Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

Archivio per il tag “raffinato”

Giudici e Avvocati… di Sebastiano Milazzo

Sebastiano Milazzo -detenuto a Carinola- è uno dei detenuti più riflessivi, acuti e raffinati tra quelli che scrivono su questo Blog.

Nell’archivio dei testi pubblicati potrete trovare alcuni suoi  pezzi che meritano di essere assolutamente letti per il loro valore intrinseco, e per il modo, anche estetico, in cui sono resi.

Questo piccolo frammento-sfogo che oggi pubblico, non va preso come una dichiarazione dogmatica.

Nella realtà la generalizzazione è sempre fuorviante, e ci sono tanti giudici ed avvocati che credono in quello che fanno, e che ci mettono, passione e cuore, nonostante tutto.

Il testo di Sebastiano reagisce alla tendenza, a quella che sente come la “tendenza”, al di là di chi invece continua a “remare contro”.

E la tendenza è vista come un mare denso e grigio che lentamente, ma inesorabilmente, affonda in un quieto vivere stanco e monocorde, e anche opportunista.. la “spinta iniziale”.  

Sbaglierebbe chi vedesse in questo piccolo testo una pura invettiva. E’ piuttosto un testo amaro sulla perdita dello “slancio”, dell’idealismo originario.. e sull’atrofizzarsi della passione.

Si parla di giudici ed avvocati, ma il discorso potrebbe essere esteso. Semplificando è come se ci fossero due ti pi di uomini. Quelli che fino alla fine mantengono gli ideali della propria giovinezza, lo “slancio vitale” originario.. e chi lo perde, declinando la sua vita in un ritmo opaco di gestione del quotidiano e di resa progressiva al “così si deve fare”. Chi giunge a vivere a così, in un certo senso, ha anticipato emotivamente e spiritualmente, la morte fisica. Il corpo continua a muoversi diciamo, come un involucro vuoto.

Vi lascio a queste brevi riflessioni di Sebastiano Milazzo.

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Giudici e Avvocati

 

Chi crede che il mestiere del giudice e dell’avvocato consiste ancora nella difesa dei diritti violati, se ha la sventura di incappare in una vicenda giudiziaria, e poi entrare in un carcere italiano, si ricrede immediatamente.

Eppure, gli uni e gli altri giurano fedeltà alle leggi e alla Costituzione.

Nel giorno del giuramento, ogni giudice e ogni avvocato sente di essere entrato nel tempio della Giustizia, e di far parte, romantico tra i romantici, dell’esercito di Robin Hood, difensore dei diritti violati e nemico delle ingiustizie.

Poi la maggioranza si rende conto di come stanno realmente le cose, e smette di onorare le loro professioni con la passione e la lealtà necessaria.

Persino gli avvocati perdono l’eloquio per l’esercizio dell’indignazione, e di fatto rinunciano ad una vera difesa dei diritti violati.

Su tutti, oggi, aleggia più il potere del pregiudizio che della legge.

Il potere del pregiudizio fa temere per la sua ira e la sua vendetta, e l’indifferenza fa ormai parte della mancanza d’indignazione per le ingiustizie, ritenute ormai parte delle stesse libertà inalienabili e irrinunciabili, perse e indifendibili.

L’arte di Pierdonato Zito

Pierdonato, è uno di quelli della prima ora. I suoi interventi non sono frequenti, ma sempre di assoluto valore.

Ha qualcosa dei personaggi dei romanzi ottocenteschi e cavallereschi. Molto pacato, riflessivo, raffinato, qualcuno che sembra esprime in ogni scritto, parola e crezione.. l’arte di vivere. E so che qualcuno adesso sta ridendo.. “come? Esprime l’arte di vivere qualcuno che adesso è in carcere?”. Il guaio di un pensiero binario, ossia.. statisticamente prevedibile e scontato.. è che non sa aprirsi alla complessità e paradossalità del mondo.

Pierdonato ha vissuto in condizioni problematiche, il carcere l’ha messo a dura prova, ha le sue ostiche esperienze alle spalle. Eppure resta in piedi col suo stile. Riesce a tenere la vita per la coda e per i capelli. Ha trovato la sua via alla resistenza (come la via di Gerti Gjenerali, di cui abbiamo parlato ieri, è lo studio e la scrittura).

E lui costruisce la sua costellazione per aggrapparsi a ogni singola notte e non precipitarne nel vuoto, tenendo stretto il rapporto straordinario che ha con la moglie e i figli… e disciplinando da sempre se stesso, nell’approfondimento, nella riflessione, nella coltivazione mentale, nella creazione artistica.

Pierdonato scrive..

“Il niente della vita carceraria può uccidere per sempre l’anima e la fantasia del condannato. Un niente fatto di vuoto e disperazione, specie per chi è incatenato ad una pena che durerà tutta la sua vita.”

A questo niente Pierdonato ha sabuto opporre il Valore in atto.

Ed è una piccola e costante lotta, amici. Ogni giorno si deve lottare per strappare ancora quel giorno al sonno e all’oblio e per coricarsi ancora una volta vivi, ancora una volta veri, ancora una volta.. “in piedi” (e a chi dice che non ci si può coricare “in piedi”.. auguriamo una vita con più fantasia e.. immaginazione…).

E la pittura trascina Pierdonato fuori dai blocchi di cemento. Sei là.. pennello in mano.. dai vita e terreni, e figure a storie che ti camminano addosso ed escono da te.. accendi quel fuoco.. quel fuoco di cui lui parla quando scrive..

Così quel piacere che provavo nella sala pittura me lo sono portato con me in cella. Nel mio sarcofago.. che ho trasformato con tele colorate.. a spazio creativo, la boutique dei bei pensieri (come dice Padre Luciano). Mentre “vivo” senza conoscere il mio destino, mentre la finestra con grate e sbarre mi rende spettatore del mondo, mentre i cancelli mi impediscono la vita, mentre le pareti mi stanno strette, mentre il tetto mi impedisce di osservare il cielo e mentre queste mura  mi sono appiccicate addosso come fossere un pesante cappotto di cemento di ferro, io… ho acceso i fuoco all’interno del mio animo, per scaldarmi, per sopravvivere.”

Come leggerete nella lettera che precede le foto dei dipinti.. Pierdonato mi ha mandato una serie di foto di opere da lui fatte.. non più con la tecnica del disegno classico, come in precedenza, ma della pittura ad olio. E vi invito ad ammirare come, pur con una tecnica che padroneggia da pochissimo, Pierdonato sia stato capace di fare un grande lavoro.

Io non ho pubblicato tutte le foto che mi ha inviato. In questo post ne pubblico sei. Altre le pubblicherò successivamente.

Il prosieguo del post sarà quindi strutturato così:

-Una lettera di accompagnamento alle opere, di Pierdonato.. rivolta a tutti i lettori del Blog.

-E la riproduzione in foto di sei opere.

Prima di tre di essere c’è un piccolo commento introduttivo, che Pierdonato ha desiderato fare, e che io ho riportato.

Adesso vi lascio ai suoi quadri..

Buona visione viandanti di questo territorio chiamato Le Urla dal Silenzio.

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Voghera   21-7-2011

Alfredo carissimo….

desidero fare a te e a tutti gli amici del Blog un (mi auguro gradito) dono visivo..

Come allegato a questa mia missiva ti spedisco buona parte delle foto dei dipinti che ho elaborato in questo periodo che sono stato “assente” dal Blog (poi te ne spedirò altri).

Un dono per la tua “GALLERIA DELL’OMBRA”…

Tante volte è stato scritto e ripetuto riguardo all’importanza del dipingere per chi è segregato in un piccolo spazio, con poca luce, con poca aria. Perfino i colori stupendi di un arcobaleno diventano in bianco e nero, per chi “vive” la pena interminabile dell’ergastolo.

Così il mio dipingere è diventato desiderio di respirare aria nuova, desiderio di “vedere” orizzonti diversi.

Perciò prima vi ho inviato fogli di carta colorata… scarabocchi.. adesso ho cambiato tecnica… olio su tela, e a volte, quando non era possibile.. anche.. olio su cartoni recuperati qua e là.

Dipingere è comunicazione. Non ho dipinto ciò che vedo, ma ciò che ricordo, ciò che ho visto, ciò che è stato e che conservo dentro di me. A volte il dipinto è per me un tentativo di ritorno nei luoghi dove sono nato. Diventano così pigmenti colorati che esprimono frammenti di memorie.

Sono sempre più convinto che dipingere sia una forma di amore verso la vita. E’ un modo di amare la vita. E’ l’immenso Amore per la vita, che non si spegne, non si esaurisce nemmeno dopo 23 anni che il mio corpo è segregato in una prigione.

E’ così carissimo Alfredo, e miei cari amici del Blog. Questa pittura ad olio, fatta di stratificazione che si sovrappongono, fatta di tantissime pennellate che insieme, paino piano, costruiscono l’intero dipinto, alla fine mi fa ritrovare la mia anima, come unica “cosa” capace di strappare l’uomo al carcere del suo destino.

L’appiattimento psicologico che la vita coatta produce da sempre, è sempre in agguato. Chi “vive” chiuso in questi cubi di cemento, da molti anni, deve per forza possedere una energia illimitata verso la vita che può poi aiutarlo a vivere, o meglio.. a sopravvivere.

Ecco perchè… DIPINGERE.. è ritrovare se stessi, in tal senso diventa terapia…

L’urlo quasi patologico di chi desidera essere libero da molti anni. Queste grida mute, diventano anche sfogo personale quando si dipinge. Così la “tela” può bussare al cuore dell’osseratore, offrendo loro aneliti sopiti di un Amore insperato.

I segni riprodotti nella tela, i colori riportati con il pennello sulla superficie della tela, non sono altro che la voce di quel tumulto di sentimenti e dell’istintiva necessità di dare un senso al giorno.

Coloro che sono immuni da esperienze dolorose fanno fatica sicuramente a recepire la sommersa richesta di un bisogno d’amore, di un bisogno di libertà, di un bisogno di normalit, in un contesto di vita dove i regolamenti e le decisioni sono prese altrove. La vita ha sempre bisogno di essere vissuta con consapevolezza e la chiave di lettura, come sappiamo, non è altrove, ma all’interno di noi stessi.

Il niente della vita carceraria può uccidere per sempre l’anima e la fantasia del condannato. Un niente fatto di vuoto e disperazione, specie per chi è incatenato ad una pena che durerà tutta la sua vita.

Contro le porte ottuse e chiuse del mondo, il detenuto che dipinge riesce invece a strappare un bel sorriso al buio della sua esistenza. E’ un pò trasformare in estro creativo la propria inquietudine.

Dopo  essere “uscito” dal regime del 41 bis fui trasferito qui, nel carcere di Voghera, l’11 gennaio 2007. Poi nel 2007 mi sono iscritto al corso di arte-terapia con la professoressa Marta Vezzoli, persona squisita. Le lezioni si tenevano una volta a settimana, nel periodo scolastico… poi le vacanze..ecc.. per me tutto ciò era insufficiente… così ho faticato, e alla fine ho ottenuto l’autorizzazione a poter dipingere in cella.

Così quel piacere che provavo nella sala pittura me lo sono portato con me in cella. Nel mio sarcofago.. che ho trasformato con tele colorate.. a spazio creativo, la boutique dei bei pensieri (come dice Padre Luciano). Mentre “vivo” senza conoscere il mio destino, mentre la finestra con grate e sbarre mi rende spettatore del mondo, mentre i cancelli mi impediscono la vita, mentre le pareti mi stanno strette, mentre il tetto mi impedisce di osservare il cielo e mentre queste mura  mi sono appiccicate addosso come fossere un pesante cappotto di cemento di ferro, io… ho acceso i fuoco all’interno del mio animo, per scaldarmi, per sopravvivere.

Il carcere a vita, questo tumore maligno che devasta chi lo vive sulla sua pelle, nulla può contro i miei pennelli e i miei colori. Allora, con le mie mani afferro i pennelli e dipingo, dipingo su tutto, anche sui cartoni. Le proprie emozioni, i propri desideri, le proprie malinconie.. si trasformano in SEGNI, si trasformano in colori, e così percorro un viaggio visivo nei miei colori che mi coinvolgno l’animo e lo spirito.

E’ in questo modo che la pittura assume una valenza salvifica. Dipingendo, provo così un senso di ristoro, una sorta di poesia viviva, una rappresentazione dei miei pensieri più intimi. Insomma, un riparo quasi spirituale.

Miei cari amici, il dipingere come lo scrivere, vuole dire, in questi luoghi, quasi creare una vita parallela, una difesa che noi abbiam contro i problemi, la mediocrità, per alcuni è anche meccanismo che permette di “fuggire”, di spostarsi, verso un mondo più bello. Così, anche in un luogo angoscioso puoi creare qualcosa di bello, e così… in silenzio… sulla tela.. è possibile udire l’eco della libertà a cui Pierdonato non smette mai di tendere.

Un abbraccio a tutti, come di persona.

Pierdonato

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Probabilmente è un cavallo arabo, ma l’ho chiamato stallone andaluso, perchè un mio amico, ogni volta che passava da vicino alla mia cella, mi esternava i suoi elogi del dipinto e lo chiamava stallone andaluso.. così questo dipinto l’ho chiamato così, trattandosi di una immaginetta piccolina che io poi ingrandito mi ricorda “Briglia d’oro”, la giumente che avevamo come mezzo di trasporto con il calesse, nella mia infanzia.

 

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Questi limoni li ho tratti da una tovaglia di un mio amico ergastolano. Questa mia ricerca di qualcosa di bello, di vivo, di naturale, tra queste pareti di cemento nudo è quelo che ho scritto.. desiderio di amore verso la vita.

 

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Il gatto di Suor Gianna. Perchè Suor Gianna mi spedì una cartolina con questo gattino che mi colpì subito e l’ho dipinto 40 X 50. Dal vivo sono più belli i dipinti ad olio. Così l’ho chiamato così, un dono per Suor Gianna, che è attenta visitatrice del Blog, con la quale ho un dialogo epistolare, proprio per avere letto gli scritti nel Blog.

 

 

 

lotta tra bande.. di Sebastiano Milazzo

Sebastiano Milazzo.. da mesi a Carinola (con tutta probabilità impacchettato e spedito là perchè fu tra coloro che protestarono quando anche a Spoleto si tentò la pratica, illegale e immorale, di aggiungere un altro posto letto alla cella degli ergastolani) è sempre un osservatore lucido, un autore raffinato, un polemista tagliente.

Questo suo pezzo è un pezzo “alla Milazzo”.. quindi è come andare sul sicuro.

Andando nel merito, la dicotomia che lui rappresenta è reale. La polemica sulla giustizia sembra ridursi allo scontro tra chi vuole garanzie solo per privilegiati e potenti… e chi fondamentalmente difende lo status quo.

Prima di lasciarvi al pezzo di Milazzo riporto un brano che merita di essere citato già adesso..

Nei confronti della pezzatura piccola, i processi sono sempre già brevi, anche perchè privi di difese e le condanne sempre pesanti, anche perchè nei confronti della pezzatura piccola, la sola che va a finire in carcere, è stato abrogato, anche se non lo si ammette, l’art. 27 della costituzione. Un’abrogazione che fa vivere i detenuti lontani dai rapporti affettivi, in carceri gestite da burocrazie volutamente demenziali, che istigano e spesso convincono al suicidio.”

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Da anni assistiamo a feroci dispite mediatiche sulla Giustizia, i toni usati sono talmente alti che, talvolta, sembra di assistere a una guerra fra bande che si battono per la difesa dei loro territori. Sono dispute, tra maggioranza e opposizione, tra magistratura e politica e rispettivi fiancheggiatori, che non hanno niente a che fare con il sacro fuoco della passione per la giustizia, infatti gli argomenti usati non si riferiscono mai a una riforma Giudiziaria seria e degna di un paese civile.

Da ogni parte si affermna che la Giustizia non funziona, nel frattempo assistiamo al paradosso che la destra annuncia riforme radicali per limitare il potere di una magistratura che attenta alla libertà dei cittadini ma poi approva solo leggi che coincidono solo con i bisogni e i desideri di pochi. Mentre la parte avversa urla e strepita contro l’avversario invocando unicamente la conservazione dell’esistente, che a detta di loro stessi, non funziona. Ultimamente si scontrano con ferocia inaudita sul bunga bunga, sul processo breve e sulle prescrizioni ridotte, ma nessuna delle due parti si sofferma a verificare come l’uguaglianza di diritti non corrisponde più a una maggiore o minore libertà per tutti, bensì alla continua ricerca di garanzie e privilegi per pochi eletti e l’illegalità istituzionale nei confronti dei senza nome e i senza fama, contro i quali, gli uni e gli altri, invocano pene sempre più alte e carceri sempre più punitivi, mentre l’allegra banda dei loro sodali in carcere non ci entrano e non ci potranno entrare mai, già con le leggi attuali, senza bisogno del processo breve e delle prescrizioni brevi.

Nei confronti della pezzatura piccola, i processi sono sempre già brevi, anche perchè privi di difese e le condanne sempre pesanti, anche perchè nei confronti della pezzatura piccola, la sola che va a finire in carcere, è stato abrogato, anche se non lo si ammette, l’art. 27 della costituzione. Un’abrogazione che fa vivere i detenuti lontani dai rapporti affettivi, in carceri gestite da burocrazie volutamente demenziali, che istigano e spesso convincono al suicidio. Argomenti mai affrontati nelle dispute mediatiche, come non viene mai affrontata la circostanza che, di fatto, è stata introdotta la pena di morte, sostituendo il patibolo con l’ergastolo ostativo ai benefici penitenziari e alla liberazione condizionale che era stata introdotta col fascismo. Milazzo Sebastiano

Gli ergastolani aspettano.. di Sebastiano Milazzo

Sebastiano Milazzo… molto rigoroso, acuto, intellettuale, raffinato…

Trasferito da mesi nel carcere di Carinola (prima era a Spoleto). Trasferimento, molto probabilmente, avvenuto per la forte protesta che lui e altri ergastolani avevano effettuato contro l’azione che molte carceri stanno tentando di porre in essere (sembra col sostanziale avallo del D.A.P.) di predisporre un’ulteriore posto letto nella cella degli ergastolani (andando  in contrasto tra l’altro con l’art. 22 del Codice Penale che stabisce l’isolamento notturno per chi è  condannato alla pena dell’ergastolo). A rendere plausibile questa interpretazione è anche il fatto che tra coloro che furono trasferiti inq uel periodo, oltre a Sebastiano Milazzo, erano compresi quasi tutti quelli che si schierarono  maggiormente contro tale prassi illegale e immorale.

Comunque, da mesi Sebastiano Milazzo è detenuto a  Carinola. Carinola è un cacere molto criticato. Non come quella palude tossica del carcere di Parma, ma comunque (Carinola) considerato un carcere “punitivo”. Una cosa che, nel concreto, sta pesando su Sebastiano, è la possibilità di non potere usare il computer, lui che è, in sostanza, “uno scrittore”.. a cui il computer è sempre stato molto utile.

Ma il suo vero dramma è spirituale e morale. La colossale lontananza dalla famiglia. Per questa lontananza dalla famiglia, che si trova in Toscana, aveva chiesto di potere essere trasferito in un carcere più vicino. Tenete conto che la moglie sta male e non può fare lunghi viaggi, i figli possono venire solo con la moglie.. la madre è pure anziana e ammalata.. In sostanza sebastiano sono quasi 20 mesi che non riesce a vedere i suoi più cari parenti.

Naturalmente il D.A.P., nella sua proverbiale “sensibilità”, ha preso a cura le esigenze familiari di Sebastiano.. e… invece di avvicinarlo… lo ha allontanato di qualche altro migliaio di chilometri dalla famiglia, mandandolo a Casa di Dio, come si dice da queste parti quando ti mandano in capo al mondo.

Vi lascio.. a queso evocativo testo di Sebastiano Milazzo.

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Gli ergastolani aspettano,

non la grazia dal cielo,

non la caritatevole benevolenza di qualche autorità.

Aspettano e sperano la cancellazione della pena perpetua,

così come avevano previsto i costituenti.

Sperano e aspettano che possa ricominciare la loro vita.

Una vita che oggi appare interrotta.

Una vita che non è solo la loro, ma la vita di uomini e donne legati da un unico destino.

Vite che aspettano e sperano di ritrovare il proprio comune cammino.

Aspettano e sperano che possa avere termine il senso di vuoto in cui da troppo tempo sono precipitati.

Sperano e aspettano che si riamino le loro idee e le loro passioni, che non sono spente, che esistono ancora, anche se da troppo tempo non riescono a prendere forma.

Aspettano e sperano, sperano e aspettano che vi sia chi capisca che non serve beatificare il FINE PENA MAI come arma sublime per battere il male.

C’è un livello di etica dei mezzi, corrotto il quale, anche il fine ne riesente.

Aspettano e sperano che vi sia chi si renda conto che c’è un livello di dignità umana che va rispettato sempre e comunque, un livello che l’ergastolo ostativo non rispetta.

Gli ergastolani ostativi aspettano e sperano, sperano e aspettano di potere ritornare a sentire e dar voce a un discorso di civiltà.

Avvertono ormai che la misura è colma e che è in gioco loro quella cosa cosa reale e concreta che si chiama vita.

Avvertono la necessità di avere concesso quel molto o quel poco che possono fare, per cercare un nuovo percorso, che è tutto da tracciare, ma il cui punto d’arrivo sanno già quale essere, quale vogliono che sia. Un percorso che richiede la speranza, in mancanza della quale tutto diventa inutile.

Sebastiano Milazzo

La regressione dell’Homo Italicus.. di Sebastiano Milazzo

Ecco Sebastiano Milazzo, che abbiamo già imparato a conoscere, per i molti interventi e testi suoi pubblicati sul blog. Anticomformista, dallo stile raffinato e curatissimo, tagliente e provocatorio.. non sempre condivisibile in pieno e con reazioni contrastanti da parte di chi lo legge.. ma è una presenza la sua che serve sempre e contribuisce a stimolare la comprensione.

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Una volta c’erano i Calamandrei, i Vassalli, i Pertini, i De Gasperi, i Togliatti. Poi c’è stato il garantista Bertinotti il quale, prima di ogni elezione, affermava che l’ergastolo è una pena infame, e quando l’on. Ersilia Salvato era riuscita a farne approvare l’abrogazione alla Camera, il garantista Bertinotti ha pensato bene di far cadere il governo per non abolirlo e per cancellare l’affronto ha fatto scomparire dalla politica l’on. Ersilia Salvato.
Tipica regressione dell’Homo Italicus.
Dopo il garantista Bertinotti è venuto uno più garantista di lui che ha chiamato il suo partito il Partito della Libertà, l’on. Berlusconi, che in coerenza con il nome del suo partito ha tolto definitivamente ogni speranza agli ergastolani per poterli mostrare come trofei ogni volta che qualcuno del suo partito viene preso con il sorcio ancora in bocca.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Una volta avevamo l’on. Moro che insegnava ai suoi studenti “E per quanto riguarda questa richiesta della pena, di come debba essere la pena, un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale che istantaneamente, puntualmente, elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua, l’ergastolo che, privo com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte”.
Ora abbiamo l’avv. Calvi del PD che afferma “sì, sono favorevole all’abolizione dell’ergastolo ma non per coloro che hanno agevolato l’attività della criminalità”.
Qualcuno lo avvisi che senza il reato associativo l’ergastolo non lo prende nessuno in Italia.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Abbiamo avuto il sen. Gozzini, ora abbiamo i circuiti differenziati voluti da Oliviero Diliberto e dal dott. Caselli e chi sconta la pena in quei circuiti quando fa istanza per un beneficio riceve la risposta con un prestampato, uguale per tutti, che afferma “Rilevato come la cartella personale dell’istante non rechi traccia di alcun accertamento di condotta collaborativa con la giustizia ex art. 58 ter o.p. ovvero della collaborazione irrilevante o impossibile, ritenuto pertanto di dover denegare, allo stato, la richiesta di permesso premio, si dichiara inammissibile l’istanza”.
Con questa risposta viene imposta l’omologazione della follia di applicare la pena di morte senza doverlo ammettere “Ha 87 ani – Vive in uno stato d’incoscienza. Dicono che con il acldo che fa indossi ancora il cappello e le calze di lana dell’inverno, sempre gli stessi. E che la biancheria pulita che gli portano in carcere riesce intatta al posto di quella sporca. Sta solo in una cella dell’infermeria di Pagliarelli, sporco e abbandonato a se stesso. Se non gli danno da mangiare non mangia, se non lo reggono non cammina. E soprattutto non capisce” Alessandra Ziniti su Repubblica del 3 agosto 2008.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Siamo partiti col diritto romano che stabiliva l’eguaglianza tra patrizi e plebei e ora abbiamo la Santanchè che è capace, nello stesso contesto, di criticare ferocemente i magistrati che concedono un beneficio penitenziario e con la stessa ferocia definire i magistrati subdoli attentatori alla democrazia quando si ostinano a non capire che a Scajola gli hanno pagato, a sua insaputa, un appartamento a Roma con vista Colosseo.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Abbiamo avuto Beccaria e siamo finiti con i march ettari mediatici che nel fare il gioco delle parti con i politici, dicono loro, io ti do in televisione del mafioso e del camorrista, tu per far vedere che non lo sei, approvi leggi sempre più repressive contro gli altri, così noi vendiamo libri e ci facciamo contratti miliardari con la Rai e tu puoi continuare a combattere il male degli altri e mai il tuo.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Una volta c’era il fascismo che raccomandava ai carcerieri “Le relazioni tra le famiglie e i detenuti si mantengano affettuose, esortando le famiglie a dare ai detenuti frequenti notizie e buoni consigli”. Ora si allontanano i detenuti dalle residenze dei famigliari oppure si destinano in regimi carcerari che scavano un solco sempre più profondo tra il condannato e i propri affetti.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus
Una volta si andava nelle piazze a protestare contro la pena di morte applicata in America, ora un giudice americano nega l’espulsione di un italiano avvalendosi della testimonianza di un agente FBI che, a proposito del 41bis, ha riferito al giudice “Lo useranno per ottenere informazioni” e il giudice ha motivato la negazione dell’estradizione “C’è il rischio che venga sottoposto al regime di carcere duro previsto dall’art 41bis del codice italiano, un trattamento che equivale alla tortura”. E nessuno protesta.

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