Pierdonato, è uno di quelli della prima ora. I suoi interventi non sono frequenti, ma sempre di assoluto valore.
Ha qualcosa dei personaggi dei romanzi ottocenteschi e cavallereschi. Molto pacato, riflessivo, raffinato, qualcuno che sembra esprime in ogni scritto, parola e crezione.. l’arte di vivere. E so che qualcuno adesso sta ridendo.. “come? Esprime l’arte di vivere qualcuno che adesso è in carcere?”. Il guaio di un pensiero binario, ossia.. statisticamente prevedibile e scontato.. è che non sa aprirsi alla complessità e paradossalità del mondo.
Pierdonato ha vissuto in condizioni problematiche, il carcere l’ha messo a dura prova, ha le sue ostiche esperienze alle spalle. Eppure resta in piedi col suo stile. Riesce a tenere la vita per la coda e per i capelli. Ha trovato la sua via alla resistenza (come la via di Gerti Gjenerali, di cui abbiamo parlato ieri, è lo studio e la scrittura).
E lui costruisce la sua costellazione per aggrapparsi a ogni singola notte e non precipitarne nel vuoto, tenendo stretto il rapporto straordinario che ha con la moglie e i figli… e disciplinando da sempre se stesso, nell’approfondimento, nella riflessione, nella coltivazione mentale, nella creazione artistica.
Pierdonato scrive..
“Il niente della vita carceraria può uccidere per sempre l’anima e la fantasia del condannato. Un niente fatto di vuoto e disperazione, specie per chi è incatenato ad una pena che durerà tutta la sua vita.”
A questo niente Pierdonato ha sabuto opporre il Valore in atto.
Ed è una piccola e costante lotta, amici. Ogni giorno si deve lottare per strappare ancora quel giorno al sonno e all’oblio e per coricarsi ancora una volta vivi, ancora una volta veri, ancora una volta.. “in piedi” (e a chi dice che non ci si può coricare “in piedi”.. auguriamo una vita con più fantasia e.. immaginazione…).
E la pittura trascina Pierdonato fuori dai blocchi di cemento. Sei là.. pennello in mano.. dai vita e terreni, e figure a storie che ti camminano addosso ed escono da te.. accendi quel fuoco.. quel fuoco di cui lui parla quando scrive..
“
Così quel piacere che provavo nella sala pittura me lo sono portato con me in cella. Nel mio sarcofago.. che ho trasformato con tele colorate.. a spazio creativo, la boutique dei bei pensieri (come dice Padre Luciano). Mentre “vivo” senza conoscere il mio destino, mentre la finestra con grate e sbarre mi rende spettatore del mondo, mentre i cancelli mi impediscono la vita, mentre le pareti mi stanno strette, mentre il tetto mi impedisce di osservare il cielo e mentre queste mura mi sono appiccicate addosso come fossere un pesante cappotto di cemento di ferro, io… ho acceso i fuoco all’interno del mio animo, per scaldarmi, per sopravvivere.”
Come leggerete nella lettera che precede le foto dei dipinti.. Pierdonato mi ha mandato una serie di foto di opere da lui fatte.. non più con la tecnica del disegno classico, come in precedenza, ma della pittura ad olio. E vi invito ad ammirare come, pur con una tecnica che padroneggia da pochissimo, Pierdonato sia stato capace di fare un grande lavoro.
Io non ho pubblicato tutte le foto che mi ha inviato. In questo post ne pubblico sei. Altre le pubblicherò successivamente.
Il prosieguo del post sarà quindi strutturato così:
-Una lettera di accompagnamento alle opere, di Pierdonato.. rivolta a tutti i lettori del Blog.
-E la riproduzione in foto di sei opere.
Prima di tre di essere c’è un piccolo commento introduttivo, che Pierdonato ha desiderato fare, e che io ho riportato.
Adesso vi lascio ai suoi quadri..
Buona visione viandanti di questo territorio chiamato Le Urla dal Silenzio.
——————————————————————————–
Voghera 21-7-2011
Alfredo carissimo….
desidero fare a te e a tutti gli amici del Blog un (mi auguro gradito) dono visivo..
Come allegato a questa mia missiva ti spedisco buona parte delle foto dei dipinti che ho elaborato in questo periodo che sono stato “assente” dal Blog (poi te ne spedirò altri).
Un dono per la tua “GALLERIA DELL’OMBRA”…
Tante volte è stato scritto e ripetuto riguardo all’importanza del dipingere per chi è segregato in un piccolo spazio, con poca luce, con poca aria. Perfino i colori stupendi di un arcobaleno diventano in bianco e nero, per chi “vive” la pena interminabile dell’ergastolo.
Così il mio dipingere è diventato desiderio di respirare aria nuova, desiderio di “vedere” orizzonti diversi.
Perciò prima vi ho inviato fogli di carta colorata… scarabocchi.. adesso ho cambiato tecnica… olio su tela, e a volte, quando non era possibile.. anche.. olio su cartoni recuperati qua e là.
Dipingere è comunicazione. Non ho dipinto ciò che vedo, ma ciò che ricordo, ciò che ho visto, ciò che è stato e che conservo dentro di me. A volte il dipinto è per me un tentativo di ritorno nei luoghi dove sono nato. Diventano così pigmenti colorati che esprimono frammenti di memorie.
Sono sempre più convinto che dipingere sia una forma di amore verso la vita. E’ un modo di amare la vita. E’ l’immenso Amore per la vita, che non si spegne, non si esaurisce nemmeno dopo 23 anni che il mio corpo è segregato in una prigione.
E’ così carissimo Alfredo, e miei cari amici del Blog. Questa pittura ad olio, fatta di stratificazione che si sovrappongono, fatta di tantissime pennellate che insieme, paino piano, costruiscono l’intero dipinto, alla fine mi fa ritrovare la mia anima, come unica “cosa” capace di strappare l’uomo al carcere del suo destino.
L’appiattimento psicologico che la vita coatta produce da sempre, è sempre in agguato. Chi “vive” chiuso in questi cubi di cemento, da molti anni, deve per forza possedere una energia illimitata verso la vita che può poi aiutarlo a vivere, o meglio.. a sopravvivere.
Ecco perchè… DIPINGERE.. è ritrovare se stessi, in tal senso diventa terapia…
L’urlo quasi patologico di chi desidera essere libero da molti anni. Queste grida mute, diventano anche sfogo personale quando si dipinge. Così la “tela” può bussare al cuore dell’osseratore, offrendo loro aneliti sopiti di un Amore insperato.
I segni riprodotti nella tela, i colori riportati con il pennello sulla superficie della tela, non sono altro che la voce di quel tumulto di sentimenti e dell’istintiva necessità di dare un senso al giorno.
Coloro che sono immuni da esperienze dolorose fanno fatica sicuramente a recepire la sommersa richesta di un bisogno d’amore, di un bisogno di libertà, di un bisogno di normalit, in un contesto di vita dove i regolamenti e le decisioni sono prese altrove. La vita ha sempre bisogno di essere vissuta con consapevolezza e la chiave di lettura, come sappiamo, non è altrove, ma all’interno di noi stessi.
Il niente della vita carceraria può uccidere per sempre l’anima e la fantasia del condannato. Un niente fatto di vuoto e disperazione, specie per chi è incatenato ad una pena che durerà tutta la sua vita.
Contro le porte ottuse e chiuse del mondo, il detenuto che dipinge riesce invece a strappare un bel sorriso al buio della sua esistenza. E’ un pò trasformare in estro creativo la propria inquietudine.
Dopo essere “uscito” dal regime del 41 bis fui trasferito qui, nel carcere di Voghera, l’11 gennaio 2007. Poi nel 2007 mi sono iscritto al corso di arte-terapia con la professoressa Marta Vezzoli, persona squisita. Le lezioni si tenevano una volta a settimana, nel periodo scolastico… poi le vacanze..ecc.. per me tutto ciò era insufficiente… così ho faticato, e alla fine ho ottenuto l’autorizzazione a poter dipingere in cella.
Così quel piacere che provavo nella sala pittura me lo sono portato con me in cella. Nel mio sarcofago.. che ho trasformato con tele colorate.. a spazio creativo, la boutique dei bei pensieri (come dice Padre Luciano). Mentre “vivo” senza conoscere il mio destino, mentre la finestra con grate e sbarre mi rende spettatore del mondo, mentre i cancelli mi impediscono la vita, mentre le pareti mi stanno strette, mentre il tetto mi impedisce di osservare il cielo e mentre queste mura mi sono appiccicate addosso come fossere un pesante cappotto di cemento di ferro, io… ho acceso i fuoco all’interno del mio animo, per scaldarmi, per sopravvivere.
Il carcere a vita, questo tumore maligno che devasta chi lo vive sulla sua pelle, nulla può contro i miei pennelli e i miei colori. Allora, con le mie mani afferro i pennelli e dipingo, dipingo su tutto, anche sui cartoni. Le proprie emozioni, i propri desideri, le proprie malinconie.. si trasformano in SEGNI, si trasformano in colori, e così percorro un viaggio visivo nei miei colori che mi coinvolgno l’animo e lo spirito.
E’ in questo modo che la pittura assume una valenza salvifica. Dipingendo, provo così un senso di ristoro, una sorta di poesia viviva, una rappresentazione dei miei pensieri più intimi. Insomma, un riparo quasi spirituale.
Miei cari amici, il dipingere come lo scrivere, vuole dire, in questi luoghi, quasi creare una vita parallela, una difesa che noi abbiam contro i problemi, la mediocrità, per alcuni è anche meccanismo che permette di “fuggire”, di spostarsi, verso un mondo più bello. Così, anche in un luogo angoscioso puoi creare qualcosa di bello, e così… in silenzio… sulla tela.. è possibile udire l’eco della libertà a cui Pierdonato non smette mai di tendere.
Un abbraccio a tutti, come di persona.
Pierdonato
———————–
——————
Probabilmente è un cavallo arabo, ma l’ho chiamato stallone andaluso, perchè un mio amico, ogni volta che passava da vicino alla mia cella, mi esternava i suoi elogi del dipinto e lo chiamava stallone andaluso.. così questo dipinto l’ho chiamato così, trattandosi di una immaginetta piccolina che io poi ingrandito mi ricorda “Briglia d’oro”, la giumente che avevamo come mezzo di trasporto con il calesse, nella mia infanzia.
—————————
Questi limoni li ho tratti da una tovaglia di un mio amico ergastolano. Questa mia ricerca di qualcosa di bello, di vivo, di naturale, tra queste pareti di cemento nudo è quelo che ho scritto.. desiderio di amore verso la vita.
—————————————
Il gatto di Suor Gianna. Perchè Suor Gianna mi spedì una cartolina con questo gattino che mi colpì subito e l’ho dipinto 40 X 50. Dal vivo sono più belli i dipinti ad olio. Così l’ho chiamato così, un dono per Suor Gianna, che è attenta visitatrice del Blog, con la quale ho un dialogo epistolare, proprio per avere letto gli scritti nel Blog.
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L’arte di Pierdonato Zito
Pierdonato, è uno di quelli della prima ora. I suoi interventi non sono frequenti, ma sempre di assoluto valore.
Ha qualcosa dei personaggi dei romanzi ottocenteschi e cavallereschi. Molto pacato, riflessivo, raffinato, qualcuno che sembra esprime in ogni scritto, parola e crezione.. l’arte di vivere. E so che qualcuno adesso sta ridendo.. “come? Esprime l’arte di vivere qualcuno che adesso è in carcere?”. Il guaio di un pensiero binario, ossia.. statisticamente prevedibile e scontato.. è che non sa aprirsi alla complessità e paradossalità del mondo.
Pierdonato ha vissuto in condizioni problematiche, il carcere l’ha messo a dura prova, ha le sue ostiche esperienze alle spalle. Eppure resta in piedi col suo stile. Riesce a tenere la vita per la coda e per i capelli. Ha trovato la sua via alla resistenza (come la via di Gerti Gjenerali, di cui abbiamo parlato ieri, è lo studio e la scrittura).
E lui costruisce la sua costellazione per aggrapparsi a ogni singola notte e non precipitarne nel vuoto, tenendo stretto il rapporto straordinario che ha con la moglie e i figli… e disciplinando da sempre se stesso, nell’approfondimento, nella riflessione, nella coltivazione mentale, nella creazione artistica.
Pierdonato scrive..
“Il niente della vita carceraria può uccidere per sempre l’anima e la fantasia del condannato. Un niente fatto di vuoto e disperazione, specie per chi è incatenato ad una pena che durerà tutta la sua vita.”
A questo niente Pierdonato ha sabuto opporre il Valore in atto.
Ed è una piccola e costante lotta, amici. Ogni giorno si deve lottare per strappare ancora quel giorno al sonno e all’oblio e per coricarsi ancora una volta vivi, ancora una volta veri, ancora una volta.. “in piedi” (e a chi dice che non ci si può coricare “in piedi”.. auguriamo una vita con più fantasia e.. immaginazione…).
E la pittura trascina Pierdonato fuori dai blocchi di cemento. Sei là.. pennello in mano.. dai vita e terreni, e figure a storie che ti camminano addosso ed escono da te.. accendi quel fuoco.. quel fuoco di cui lui parla quando scrive..
“
Così quel piacere che provavo nella sala pittura me lo sono portato con me in cella. Nel mio sarcofago.. che ho trasformato con tele colorate.. a spazio creativo, la boutique dei bei pensieri (come dice Padre Luciano). Mentre “vivo” senza conoscere il mio destino, mentre la finestra con grate e sbarre mi rende spettatore del mondo, mentre i cancelli mi impediscono la vita, mentre le pareti mi stanno strette, mentre il tetto mi impedisce di osservare il cielo e mentre queste mura mi sono appiccicate addosso come fossere un pesante cappotto di cemento di ferro, io… ho acceso i fuoco all’interno del mio animo, per scaldarmi, per sopravvivere.”
Come leggerete nella lettera che precede le foto dei dipinti.. Pierdonato mi ha mandato una serie di foto di opere da lui fatte.. non più con la tecnica del disegno classico, come in precedenza, ma della pittura ad olio. E vi invito ad ammirare come, pur con una tecnica che padroneggia da pochissimo, Pierdonato sia stato capace di fare un grande lavoro.
Io non ho pubblicato tutte le foto che mi ha inviato. In questo post ne pubblico sei. Altre le pubblicherò successivamente.
Il prosieguo del post sarà quindi strutturato così:
-Una lettera di accompagnamento alle opere, di Pierdonato.. rivolta a tutti i lettori del Blog.
-E la riproduzione in foto di sei opere.
Prima di tre di essere c’è un piccolo commento introduttivo, che Pierdonato ha desiderato fare, e che io ho riportato.
Adesso vi lascio ai suoi quadri..
Buona visione viandanti di questo territorio chiamato Le Urla dal Silenzio.
——————————————————————————–
Voghera 21-7-2011
Alfredo carissimo….
desidero fare a te e a tutti gli amici del Blog un (mi auguro gradito) dono visivo..
Come allegato a questa mia missiva ti spedisco buona parte delle foto dei dipinti che ho elaborato in questo periodo che sono stato “assente” dal Blog (poi te ne spedirò altri).
Un dono per la tua “GALLERIA DELL’OMBRA”…
Tante volte è stato scritto e ripetuto riguardo all’importanza del dipingere per chi è segregato in un piccolo spazio, con poca luce, con poca aria. Perfino i colori stupendi di un arcobaleno diventano in bianco e nero, per chi “vive” la pena interminabile dell’ergastolo.
Così il mio dipingere è diventato desiderio di respirare aria nuova, desiderio di “vedere” orizzonti diversi.
Perciò prima vi ho inviato fogli di carta colorata… scarabocchi.. adesso ho cambiato tecnica… olio su tela, e a volte, quando non era possibile.. anche.. olio su cartoni recuperati qua e là.
Dipingere è comunicazione. Non ho dipinto ciò che vedo, ma ciò che ricordo, ciò che ho visto, ciò che è stato e che conservo dentro di me. A volte il dipinto è per me un tentativo di ritorno nei luoghi dove sono nato. Diventano così pigmenti colorati che esprimono frammenti di memorie.
Sono sempre più convinto che dipingere sia una forma di amore verso la vita. E’ un modo di amare la vita. E’ l’immenso Amore per la vita, che non si spegne, non si esaurisce nemmeno dopo 23 anni che il mio corpo è segregato in una prigione.
E’ così carissimo Alfredo, e miei cari amici del Blog. Questa pittura ad olio, fatta di stratificazione che si sovrappongono, fatta di tantissime pennellate che insieme, paino piano, costruiscono l’intero dipinto, alla fine mi fa ritrovare la mia anima, come unica “cosa” capace di strappare l’uomo al carcere del suo destino.
L’appiattimento psicologico che la vita coatta produce da sempre, è sempre in agguato. Chi “vive” chiuso in questi cubi di cemento, da molti anni, deve per forza possedere una energia illimitata verso la vita che può poi aiutarlo a vivere, o meglio.. a sopravvivere.
Ecco perchè… DIPINGERE.. è ritrovare se stessi, in tal senso diventa terapia…
L’urlo quasi patologico di chi desidera essere libero da molti anni. Queste grida mute, diventano anche sfogo personale quando si dipinge. Così la “tela” può bussare al cuore dell’osseratore, offrendo loro aneliti sopiti di un Amore insperato.
I segni riprodotti nella tela, i colori riportati con il pennello sulla superficie della tela, non sono altro che la voce di quel tumulto di sentimenti e dell’istintiva necessità di dare un senso al giorno.
Coloro che sono immuni da esperienze dolorose fanno fatica sicuramente a recepire la sommersa richesta di un bisogno d’amore, di un bisogno di libertà, di un bisogno di normalit, in un contesto di vita dove i regolamenti e le decisioni sono prese altrove. La vita ha sempre bisogno di essere vissuta con consapevolezza e la chiave di lettura, come sappiamo, non è altrove, ma all’interno di noi stessi.
Il niente della vita carceraria può uccidere per sempre l’anima e la fantasia del condannato. Un niente fatto di vuoto e disperazione, specie per chi è incatenato ad una pena che durerà tutta la sua vita.
Contro le porte ottuse e chiuse del mondo, il detenuto che dipinge riesce invece a strappare un bel sorriso al buio della sua esistenza. E’ un pò trasformare in estro creativo la propria inquietudine.
Dopo essere “uscito” dal regime del 41 bis fui trasferito qui, nel carcere di Voghera, l’11 gennaio 2007. Poi nel 2007 mi sono iscritto al corso di arte-terapia con la professoressa Marta Vezzoli, persona squisita. Le lezioni si tenevano una volta a settimana, nel periodo scolastico… poi le vacanze..ecc.. per me tutto ciò era insufficiente… così ho faticato, e alla fine ho ottenuto l’autorizzazione a poter dipingere in cella.
Così quel piacere che provavo nella sala pittura me lo sono portato con me in cella. Nel mio sarcofago.. che ho trasformato con tele colorate.. a spazio creativo, la boutique dei bei pensieri (come dice Padre Luciano). Mentre “vivo” senza conoscere il mio destino, mentre la finestra con grate e sbarre mi rende spettatore del mondo, mentre i cancelli mi impediscono la vita, mentre le pareti mi stanno strette, mentre il tetto mi impedisce di osservare il cielo e mentre queste mura mi sono appiccicate addosso come fossere un pesante cappotto di cemento di ferro, io… ho acceso i fuoco all’interno del mio animo, per scaldarmi, per sopravvivere.
Il carcere a vita, questo tumore maligno che devasta chi lo vive sulla sua pelle, nulla può contro i miei pennelli e i miei colori. Allora, con le mie mani afferro i pennelli e dipingo, dipingo su tutto, anche sui cartoni. Le proprie emozioni, i propri desideri, le proprie malinconie.. si trasformano in SEGNI, si trasformano in colori, e così percorro un viaggio visivo nei miei colori che mi coinvolgno l’animo e lo spirito.
E’ in questo modo che la pittura assume una valenza salvifica. Dipingendo, provo così un senso di ristoro, una sorta di poesia viviva, una rappresentazione dei miei pensieri più intimi. Insomma, un riparo quasi spirituale.
Miei cari amici, il dipingere come lo scrivere, vuole dire, in questi luoghi, quasi creare una vita parallela, una difesa che noi abbiam contro i problemi, la mediocrità, per alcuni è anche meccanismo che permette di “fuggire”, di spostarsi, verso un mondo più bello. Così, anche in un luogo angoscioso puoi creare qualcosa di bello, e così… in silenzio… sulla tela.. è possibile udire l’eco della libertà a cui Pierdonato non smette mai di tendere.
Un abbraccio a tutti, come di persona.
Pierdonato
———————–
——————
Probabilmente è un cavallo arabo, ma l’ho chiamato stallone andaluso, perchè un mio amico, ogni volta che passava da vicino alla mia cella, mi esternava i suoi elogi del dipinto e lo chiamava stallone andaluso.. così questo dipinto l’ho chiamato così, trattandosi di una immaginetta piccolina che io poi ingrandito mi ricorda “Briglia d’oro”, la giumente che avevamo come mezzo di trasporto con il calesse, nella mia infanzia.
—————————
Questi limoni li ho tratti da una tovaglia di un mio amico ergastolano. Questa mia ricerca di qualcosa di bello, di vivo, di naturale, tra queste pareti di cemento nudo è quelo che ho scritto.. desiderio di amore verso la vita.
—————————————
Il gatto di Suor Gianna. Perchè Suor Gianna mi spedì una cartolina con questo gattino che mi colpì subito e l’ho dipinto 40 X 50. Dal vivo sono più belli i dipinti ad olio. Così l’ho chiamato così, un dono per Suor Gianna, che è attenta visitatrice del Blog, con la quale ho un dialogo epistolare, proprio per avere letto gli scritti nel Blog.