo sono persone. E dovrebbero interessarci. Invece all’opinione pubblica sembra interessare solo che le carceri siano piene. Sempre più spesso si sente dire, anche da persone responsabili, importanti: «Buttate la chiave! » Recentemente due giornali nazionali di grande prestigio hanno protestato. Una volta perché un boss era stato portato a casa per 12 ore a vedere la mamma ammalata. E poi si è saputo che non era neanche vero. Un’altra volta, pochi giorni fa, perché Carminati ( che non è più al 41 bis perché è stato assolto dal reato mafioso), adesso può spassarsela all’ora d’aria, può cucinare in cella, incontrare i parenti una volta a settimana per un’ora filata…

C’è un verso famoso di una canzone di Fabrizio de André che dice così: «tante le grinte, le ghigne i musi, vagli a spiegare che è primavera… e poi lo sanno ma preferiscono vederla togliere a chi va in galera». Già, proprio così. Se vengono a sapere che ora Carminati può cucinarsi un uovo sodo fremono come bestie.

E siccome abbiamo citato De André torniamo agli anni d’oro di De André, tra i settanta e i novanta. In quegli anni in Italia il tasso di criminalità era molto, molto più alto di ora. C’era il terrorismo, la mafia uccideva quasi tutti i giorni. Erano di più i furti, le rapine, le aggressioni. Le città non erano molto sicure, perché la violenza era alta. Beh, sapete quanti erano i detenuti, in quegli anni? Ho dato un’occhiata agli annuari Istat. Nel 1976, che è l’anno nel quale esplode il terrorismo, i detenuti erano 53,2 ogni 100.000 abitanti. Oggi invece sono 107, 4 ogni centomila abitanti. Un po’ più del doppio. Nel 1992, dopo più di un decennio di terrorismo scatenato e mentre era in pieno svolgimento la durissima iniziativa mafiosa, e cioè l’attacco frontale allo Stato deciso dai corleonesi, i detenuti erano 35.000, più o meno a parità di popolazione. 21 mila meno di oggi. Se volete qualche altra cifra dell’Istat posso dirvi che della attuale popolazione carceraria circa il 35 per cento è in prigione senza condanna definiva e circa il 20 per cento è in prigione senza aver ricevuto nessuna condanna, neanche di primo grado.

Qualunque manuale di sociologia ci spiega che con l’avanzare della civiltà le carceri si svuotano, piano piano. Le pene diventano sempre meno severe, crescono le misure alternative. Da noi no: è una corsa a far diventare le pene sempre più pesanti. Il numero dei carcerati è tornato quello degli anni trenta, durante il fascismo. I trattamenti si sono inferociti. Il 41 bis è un obbrobrio giuridico. Ed è un obbrobrio anche l’ergastolo ostativo, cioè la prigione a vita senza possibilità di una scarcerazione anticipata, senza un permesso premio, niente. E a me sembra un obbrobrio anche la situazione di circa 30 ex brigatisti rossi che sono stati dimenticati in carcere, chi da trentacinque chi da quarant’anni. Non usciranno mai. Serve a qualcuno?

In questi giorni stiamo pubblicando, a puntate, il trattato di Cesare Beccaria sui delitti e le pene. Nelle prime righe spiega come ogni pena non necessaria sia espressione della tirannia. Diceva proprio così, nel settecento, Beccaria: tirannia. Sono passati due secoli e mezzo, ma mica lo abbiamo capito…

La mia vita… di Antonio Rodà

“La mia vita” è una delle poesie di Antonio Rodà -detenuto nel carcere di Marassi- che ci sono giunte tramite la nostra Grazia Paletta.

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LA MIA VITA

In un paese del Sud dopo avermi partorito, mia madre mi ha abbracciato

e il mondo mi ha presentato.

Così cresco con l’educazione dei miei genitori, che mi hanno allevato con principi sani diritti e doveri. Oggi la vita ti porta a tanti cambiamenti, meno o più importanti,

la famiglia, lo studio, il lavoro, e tanti punti,

anche l’allontanarsi dalle origini e gli ambienti.

Posso oggi dire che il mio cambiamento è stato veloce, scegliendo quello che più mi piace,

ho fatto tesoro delle mie capacità, andando avanti con la massima onestà,

i miei impegni seguendoli con gran voglia, sodisfatto e con amore mi sono fatto una famiglia. Tanti sacrifici si devono fare se un po’ di soddisfazione si vuole avere,

certo i tempi non sono più quelli di una volta, a che la vita è in linea, a che si ribalta,

ma al momento che pensavo di godere, mi si è presentato un conto da pagare.

La mia vita è diventata un vulcano in piena,

tutti momenti bastardi che mi abbaiano sulla schiena,

avere a che fare con legge che per giustizia usa l’astuzia, ritrovandomi io a pregare per avere una grazia, circondato da soggetti che vivono di tragedie e raggiri, che pensano che oggi contano solo gli averi,

senza parola nè rispetto nessuno pensa a quello che dice

mi sembra tutto triste tutto veloce, tra miseria guerra e pace,

adesso ho capito.. cambio registro,

è ormai finito l’inchiostro.

Mi manca la famiglia, ho tanta nostalgia, vorrei andare via,

mi nutrirei con zucchero e sale, riscaldandomi con acqua e sole,

l’importante è smettere di stare male.

Voglio

vedere la mia famiglia gioire, e il male sfumare,

voglio

una vita normale, l’odore dell’aria, toccare un animale,

voglio

la campagna, un cavallo da montare che mi dà sicurezza e tanto calore.

Dopo tutti questi colpi che ho rimediato,

è tutto cambiato,

dopo caduto mi sono rialzato,

se la vita mi presenterà il conto ….risponderò

già pagato…

 

Genova, 01/02/2017                                                               

Antonio Rodà

Guardando le stelle…. di Antonio Rodà

Pubblico oggi la poesia “Guardando le stelle” di Antonio Rodà, detenuto a Marassi, e che ci è giunta tramite la nostra Grazia Paletta. La prima versione della poesia è in dialetto.. la seconda è in italiano..

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“Guardandu li stelli”

Stelli chi ndi lu cielu vui brillati

una la vota la notti cumpariti,

che bella l’imponenza chi vui dati

di la gran luna li patruni siti.

Stelli vi guardu eu sempri affascinatu

specialmenti quandu mi sentu perdutu, e si lu celi capita nuvolatu

non sacciu a cu mi nci cercu aiutu.

Stelli che bellu lu vostru luciri

Siti perfetti sembrati finti fari,

non siti a correnti siti comu lumeri

vi viu moviri e luci naturali.

Stelli ora è notti funda e ura di dormiri

non aiu sonnu ma mi lu fazzu veniri,

mi dispiaci chi non vi staiu più a guardari,

ma cercu mi chiudu l’occhi cu li me penseri.

Stelli vui una di più belli creaturi

chi signuri fici

staci venendu iornu e vi ritirati,

ma ndi vidimu domani sira

è penseru meu

facitinci luci a lu cielu

chi a la terra luci fazzu eu.

 

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“Guardando le stelle”

Stelle che nel cielo voi brillate

una ad una la notte comparite,

che bella l’imponenza che voi date

della gran luna le padrone siete.

Stelle vi guardo io sempre affascinato

Specialmente quando mi sento perduto,

e se il celo capita che è cupo

non so a chi chiedere aiuto.

Stelle che bello il vostro luccicare

Siete perfette sembrate finti fari,

non siete a corrente siete come lumi

vi vedo muovere è luce naturale.

Stelle adesso è notte piena è ora di dormire,

non ho sonno, ma me lo faccio venire

mi dispiace che non vi sto più a guardare

ma cerco di chiudere gli occhi con i pensieri.

Stelle voi una delle più belle creature

che il Signore fece,

sta venendo giorno e vi ritirate,

ma ci vediamo domani sera

e pensiero il mio

fate luce al cielo,

che alla terra luce faccio io.

 

 Antonio Rodà

 Genova Marassi 31/10/2016

“Legittima difesa” di Gino Rannesi

Si avvicinano le elezioni, e gli sciacalli affilano le armi.

Ecco che la paura diventa parte integrante della campagna elettorale…

La Polizia arresta i delinquenti e i magistrati li scarcerano”, e poi ancora: “Gli extracomunitari vengono a rubare in Italia perché con le leggi vigenti, anche se tratti in arresto, uscirebbero dopo pochi giorni”. E, ciliegina sulla torta, “Legittima difesa”…

Chi scrive, è uno che ne ha avuto abbastanza, ma che, tuttavia, pare che non gli si voglia perdonare il fatto di essere riuscito a non farsi ammazzare…(legittima difesa);

La Polizia li arresta e i magistrati li rimettono subito in libertà? Ma dove? Quando? Se così fosse, mi chiedo, ma io dove cazzo sono vissuto fino ad oggi?

Chi scrive è uno a cui è stato detto: Prima di tornare libero devi espiare 30 anni di dura galera.

Orbene, detto fatto, ho espiato i 30 anni che mi erano stati comminati, senza fiatare, e, anzi, mi sentivo fortunato. Infatti, se da ragazzino ero riuscito a non farmi ammazzare, da grande ero riuscito ad evitare la pena perpetua.

Chi scrive è uno che dopo aver scontato 30 anni di dura galera, è stato rimesso in “libertà”…

Chi scrive è uno che dopo essere stato rimesso in libertà, a distanza di circa due mesi, è stato nuovamente arrestato. Infatti, un magistrato ha ritenuto di impugnare il provvedimento di scarcerazione emesso da altro magistrato, sostenendo che vi fosse un vizio di procesura… (Nulla da dire, ci può stare, ho sbagliato io, ha sbagliato l’avvocato, tutti possono sbagliare, a breve tornerò libero…)

Il motivo per la quale questa storia è stata resa pubblica è il seguente:

Care persone perbene, dico a voi, a voi che a breve sarete chiamati alle urne, per il bene dei vostri figli, vi scongiuro, davvero, non date il vostro voto a coloro che cavalcano la paura, non fatelo… parlano di legittima difesa per non parlare di lavoro, etc., sono tarlati dalla corruzione, pur di andare al governo mangerebbero i nostri figli a colazione…

Ho passato così tanto tempo nelle patrie galere da potervi assicurare alcune cose che qui riporto:

non è affatto vero quanto affermano taluni prezzolati, ossia “la polizia li arresta e i magistrati li rimettono in libertà”, infatti, salvo rari casi, chi entra nelle galere italiane, conosce la data del suo arresto, ma non saprà mai quella della definitiva scarcerazione, e di questo io ne so qualcosa…

Alcuni “illustri”personaggi sostengono che gli extracomunitari vengono a rubare nel nostro paese perché le leggi italiane, in caso di arresto, garantirebbero loro una sorta di immunità, infatti, secondo taluni “luminari”, è luogo comune il fatto che in Italia se vieni arrestato poi sarai scarcerato in breve tempo. Dunque, vengono a rubare in Italia perché certi di farla franca?Noooo! Vengono a rubare in Italia perché il nostro paese, nonostante corrotti, corruttori e grandi evasori, è ancora uno dei paesi più ricchi. Infatti, costoro, (gli extracomunitari), una volta arrestati, chiedono di scontare la loro pena nei paesi di provenienza, e sapete perché? Perché nei paesi dell’est, così come in tanti altri paesi, non c’è la pena perpetua, non esiste il carcere duro e, inoltre, l’accesso ai benefici penitenziari e/o alle pene alternative al carcere sono molto più facili da ottenere… (anche loro hanno “l’art. 27” e che minchia!). Le nostre carceri sono piene di extracomunitari, ce ne sono più di quanti ne possiate immaginare, e col cazzo che escono. Molti di questi, secondo la legge, potrebbero essere rimpatriati e scontare la galera inflittagli nei loro paesi, ma questo non avviene quasi mai, non sia mai….

Con riferimento alla legittima difesa, poi badate bene stolti, dico a voi, a voi che cavalcate la disperazione altrui, sappiate che una pistola in casa altro non è che un incentivo per il ladro, infatti, se questi non verrà per rubarvi l’auto, verrà per rubarvi l’arma… Basterebbe che qualche persona di buona volontà chiedesse lumi circa il fatto di quante armi ogni anno vengono sottratte ai legittimi proprietari… (è cosa assai nota che: più armi in giro=meno sicurezza per tutti…) Non date il vostro voto agli sciacalli, gli stessi che vorrebbero risolvere tutti i problemi armando i cittadini e riempiendo le carceri, gli stessi che non diranno mai come stanno realmente le cose, ossia che i reati negli ultimi anni sono di gran lunga diminuiti, che fra gli stati Europei, e non solo, l’Italia è la più sicura. E invece no, facciamoci del male, continuiamo a buttare merda sul nostro paese.

Pur di vincere venderebbero le loro madri, ma noi non dobbiamo “vendere” i nostri figli. Certo, c’è un problema di sicurezza, ma gli sciacalli si adoperano per far sì che la percezione della stessa sia di gran lunga superiore al reale problema che pure c’è… e allora bisognerebbe urlare a squarciagola: più lavoro, più sicurezza… le armi se li ficcassero in quel posto… Ma allora a chi dovremmo dare il nostro voto? Certamente a persone oneste, ma anche capaci, perciò non ci rimane che votare per i RADICALI della buonanima di Marco Pannella. “Sono solo quattro gatti”, e allora facciamo in modo che diventino una moltitudine, mandiamoli in Parlamento e per i delinquenti che usurpano quelle poltrone sarebbe la fine. E, badate bene, non è necessario che questi ultimi vincano le elezioni, basterebbe che superassero lo sbarramento del tre o del 4 per cento, per mandare in Parlamento alcune decine di persone veramente oneste…Vi invito a fare una ricerca su chi sono i RADICALI di Marco Pannella, Emma Bonino, Rita Bernardini etc., E poi tesseratevi, iscrivetevi al partito di Marco Pannella, facciamolo per i nostri figli…

A Dio piacendo, prima delle prossime elezioni nazionali, sarò certamente libero, e, quanto è vero che Dio esiste, nel mio piccolo, farò campagna elettorale per i RADICALI…

Comici, Miliardari, Cavalcatori della disperazione altrui, Finti Razzisti, Fascisti e Sfascisti, (quelli del tanto peggio tanto meglio), Fanculo!

Un caro saluto a tutte le persone che mi vogliono del bene… vi abbraccio forte, e non piangete per me, piangete piuttosto per coloro che si ostinano a fare il male… io torno subito…bye bye.

Gino Rannesi

Maggio 2017

 

Reclamo di Alessio Attanasio contro il carcere di Sassari

Pubblico oggi questo reclamo che ci è giunsto da Alessio Attanasio, detenuto nel carcere di Sassari.

Alessio Sassi denuncia la Direzione del carcere di Sassari, contestando gravi comportamenti.

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Alla Procura della Repubblica Di Sassari

Il sottoscritto Alessio Attanasio nato il 16-07-1970 a Siracusa, sporge                                                                                    Denuncia-Querela Per i reati di soppressione di corrispondenza, falso, diffamazione e calunnia, contro il direttore della C. Cle di Sassari Patrizia Incolla e contro il secondino addetto all’ufficio censura i quali, all’atto del trattenimento della missiva in arrivo di cui al verbale n. 225/16 del 06-09-16 avente per mittente Antonio (Nino) Micalizio, avevano a scrivere che questi voleva << indicare al detenuto quale sia l’attuale strategia del sodalizio mafioso, cui entrambi risultano appartenere›› (vedi ord. MDS di Sassari n. 2016/5396 SIUS del 13-09-2016). Tuttavia, da quale atto risulti tale asseverazione non è dato di sapere posto che, al contrario, Antonio Micalizio ( SR 16-09-1968) risulta essere un intellettuale, uno scrittore, un onesto cittadino assolutamente incensurato, lontano anni luce dalle vicende criminose in cui è stato coinvolto suo malgrado l’Attanasio. La vicenda trae spunto da una missiva scritta dal Micalizio allo scrivente con la quale coautore del libro “La perturbanza”, http://www.lulu.com, ovverosia perché << strada facendo ho avuto paura di affiancare il mio nome al tuo (per ovvi motivi, giacché io a Siracusa ci vivo e non è detto che qui tu abbia soltanto amici)›› ( ibidem ). Che la vicenda sia stata strumentalizzata dal direttore dell’istituto e dal secondino addetto alla censura è stato accertato dal1°uff1cio di sorveglianza di Sassari con l’ordinanza più volte richiamata secondo cui << è ragionevolmente comprensibile lo scrupolo del mittente in ordine all’opportunità di non apporre anche il nome dell’Attanasio nel libro». Una volta, pertanto, che è stato accertato in sede giurisdizionale che la missiva è stata trattenuta pretestuosamente affermando il falso, con accuse nei confronti del Micalizio risultate palesemente infondate e calunniose, una volta accertato ciò (visto che l’ordinanza non è stata nemmeno impugnata dalla direzione ed è pertanto passata in giudicato) non si può che procedere contro i responsabili non solo per i reati di cui agli artt. 368, 479, e 595 c.p., ma anche per il reato di cui all’art. 616 c.p. dal momento che secondo la giurisprudenza di legittimità << si ha soppressione [di corrispondenza] anche se il destinatario è privato della corrispondenza per un tempo indefinito» (Cass.  12-03-51, lorio, c.p. 51,11, 1208). Chiede di essere avvisato ex art. 408, comma 2, c.p.p. in caso di richiesta di archiviazione. Nomina 1°avv. Maria Teresa A. Pintus del foro di Sassari. Sassari 31 ottobre 2016 ln fede Alessio Attanasio

 

Urgentissimo

Al Tribunale TDS di Sassari. Al MDS di Sassari. Al MDS di Macerata. A MDS di Reggio Emilia. Al DAP. Al PRAP della Sardegna. Al Garante dei Detenuti. All’Università di Sassari.

Oggetto: Richiesta consegna testo universitario con copertina rigida acquistato in istituto.

Il sottoscritto Alessio Attanasio nato a Siracusa il 16-07-1970, attualmente ristretto C/o la c.cle di Sassari e regolarmente iscritto al corso di laurea in scienze dei servizi giuridici presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università degli studi di Sassari (matr. 50012404); Premesso l’esistenza delle seguenti ordinanze passate in giudicato:

1) TDS Sassari 01-10-2015, n. SIUS 2015/1084 (agevolare il percorso universitario); 2) TDS Sassari, 07-04-2016, n. SIUS 2016/99 (agevolare – non ostacolare ~ gli studi); 3) MDS Sassari, 21-11-2015, n. SIUS 2015/5042 (volume con copertina rigida); 4) MDS Reggio Emilia, 13-05-2011, n. 2011/3856 recl. (libri con copertina rigida); 5) MDS Macerata, 24-09-2015. n. SIUS 2014/3210 (libri con copertina rigida);

Chiede

L’immediata consegna del volume con copertina rigida “Manuale di diritto penale” di G. Marinucci e Dolcini, Giufrè 2015, acquistato in istituto per il tramite dell’impresa di mantenimento, indispensabile per la preparazione dell’esame relativo alla materia di “Istituzioni di diritto e procedura penale” (volume indicato nella guida dello studente – Dipartimento di giurisprudenza A.A. 2016/2017).

In Fede Attanasio Alessio

Oristano 7 dicembre 2016

Ergastolo ostativo… di Salvatore Pulvirenti

Il nostro Salvatore Pulvirenti, detenuto nel carcere di Oristano, ci invia alcune sue riflessioni su un tema cardinale, fin dall’inizio, per questo blog.. l’ergastolo ostativo.

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Prima di iniziare a scrivere questo mio scritto, voglio descrivere a persone che vivono fuori da questo contesto, che cosa sia l’ergastolo ostativo.

L’ergastolo ostativo è quella pena che non ha un fine, cioè, non potrai uscire dal carcere e non puoi accedere ai benefici. Dovrai passare tutta la tua esistenza in un istituto di pena, invecchierai e morirai, non conoscerai niente di tutto quello che concorre fuori. Vivi una vita che secondo un mio giudizio non ha senso di viverla, perché tutto quello che farà l’ergastolano ostativo in un istituto di pena, giova solo a se stesso, ad altri non gliene può fregar di meno, perché non ti conoscono. Figli, nipoti e parenti più stretti non sanno chi sei, e se lo sanno, per loro sei diventato come un estraneo.

Trascorsi parecchi anni, dentro un istituto di pena, non puoi relazionarti con la realtà di fuori, e nello stesso tempo sei escluso totalmente dalla società, se sei fortunato e uscirai dal carcere che è molto difficile, impiegherai moltissimi anni ad inseriti nella nuova società. Ultimamente si è parlato tanto di questa ignobile pena che è stata equiparata alla pena di morte, nonostante i tantissimi appelli, anche dal Santo Padre, per abolire questo indegno mostro che ci divora, ogni giorno che passa, non si capisce quale sia la ragione e lo scopo per tener in vita questa pena anacronistica.

Ho sentito parlare tantissime persone delle istituzioni, e hanno confermato che la pena dell’ergastolo in Italia deve essere abolito, ma quando poi si arriva al dunque queste persone fanno un passo indietro, e non si capisce quale sia il motivo.

L’essere umano nell’arco di tutta la sua esistenza ha dei cambiamenti sia fisici e mentali, questo è stato approvato scientificamente dalla scienza. Se non si vuole abolire l’ergastolo, perché non si cerca un’altra alternativa? Nel senso, se una persona deve rimanere tutta la sua vita in carcere, perché non inserirlo nella società tramite benefici penitenziari, in modo che lo stesso si possa fare una vita, anche se poi resta legato a quell’orribile pena. Tenere un ergastolano tutta la vita in carcere a che cosa giova? Lo stato ci tiene in vita, spreca tantissimi soldi, sì perché un detenuto costa allo stato più di cento euro al giorno. Sarebbe giusto investire questi soldi per altri motivi o per scopi umanitari.

Quello che scrivo potrebbe essere sbagliato, ma se si facesse un po’ di riflessione sull’ergastolo ostativo, qualcuno potrebbe cambiare anche modo di pensare.

Oristano febbraio 2017. Salvatore Pulvirenti.

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