Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

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Schizofrenia… di Sebastiano Milazzo

Sebastiano Milazzo è sempre una garanzia…

Me ne accorsi in tempi non sospetti.. quando iniziai a leggere i suoi libri e a sentire in essi una lucidità, una inesorabilità mentale, un vigore intellettuale e una sontuosa capacità di scrivere che mi colpirono.

Se cercate nel blog troverete un bel pò dei suoi testi.. e meritano tutti di essere letti.

Anche stavolta Sebastiano non si smentisce. La stessa capacità di dire cose efficaci in pochissime parole…

Ad esempio, quando scrive..

La legislazione, non a caso, prevede per i responsabili che hanno azzerato il valore delle azioni della signora, rovinandola, 3 anni di pena, che poi significa liberazione condizionale della pena, che tradotto significa che i responsabili di quel crimine, quello sì organizzato su vasta scala, non sconteranno nemmeno un giorno di carcere, mentre il giovinastro che le ha rubato la borsetta con pochi spiccioli sarà condannato a 6 anni di detenzione da scontare fino all’ultimo secondo, perché nei suoi confronti le leggi prevedono tutte le discriminazioni, da cui sono esclusi i reati di cui si rendono responsabili sempre più spesso coloro che fanno parte di quelle categorie che scrivono le leggi….

I benefici, i riti alternativi, gli sconti di pena, le perizie di incompatibilità col carcere, negati a questa o quella categoria di individui, ma mai alle loro categorie, le intercettazioni vietate nei loro confronti, ma non al giovinastro che ha rubato la borsetta alla signora.”

.. quando scrive parole del genere, dice cose sacrosantemente vere. Che sfuggono a chi ha una visione troppo polarizzata  e monotematica della realtà giuridica e penitenziaria. Il nostro, come non è un sistema fondamentalmente garantista, non è neanche un sistema fondamentalmente forcaiolo. Ma semmai una incestuosa commistione di entrambe le tendenze. E alla rigidità aspra e feroce che si manifesta verso determinati reati e criminali.. si accompagna una fiumana di garanzie e impalcature politico giuridiche – nei fatti – deresponsabilizzanti e iperallegerenti – verso reati di altro genere e alti tipi di criminali.

Il problema allora non è semplicemente, come tanti attivisti e cultori dei diritti in buona fede fanno, evocare un “diritto mite” a prescindere; misure alternative, riti abbreviati, et similia, a prescindere. Come Sebastiano sottolinea.. ci sono alcuni tipi di reati, di grande impatto collettivo, ma commessi da colletti bianchi e membri delle elité, che, in sostanza, ricevono sanzioni talmente blande, che gli autori in pratica non fanno quasi mai neanche un giorno di carcere, e li ritrovi, quasi sempre, dopo pochissimo, in perfetta circolazione e a svolgere attività economiche finanziarie di rilievo, magari dopo giusto avere pagato un obolo alla giustizia.

IN QUESTI CASI L’INCROCIARSI DI GARANZIE E TUTELE CHE GARANTISCE LORO UN “DIRITTO MITISSIMO” E UNA SOSTANZIALE IRRESPONSABILITA’ SUL PIANO DELLE CONSEGUENZE, NON RAPPRESENTA COMUNQUE UN MOMENTO POSITIVO, CHE HA IL SOLO LIMITE DI NON ESSERE ESTESO AGLI AUTORI DI ALTRI DELITTI.. MA, IO CREDO, UN MOMENTO “NEGATIVO”. QUESTI NON IMPARANO NULLA, NON SI PURIFICANO IN NULLA, NON FANNO ALCUN VIAGGIO IN SE STESSI, NON AVVERTONO ALCUNA GRAVITA’ DELLE LORO AZIONI. IN QUESTI CASI, MI PERDONINO TANTI CHE LEGGERANNO.. IN QUESTI CASI PIUTTOSTO INASPRIREI LE PENE… DAREI UN MINIMO DI EFFETTIVA SANZIONABILITA’ PENALE… UN MINIMO DI DUREZZA E ARDUI MOMENTI DA AFFRONTARE. UN MINIMO DI CARCERE, ANCHE  UN MINIMO DI CARCERE.

Il problema in Italia è che per alcuni c’è troppo carcere.. per altri niente.. o magari quelle “poco intimorenti” carcerazioni domiciliari in lussuose ville con tutti i confort..

Vi lascio al testo di Sebastiano Milazzo.

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Premesso che è ovvio e giusto che chi ha sbagliato paghi il suo debito con la società, ma è giusto anche che l’espiazione debba avere un fine riabilitativo, non perché lo pretende il condannato, ma perché lo prevede la Costituzione.

Ma questo oggi non avviene più perché, sebbene le statistiche dimostrano che la nostra è una delle società più sicure, la dilagante retorica sulla sicurezza ha diffuso nell’ immaginario collettivo che i reati sono notevolmente aumentati.

Una diffusione strumentale del senso d’insicurezza per distogliere l’attenzione da un sistema giudiziario malato, da una legislazione schizofrenica, che ha lo scopo di dirottare gli effetti della giustizia sulle categorie più facilmente criminalizzabili.

Si parla di criminalità organizzata se la signora al mercato viene derubata del borsello che contiene le piccole cifre che servono per fare la spesa della giornata, ma non si parla di criminalità né organizzata né disorganizzata, se la signora viene rapinata dei risparmi di una vita con i consigli interessati che le fanno investire i suoi risparmi in azioni che in pochi giorni perdono il loro totale valore.

La legislazione, non a caso, prevede per i responsabili che hanno azzerato il valore delle azioni della signora, rovinandola, 3 anni di pena, che poi significa liberazione condizionale della pena, che tradotto significa che i responsabili di quel crimine, quello sì organizzato su vasta scala, non sconteranno nemmeno un giorno di carcere, mentre il giovinastro che le ha rubato la borsetta con pochi spiccioli sarà condannato a 6 anni di detenzione da scontare fino all’ultimo secondo, perché nei suoi confronti le leggi prevedono tutte le discriminazioni, da cui sono esclusi i reati di cui si rendono responsabili sempre più spesso coloro che fanno parte di quelle categorie che scrivono le leggi.

I benefici, i riti alternativi, gli sconti di pena, le perizie di incompatibilità col carcere, negati a questa o quella categoria di individui, ma mai alle loro categorie, le intercettazioni vietate nei loro confronti, ma non al giovinastro che ha rubato la borsetta alla signora.

Questa legislazione scriteriata e la dilagante retorica sulla sicurezza, promossa dall’incesto politico- mediatico- giudiziario, ha creato una giustizia a due piani, da una parte ferocia sproporzionata contro la parte più facilmente criminalizzabile e impunità di massa, per i reati consumati dai cosiddetti colletti bianchi.

È bastato cambiare il concetto di criminalità, secondo le esigenze del potere, per canalizzare, attraverso un sapiente gioco mediatico, le ansie e le paure della gente, verso le fasce di popolazione più marginalizzate per privarle del diritto di avere diritti, mentre dall’altra si assicura sempre di più impunità di massa.

Questa incultura ha portato al tradimento della legge Gozzini che aveva umanizzato la pena e aperto le carceri verso l’esterno, in un periodo in cui il pericolo è stato costruito mediaticamente e politicamente, mentre le misure penali sono state fatte diventare sempre più reali, con la cancellazione delle misure alternative, fatte passare come benevole concessioni e non invece come l’attuazione concreta dell’articolo 27 della Costituzione, che non prevede un FINE PENA MAI, ma la possibilità di riscatto del condannato.

Misure che negano la socializzazione, attraverso la negazione totale delle misure alternative, non mettono in moto quei processi di graduale reinserimento nella società, per modificare i progetti di vita dei condannati che scontano, in ogni caso, le loro pene, a differenza di chi, con le attuali norme, il carcere non lo vede nemmeno se lo vuole, qualsiasi reato commetta.

Si è mai visto un indagato nelle indagini su personaggi pubblici di cui la cronaca ammorba la nostra esistenza che abbia mai scontato una pena? Meditate gente, meditate benpensanti!

L’ergastolo ostativo è figlio di quest’incultura, un’incultura che vede nell’ergastolano lo schiavo moderno di uno Stato, che lo lascia in balia di chi gestisce la sua pena, per usarlo al bisogno.

 Sebastiano Milazzo, Spoleto

La regressione dell’Homo Italicus.. di Sebastiano Milazzo

Ecco Sebastiano Milazzo, che abbiamo già imparato a conoscere, per i molti interventi e testi suoi pubblicati sul blog. Anticomformista, dallo stile raffinato e curatissimo, tagliente e provocatorio.. non sempre condivisibile in pieno e con reazioni contrastanti da parte di chi lo legge.. ma è una presenza la sua che serve sempre e contribuisce a stimolare la comprensione.

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Una volta c’erano i Calamandrei, i Vassalli, i Pertini, i De Gasperi, i Togliatti. Poi c’è stato il garantista Bertinotti il quale, prima di ogni elezione, affermava che l’ergastolo è una pena infame, e quando l’on. Ersilia Salvato era riuscita a farne approvare l’abrogazione alla Camera, il garantista Bertinotti ha pensato bene di far cadere il governo per non abolirlo e per cancellare l’affronto ha fatto scomparire dalla politica l’on. Ersilia Salvato.
Tipica regressione dell’Homo Italicus.
Dopo il garantista Bertinotti è venuto uno più garantista di lui che ha chiamato il suo partito il Partito della Libertà, l’on. Berlusconi, che in coerenza con il nome del suo partito ha tolto definitivamente ogni speranza agli ergastolani per poterli mostrare come trofei ogni volta che qualcuno del suo partito viene preso con il sorcio ancora in bocca.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Una volta avevamo l’on. Moro che insegnava ai suoi studenti “E per quanto riguarda questa richiesta della pena, di come debba essere la pena, un giudizio negativo, in linea di principio, deve essere dato non soltanto per la pena capitale che istantaneamente, puntualmente, elimina dal consorzio sociale la figura del reo, ma anche nei confronti della pena perpetua, l’ergastolo che, privo com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento e al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte”.
Ora abbiamo l’avv. Calvi del PD che afferma “sì, sono favorevole all’abolizione dell’ergastolo ma non per coloro che hanno agevolato l’attività della criminalità”.
Qualcuno lo avvisi che senza il reato associativo l’ergastolo non lo prende nessuno in Italia.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Abbiamo avuto il sen. Gozzini, ora abbiamo i circuiti differenziati voluti da Oliviero Diliberto e dal dott. Caselli e chi sconta la pena in quei circuiti quando fa istanza per un beneficio riceve la risposta con un prestampato, uguale per tutti, che afferma “Rilevato come la cartella personale dell’istante non rechi traccia di alcun accertamento di condotta collaborativa con la giustizia ex art. 58 ter o.p. ovvero della collaborazione irrilevante o impossibile, ritenuto pertanto di dover denegare, allo stato, la richiesta di permesso premio, si dichiara inammissibile l’istanza”.
Con questa risposta viene imposta l’omologazione della follia di applicare la pena di morte senza doverlo ammettere “Ha 87 ani – Vive in uno stato d’incoscienza. Dicono che con il acldo che fa indossi ancora il cappello e le calze di lana dell’inverno, sempre gli stessi. E che la biancheria pulita che gli portano in carcere riesce intatta al posto di quella sporca. Sta solo in una cella dell’infermeria di Pagliarelli, sporco e abbandonato a se stesso. Se non gli danno da mangiare non mangia, se non lo reggono non cammina. E soprattutto non capisce” Alessandra Ziniti su Repubblica del 3 agosto 2008.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Siamo partiti col diritto romano che stabiliva l’eguaglianza tra patrizi e plebei e ora abbiamo la Santanchè che è capace, nello stesso contesto, di criticare ferocemente i magistrati che concedono un beneficio penitenziario e con la stessa ferocia definire i magistrati subdoli attentatori alla democrazia quando si ostinano a non capire che a Scajola gli hanno pagato, a sua insaputa, un appartamento a Roma con vista Colosseo.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Abbiamo avuto Beccaria e siamo finiti con i march ettari mediatici che nel fare il gioco delle parti con i politici, dicono loro, io ti do in televisione del mafioso e del camorrista, tu per far vedere che non lo sei, approvi leggi sempre più repressive contro gli altri, così noi vendiamo libri e ci facciamo contratti miliardari con la Rai e tu puoi continuare a combattere il male degli altri e mai il tuo.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus.
Una volta c’era il fascismo che raccomandava ai carcerieri “Le relazioni tra le famiglie e i detenuti si mantengano affettuose, esortando le famiglie a dare ai detenuti frequenti notizie e buoni consigli”. Ora si allontanano i detenuti dalle residenze dei famigliari oppure si destinano in regimi carcerari che scavano un solco sempre più profondo tra il condannato e i propri affetti.
Tipica dimostrazione di regressione dell’Homo Italicus
Una volta si andava nelle piazze a protestare contro la pena di morte applicata in America, ora un giudice americano nega l’espulsione di un italiano avvalendosi della testimonianza di un agente FBI che, a proposito del 41bis, ha riferito al giudice “Lo useranno per ottenere informazioni” e il giudice ha motivato la negazione dell’estradizione “C’è il rischio che venga sottoposto al regime di carcere duro previsto dall’art 41bis del codice italiano, un trattamento che equivale alla tortura”. E nessuno protesta.

L’angolo di Letizia

Eccoci al nuovo appuntamento con la rubrica di Letizia Capone. Questa volta Letizia si occuperà di qualcosa di cui sentiamo  parlare una infinità di volte, ma di cui, alla fin fine, non sappiamo molto. I permessi premio.

Vi lascio alle sue parole..

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                                                                                                                   Permessi Premio

Argomento difficilissimo, per il quale ci tengo a sottolineare che proverò ad essere più chiara ed esaustiva possibile in linea generale, perché in tutta sincerità nonostante anni di servizio  non ho mai visto l’utilizzo e l’applicazione di questo beneficio, seguito da una linea comune o standard per tutti.

Partendo da questo presupposto, è bene prima di scrivere romanzi, specificare bene per tutti coloro che leggeranno questo scritto che lo strumento del permesso premio, non fa parte delle misure alternative, non rientra quindi nella ristretta cerchia dei “diritti” dei detenuti, ma fa parte dei cosiddetti benefici penitenziari che sono stati introdotti o rimarcati dalla legge Gozzini.

Il permesso costituisce lo strumento mediante il quale si può consentire alla persona stabilmente privata della libertà di trascorrere un breve periodo di tempo nell’ambiente libero, con determinate cautele e con l’obbligo di rientro spontaneo nell’istituto penitenziario alla scadenza del termine .

A seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 663 del 1986 si possono individuare tre tipi di permesso e due tipi di licenza con differenti finalità e funzioni e con diversi presupposti oggettivi e soggettivi.

Si possono, individuare due tipi di permesso: quelli che rispondono ad una funzione di sola umanizzazione della pena e quelli che, oltre alle finalità di umanizzazione della pena, sono “strumenti al contempo premiali e di trattamento individualizzato del condannato, in una prospettiva spiccatamente specialpreventiva”.

I tratti fondamentali dell’istituto del permesso premio sono completamente diversi da quelli del permesso ordinario: questi ultimi sono, infatti, stabiliti per far fronte ad evenienze gravi ed eccezionali, prodottesi all’esterno della vita carceraria; invece, ciò che è preso in considerazione per i permessi premio è la regolarità della vita del condannato all’interno dell’istituto e la proiezione che se ne può presagire nell’ambiente libero. Due elementi differenziano strutturalmente il permesso premio dal permesso ordinario: la valenza premiale dell’istituto ed il suo essere, per espressa previsione normativa, parte integrante del trattamento.

Quindi, ai condannati che hanno tenuto regolare condotta e che non risultano socialmente pericolosi, il Magistrato di Sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio, di durata non superiore a 15 giorni, per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro. La durata complessiva dei permessi non può superare 45 giorni in ciascun anno di espiazione.

La concessione dei permessi – premio è ammessa:

a.  nei confronti dei condannati all’arresto, o alla reclusione non superiore a 3 anni, anche se congiunta all’arresto;

b.  nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a 3 anni dopo l’espiazione di almeno 1/4 della pena;

  1. nei confronti dei condannati alla reclusione per i reati indicati nel comma 1 dell’art. 4 bis, dopo l’espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre 10 anni;

d.  nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno 10 anni.

Vi sono anche, e ovviamente dei limiti alla concessione dei permessi premio.

I detenuti e gli internati per reati associativi (416 bis e 630 c.p., art. 74 D.P.R. 309/90) possono avere i permessi premio solo se collaborano con la giustizia, oppure quando la loro collaborazione risulti impossibile, ad esempio perché tutte le circostanze del reato sono già state accertate (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 1).

I detenuti e gli internati per altri reati gravi (commessi per finalità di terrorismo, omicidio, rapina aggravata, estorsione aggravata, traffico aggravato di droghe) possono avere i permessi premio solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata o eversiva (art. 4 bis O.P., comma 1, periodo 3).

Chi è evaso, oppure ha avuto la revoca di una misura alternativa, non può avere i permessi premio per 3 anni (art. 58 quater, commi 1 e 2, O.P.). Non vi può averli per 5 anni nel caso abbia commesso un reato, punibile con una pena massima pari o superiore a 3 anni, durante un’evasione, un permesso premio, il lavoro all’esterno, o durante una misura alternativa (art. 58 quater, commi 5 e 7, O.P.).

Detto così sembra tutto in un certo senso chiarissimo, praticamente però se in questo momento fossimo in una platea e io avessi proferito quanto scritto ci sarebbero minimo 100 persone su 90 che avrebbero già la mano alzata per dire: “non è così, io conosco uno che…” e vai con i racconti infiniti di esperienze o casi di permessi che non rientrano nella “norma”.

La mia esperienza dice che teoricamente è così, praticamente non proprio!

In realtà (e dopo la pubblicazione di queste dichiarazioni sono certa di potervi salutare e farmi anch’io quattro conti su quando poter andare in permesso…!) tutto dipende davvero dal “culo” ops… “fortuna” (è più educato, ma il sostantivo di prima rendeva meglio l’idea!) del detenuto.

Escono in permesso detenuti che hanno il parere negativo del direttore dell’Istituto, ma quello favorevole del Magistrato di Sorveglianza che ovviamente vige! Escono detenuti che non sono nei termini, escono in permesso detenuti che non hanno mai collaborato, escono in permesso detenuti che meno di un anno prima hanno avuto una revoca di una misura alternativa… escono cani e porci… ovviamente, e questo è scontato esce anche chi ha diritto ad uscire… ma noi siamo qui per imparare o provare ad imparare ad utilizzare questo strumento tanto bramato dalla popolazione detenuta.

Quindi:

L’istanza va presentata al Magistrato di Sorveglianza territorialmente competente sull’istituto di pena nel quale il condannato si trova. Prima di pronunciarsi sull’istanza di permesso, il Magistrato di Sorveglianza deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi addotti, a mezzo dell’autorità di pubblica sicurezza, anche del luogo in cui l’istante chiede di recarsi.

La decisione è adottata con provvedimento motivato. Il provvedimento è comunicato immediatamente senza formalità al PM e all’interessato i quali possono, entro 24 ore dalla comunicazione fare reclamo al Tribunale di Sorveglianza di competenza.

Non c’è scritto che, il magistrato solitamente per valutare la richiesta ha bisogno di una “meravigliosa revisione critica del reato”, il detenuto deve quindi, discutere e rivedere insieme al magistrato il proprio periodo “nero”.

Come si fa?? Non lo so.

La soggettività della decisione purtroppo lascia milioni di interpretazioni. Ho visto magistrati che pretendono un ammissione di colpevolezza, perché partono dal presupposto che la sentenza di condanna sia un documento sacro e che quindi si possa partire da quel punto. Ci sono magistrati clericali che pretendono un profondo pentimento del tipo mi pento e mi dolgo con tutto il cuore, e un po’ di lacrime in aggiunta danno il suo perché.

Alla revisione critica, solitamente il magistrato aggiunge l’esigenza di una relazione sintesi, o un aggiornamento di questa, redatta dal GOT (gruppo di osservazione e trattamento) che appoggia l’esperienza premiale del detenuto. Il documento viene poi approvato dal direttore e approvato con decreto da parte del Magistrato di Sorveglianza.

In ultimo ma non meno importante è il requisito di una condotta regolare e corretta, partecipe alle attività trattamentali proposte dall’Istituto di appartenenza.

Come già scritto sopra il Magistrato di Sorveglianza, è tenuto a chiedere informazioni alla pubblica sicurezza competente del luogo dove il detenuto richiede di andare.

Se si è reclusi in un posto lontano dal luogo dove è stato commesso il reato, è un punto a favore, la pubblica sicurezza anche a distanza di più di dieci anni questo ve lo assicuro per esperienza è capace di fornire informazioni negative se ne è in possesso, senza nemmeno valutare l’ipotesi che sono passati dieci anni e che quindi le cose possano essere un po’ cambiate.

Fatto questo mix di dati oggettivi e soggettivissimi il magistrato di sorveglianza emette un provvedimento in cui concede o respinge la richiesta ricevuta.

Ahhh!! Non è finita lo stesso provvedimento viene inviato all’interessato e al PM. Quest’ultimo ha la possibilità di opporsi alla concessione deliberata dal Magistrato di Sorveglianza e quindi bloccare  il provvedimento. In questo caso seguirà una camera di consiglio che discuterà dell’accaduto.

Comunque, a questo punto se il magistrato concede… bene!! Il primo passo verso la libertà è fatto.

Se non concede, il detenuto una volta lette le motivazioni del rigetto può decidere, se lo ritenesse opportuno di impugnare il rigetto. In questo caso il detenuto ha 24 ore di tempo dalla comunicazione per impugnarlo.

Deve farlo tramite matricola e deve ricordarsi di scrivere almeno una motivazione precisa e dettagliata, per il resto può anche aggiungere la solita formula “mi riservo di illustrare ulteriori motivazioni nella sede appropriata”. Ma almeno una motivazione deve essere correttamente specificata, pena la nullità dell’impugnazione.

Quindi, se si decide di impugnare il rigetto rispettare i tempi: 24ore e lo svolgimento della stesura delle motivazioni del rigetto.

L’ho riletto, e so di non essere stata chiara, ma ce l’ho messa tutta!

 

 

 

Lettera di Pasquale De Feo a Bruno Vespa

Questa è una lettera che Pasquale De Feo scrisse a Bruno Vespa, in risposta a un suo editoriale su Panorama, più di un anno e mezzo fa. Ma credo che abbia mantenuto inalterato il suo interesse.. dato che la madre dei banalizzatori, dei disinformatori.. o semplicemnte di chi parla di quello che non conosce.. è sempre gravida…

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Egregio dott. Vespa

Sono un detenuto ristretto da 25 anni. Ho letto il suo articolo su Panorama del 23 ottobre. Le scrivo perché il suo articolo contiene delle errate affermazioni.

1- Non è vero che l’ergastolo in Italia non esiste.

2- Non è vero che quando una persona viene condannata a 30 anni di carcere in realtà la si condanna a soli 15 anni.

3- Non è vero che in Italia c’è l’automatismo dei benefici.

4- Non è vero che in Italia non c’è la certezza della pen, a parte per gli ergastolani.

In Italia l’ergastolo esiste e si sconta, addirittura i Giudii in alcune sentenze lo scrivono: “fino alla morte del reo”.

Ironizzare che non lo sconta nessuno, ed è solo nelle nostre teste, è aberrante.

Se l’ergastolo non lo sonta nessuno e nei fatti non esiste, perché non abolirlo?

Purtroppo la dceria che esiste solo sulla carta ha convinto pure molti giudici, e per questo motivo gli ergastolani negli ultimi 15 anni sono lievitati. Noi ergastolani chediamo la certezza della pena, ma purtroppo siamo esclusi da questo “beneficio”; non abbiamo un fine pena.

In Italia le condanne si scontano, e sono pochi i fortunati che gli ultimi anni li scontno con un beneficio della Legge Gozzini. Per iniziare il percorso del trattamento per ottenere un beneficio, bisogna essere prima nei termini di legge, he su 30 anni sono 15 anni, e i fortunati che escono alcuni anni prima del fine pena sono molto pochi.

Riguardo al caso Maso, se lei avesse fatto i conti, avrebbe saputo che gli restano da scontare circa 5 anni di pena. In Italia non esiste l’automatismo dei benefici penitenziari. Purtroppo, come tante altre mistificazioni, anche questa è alimentata ad arte. I termini per i benefici sono solo l’inizio del percorso per accedere ad essi, ma tutto è sempre facoltativo.

Riguardo alla certezza della pena, ormai è uno slogan che politici e giornalisti in cerca di applausi e consensi richiamano ad ogni occasione. Le pene si scontano, si scontano fino all’ultimo giorno, e con rigore scientifico, può capitare un giorno in più, ma mai uno in meno. Se la politica funzionase come la certezza della pena, gli svizzeri potrebberro venire ad imparare da noi come gestire la cosa pubblica.

Assisto da anni alla mistificazione della realtà penitenziaria, purtroppo non c’è mai nessuno che possa rispondere e smentire le tante dicerie che vengono ripetute e sritte. Noi non veniamo mai interpellati, né tanto meno gli assistenti soiali e i volontari. Assistiamo impotenti a processi mediatici, senza avere la possibilità di poter dire realmente come stanno le cose. Gli ascoltatori e i lettori metabolizzano la realtà virtuale e rimangono con la convinzione che quella sia la realtà. Il linguaggio mediatico sulle sofferenze di migliaia di persone e delle loro famiglie non è eticamente orretto. Gli “addetti ai lavori” (politici, giornalisti, ecc..) dovrebbero documentarsi affinché i messaggi rispecchino la realtà.

Uno stato democratico e di diritto deve proteggere la popolazione dai cittadini che infrangono le reole, ed è giusto che paghino per i loro errori, però la società non deve assumere le sembianze di un gigante he divora i propri figli, ma deve accogliere nel suo seno coloro che ne sono usciti.

Con l’ergastolo si è costretti a convivere con la più crudele delle torture: la speranza.

Nel sito Informacarcere dell’associazione Pantagruel di Firenze (all’epoca non c’era “Le Urla dal Silenziio”) lei potrà prendere visione circa la realtà dell’ergastolo, la certezza della pena, e le carceri.

In ogni essere umano c’è del buono, perché nessuno nasce delinquente, pertanto non bisogna uccidere la speranza di nessuno, neanche del più feroce assassino, perché ogni uomo è una infinità possibilità.

Mi scuso per il tempo che le farò perdere, ma la ringrazio per il tempo che dedicherà alla mia lettera.

La saluto cordialmente

Pasquale De Fero

Parma – 11 dicembre 2008 (attualmente trasferito nel carcere di Catanzaro)

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