Continua questo IMMENSO Dialogo che è stato da sempre una delle cifre primigenie e essenziali dell’anima del Blog..
Stavolto solo poche parole.. stavolta lo introduco in silenzio..
Giusto una citazione, tratta dalla parte finale della risposta del Professore Ferraro.. quando lui colto da una ispirazione, come una sorta di “sacro furore” alla Giordano Bruno.. è riuscito a scrivere parole come queste..
“Quanti cattivi pensieri per essere buoni! Quanti cattivi pensieri quando si è buoni! Bisogna resistere anche questo, che ti credi?! Bisogna rifiutare senza rinunciare. Bisogna soffrire senza perdonare. Bisogna arrivare fino in fondo senza sprofondare. Bisogna raggiungere a nuoto la riva del mondo e accorgersi che nuotando davamo forza a chi pensava come noi di nuotare da solo nel buio bianco della nebbia, nella notte senza stelle, nel manto della luce accecante, da solo, senza avere alcun punto di riferimento. E quando arrivare alla riva del mondo è accorgersi che tanti ci riescono solo per aver preso coraggio da un altro che sentivano nuotare a distanza del buio, da solo. Tu sei in questa condizione che devi vivere come un compito.”
Buona lettura….
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Giuseppe caro,
mi sento come dici tu.
–Non hai scampo, sei prigioniero due volte, di chi ti fa male e di chi ti vuole bene.
Posso liberarmi di chi mi vuol male, ma non riesco a liberarmi di chi mi vuole bene.
Sono forte contro l’Assassino dei Sogni ma sono debole con chi mi ama.
Giuseppe, non potrò mai liberarmi e liberare chi mi vuole bene se non rischio qualcosa.
Credo che sia giusto che un uomo, quando non ha più nessuna arma per difendersi e lottare, lotti pure con la sua vita.
Questa sera ho letto un articolo di giornale che mi ha molto colpito e influenzato.
–Cuba/ Dopo la Liberazione di 52 oppositori il dissidente Farinas pone fine allo sciopero della fame. Acide le dichiarazioni di Farinas: il governo ha dovuto “fare qualcosa che non voleva” (ma l’ha fatta), “non ci sono né vinti né vincitori, ha vinto solo Cuba”.
Giuseppe, un uomo solo con uno sciopero della fame è riuscito a piegare un regime e nel passato un altro uomo è riuscito a ottenere l’indipendenza del suo paese, l’India.
Fammi provare.
Potrei farcela anch’io.
Non sarebbe difficile, né impossibile, basterebbe solo non mangiare.
Potrei vincere.
Non posso continuare a vivere di nulla e nel nulla.
Non posso continuare solo ad abbaiare alla luna, devo fare qualcosa di più.
Per chiunque sarebbe una scelta sbagliata, non per me.
Sono forte e cattivo abbastanza da fare soffrire per l’ultima volta chi mi ama.
Giuseppe, non serve lamentarsi, bisogna lottare anche a costo della vita.
Ed è un affare rischiare la vita per chi non ha più vita.
La morte è sempre un ottimo affare per un ergastolano.
Ogni uomo dovrebbe avere il diritto di sapere quando finisce la sua pena.
Io lotterò con la vita per sapere quando finirà la mia.
Lo so! La mia scelta farà arrabbiare chi mi vuole bene.
Per questo in certi momenti vorrei essere solo, perché non avrei più nulla da perdere se non le mie stesse catene.
Giuseppe, tra un anno ne parleremo di nuovo.
È il tempo che mi sono dato per convincere il mio cuore che non ho più speranze.
Questo mese compio cinquantacinque anni e ho promesso al mio cuore che sarà l’ultimo che passerà senza futuro.
Ho paura che l’ergastolo ostativo non lo aboliranno mai, me lo sento, ma devo provarci.
È giusto che un uomo provi a lottare con tutte le sue forze per la libertà, il futuro, la speranza, l’amore.
Non voglio invecchiare in una cella senza fare nulla.
Non si uccide un essere umano, ma un essere umano non si dovrebbe tenere neppure tutta la vita chiuso in una cella senza speranza.
Se lo fanno, che differenza c’è fra i criminali e le persone perbene?
Io glielo impedirò con tutte le mie forze, anche con la mia stessa vita, di tenermi dentro una cella per sempre.
Giuseppe, mi sono affezionato a te e sento che ti sei affezionato a me, qualsiasi decisione prenderò in futuro stai vicino al mio cuore.
Con il passare degli anni il mio cuore sta diventando un peso, un fardello ingombrante perché non mi sta facendo lottare contro l’ergastolo come vorrei.
Il mio cuore è debole, non è forte, determinato e cattivo come me, per questo ho deciso di lasciarlo. Ormai mi è d’impaccio, per questo ho deciso di dividerlo con tutte le persone che mi vogliono bene.
Ne dono un pezzetto anche a te.
Ciao Giuseppe, ricordati che continuerò a volerti bene, anche se un giorno diventerò così cattivo che non ascolterò più le persone che mi amano e mi vogliono bene.
Carmelo
11 luglio 2010
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E’ proprio strano, quando scrivi di essere cattivo. Usi questa parola con un senso che non gli appartiene nel linguaggio comune. Non sei cattivo. Te lo ho scritto altre volte. Sei cattivo perché in latino “captivus” è quello che sta in prigione, il catturato, in italiano. Tu invece usi la parola cattivo in modo che solo chi ti vuole bene può capire. Usi la parola “cattivo” come una madre può rivolgersi al suo bambino dicendogli “sei cattivo”. E la madre risponde così al desiderio del bambino di volere fare qualcosa che non deve fare, almeno non in quel momento. Allora sei “cattivo” come dici tu, ma solo per i buoni che possono capirlo. Per questo vorrei che non usassi quella parola, “cattivo”, per chi non la può capire. Si, il bambino si dice “cattivo” perché altri lo rendo tale, fa il cattivo perché non gli lasciano fare come vuole essere. Ma per quelli che non ti capiscono, come chi ti vuole bene, credi che intendano il senso che dai alla parola “sono cattivo”? Credo proprio che non capiscono. Io sono d’accordo con te, Carmelo. Penso mille volte a quello che pensi. Rischiare la vita. Si, lo penso. Lo penso e non te lo scrivo. Evidente. Sono dalla tua parte, dalla parte dei tuoi pensieri, ma non posso nemmeno scrivertelo. Prima devo poter rischiare io stesso, e tanti altri lo dovrebbero, per poterlo scrivere e tu devi aspettare questo. Non si scherza con chi ci vuole bene e ci capisce. Non si scherza. Qui stiamo facendo un percorso. Tu hai e stai in un compito. Più grande di te. Evidente. Si capisce che puoi vacillare, si capisce che sei umano. Dovesse pure costarti la vita, lo so, lo capisco, ma attenzione, hai un compito da rispettare e da far valere e vedere. Lo sciopero della fame? Si, vedi quanto sono cattivo io adesso. Lo sciopero della fame che ho sentito fare ogni anno per qualche giorno, non serve. Non arriva nemmeno ai giornali. Viene registrato sui siti, fondamentali ed eccellenti, importantissimi. Bisogna però fare di più. Bisogna che si muovano delle ragioni precise. Bisogna individuare un percorso. Nadia sta facendo tanto per questo. E non deve essere sola. Bisogna coordinarsi. Chi è nell’ergastolo ostativo non può pagare oltre alla sua pena di castigo anche per quelli che non sono ancora stati “presi”. E’ una forma di tortura che si usa solo nello stato di guerra. Allora si accetti da parte di chi reclama una tale consegna (il pentitismo) che c’è lo stato di guerra e ci si regoli di conseguenza. Se però una delle parti in guerra non si considera per nulla in guerra deve dire vi siete sbagliati e vi state sbagliando. Non sono in guerra. Non sono un detenuto nemico, né un detenuto politico, sono un detenuto sociale e voglio diventare collaboratore sociale. E’ un’altra cosa. Mettetemi alla prova. La battaglia allora è un’altra. E’ per la democrazia del nostro paese, non per una guerra che il nostro paese dice di condurre e rifiutare di nominare per tale. Si deve pure parlare di tortura quando si è prigionieri di guerra. E ci sono le torture, ma non si nominano per tali. Il punto è questo. La criminalità non è un esercito. Vi sono famiglie, in gergo, è vero ed è così. Figurarsi. Bisogna però pure distinguere. Bisogna valutare bene i casi e le persone. Quello che manca nelle carceri sono i principi etici. Manca una commissione etica. Non solo per dire delle condizioni impossibili, ma per dire: “questo signore qui può essere messo alla prova, ha dato già prova”. Insomma bisogna essere scientifici, bisogna avanzare i diritti. C’è bisogno di costituire commissioni etiche, miste, di uomini e donne, di educatori e psicologici, di magistrati e di agenti, anche di detenuti e soprattutto di chi si occupa di etica, chiamiamoli pure filosofi, ma che si occupino di etica, mettiamoci pure i medici. Ma che siano tutti come dei giurati e tutelati, non pubblicizzati. Bisogna che ci sia un movimento più organizzato, non alla protesta, ma al diritto, a impegnarsi sul piano giuridico, sociale ed etico, andando a Strasburgo, organizzando una manifestazione dei familiari, una petizione dei figli, un’opinione d’intellettuali. Anche, perché no, un movimento dei parenti di quelli che si sono trovati dalla parte sbagliata e vogliono restituire e restituirsi sul piano sociale. Insomma, la via deve essere un’altra e tu devi fare la tua parte. Allora andrà anche bene lo sciopero della fame fino all’ultimo, ma attenzione, Gandhi se fosse morto non avrebbe permesso la liberazione dell’India. La non violenza è uno strumento necessario e forte. La non violenza è pari alla cultura dei sentimenti, per citare giusto un filosofo. Cominciamo anche a stampare delle cose, a farle circolare, qui c’è gente che deve sapere. Né tu devi trovarti a essere uno strumento per altri che non siano tutti quelli che come te hanno fatto un percorso e sono già sul piano di una restituzione sociale perché hanno già cominciato a restituire ai loro figli, ai loro affetti quello che non avevano saputo nemmeno che si potesse pensare perché deviati da se stessi e da altri altrove. Quante persone conosco, e mi sento legato loro di amicizia, che hanno già scontato fin troppo e quanti ancora ci sono, e tanti, che non hanno nemmeno cominciato a capire perché e come prendere la via che li porta a se stessi.
Carmelo, chi ti vuole bene, soffre che tu soffri, perché si soffre solo per quello che è ingiusto. E la tua pena è arrivata a un punto del tempo e dell’età che si è fatta ingiusta. La giustizia per te si è fatta ingiusta. Allora bisogna che si faccia capire come rendere giusta la giustizia, che è giusta solo quando ristabilisce i legami per chi ne riconosce il valore. Ricordati quella parola del buon Aristotele, nell’Etica, quando diceva che gli amici non hanno bisogno di avanzare giustizia, quelli invece che sono giudici hanno bisogno di promuovere l’amicizia.
Sai Carmelo, non bisogna nutrire speranze e promesse. Ci si fa male e si sta male a seguirle. Ci si logora. Anche la fede non è come si dice che occorra viverla. L’altro giorno sentivo un arcivescovo, mio amico, anche lui parlava della fede e diceva della immortalità dell’anima. Parlava della fede come di una speranza compiuta. Voglio pensare che la intendesse a questo modo, non lo credo. Quando si parla ad altri si fanno promesse e quando si ascolta un altro si nutrono speranze. Bisogna intendersi su queste cose. La fede è senza speranza. La fede è uno stato. Un essere e sentirsi in un certo legame. Essere legato nel modo più libero perché sentito. In fondo non siamo liberi quando siamo in un legame che non sentiamo o che è contro il nostro sentire o che ci toglie il sentire. La libertà è quando l’essere e il sentire si corrispondono. In un legame. Voglio intendere così la fede come stato, come condizione, e voglio intenderla per questo anche come quel legame che ti fa essere assolutamente libero. Altro che immortalità dell’anima. Se è dentro il corpo, l’anima sarà piuttosto il dentro del corpo. L’intimità della vita. Libertà è a quando la vita si riconosce nell’esistenza, quando la vita si riconosce nel mondo e ci sentiamo vivere. Non ci sono speranze o promesse per questo, c’è lo stato in cui viviamo nonostante la vita sia messa in cattività. Non un credo o un’aspettativa. Un modo d’essere. Io non ho la fede che si dice che si deve avere o che si ha. Ho solo lo stupore di ciò che vive e che c’è ancora di più quando non permettono l’essere alla vita. Penso che sia qualcosa che ci sovrasta. La vita ci supera. Non s’importa di noi, è violenta, va avanti. La vita non s’importa di noi, siamo noi che dobbiamo importarci della vita. Importarcene, portarla dentro di noi. La vita ci supera, è il nostro corpo. Si dà nella natura che siamo. Non è nostra. Solo l’esistenza ci è propria. Lo ripeto sempre. Si tratta di mettere insieme il proprio e l’improprio. La fede dovrebbe essere il compito di un tale legame, che è di fede non per una promessa o un’aspettativa, ma per il compito che ogni legame stabilisce come stato della propria esistenza. E sono i legami che si danno con le persone che ci vogliono e che vogliamo bene. Carmelo mi lega a te la fede che lega l’esistenza alla vita. L’amicizia è un compito. La fade è come l’amicizia. La fede è senza speranza. Se vado in depressione d’esistenza è questa fede che devo sapermi rappresentare nel volto di mio figlio, nel tuo, in quello di Nadia, in quello di Mita, in quella di tua figlia, del tuo compagno di cattività e che non avresti mai conosciuto altrimenti e come lo conosci e come nessun altro può conoscerlo, perché conoscerlo è conoscersi. Farlo proprio. Non sarò nemmneo lui come è che lo conosci. Non si vive di una sola vita perché la vita non è propria. Non si vive di una sola vita, ma delle tante vite che ti stanno intorno e hanno volto ed esistenza, insieme fanno un mondo. Ciascuno di noi è nel mondo di persone che insegnano la cura e che si prendono cura perché noi stessi possiamo averne cura.
Ti capisco. E penso mille volte quello che pensi. Che ti credi?! Vuoi che quello di terribile e di inquientante che pensi non lo pensino anche gli altri che ti stanno intorno e che sono legati a te? Quanti cattivi pensieri per essere buoni! Quanti cattivi pensieri quando si è buoni! Bisogna resistere anche questo, che ti credi?! Bisogna rifiutare senza rinunciare. Bisogna soffrire senza perdonare. Bisogna arrivare fino in fondo senza sprofondare. Bisogna raggiungere a nuoto la riva del mondo e accorgersi che nuotando davamo forza a chi pensava come noi di nuotare da solo nel buio bianco della nebbia, nella notte senza stelle, nel manto della luce accecante, da solo, senza avere alcun punto di riferimento. E quando arrivare alla riva del mondo è accorgersi che tanti ci riescono solo per aver preso coraggio da un altro che sentivano nuotare a distanza del buio, da solo. Tu sei in questa condizione che devi vivere come un compito. Lo ripeto. La fede è uno stato. La speranza e la promessa sono forme di relazioni, stati anch’essi di amicizia, ma che fanno solo male se le si lascia all’immaginazione che è più veloce, cammina con stile fantastici, arriva quando non si è cominciato ad andare e l’attesa di chi arriva prima è terribile. Meglio la fede, ma ancora come stato di legame di fiducia verso chi ci vuole bene. La fede è senza speranza. E’ un legame, un compito, quello di fare l’impossibile perché la vita che ti prende trovi piena esistenza come tua propria vita. Il futuro non è quello che viene domani, ma quello che saremo capaci di raccontare come passato di quel che è presente adesso. Il futuro è ciò che raccontiamo del presente, e raccontando avremmo anche scelto come far vivere il nostro presente. Chi scrive racconti ha futuro. Chi si fa racconto ha futuro. Chi racconta il suo presente ne ha fatto futuro, lo avrà reso come che fu per lui. E tu scrivi racconti e sei un racconto. Lo sei nelle parole di chi ti sta vicino, nei loro racconti, sei anche il mio racconto, lo sei nell’esemplarità della tua sofferenza e del tuo sorriso di bambino.
Ti abbraccio
Con Affetto
Giuseppe
20 luglio 2010
Pubblicato da alfrhaed in
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