Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

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“Un bambino cresciuto troppo in fretta” di Gino Rannesi

 

Dopo qualche mese dal suo primo scritto,  che potete trovare  https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/08/19/salve-sono-girolamo-rannesi/ , ritorna a scrivere per noi Girolamo, in arte e per gli amici GINO, Rannesi.

Nel suo testo di oggi ci spiega anche in cosa è stata impegnata la sua scrittura in questi mesi lontano dal Blog, ma quello di Gino Rannesi, ergastolano detenuto a Spoleto, è soprattuto uno scritto forte, a tratti provocante, che certo non  può lasciare indifferenti, che potrebbe far saltare sulle proprie sedie tutti coloro che sono convinti dei loro giudizi a priori, a prescindere…

Gino ci dice la sua, quella che è secondo lui la verità. Certo è la sua, si può anche non condividerla in toto, ma bisogna leggerla e ascoltarla, perchè lui è uno che di cose ne ha viste tante  in questi anni di carceri e processi.

Allora, forza, Gino aspetta le vostre opinioni e i vostri commenti!  Vi lascio al suo testo:   

 

 

 

Bene, dove eravamo rimasti?

Sono sempre io, l’ergastolano ostativo Girolamo Rannesi: tempo fa ho prodotto un documento che poi è stato inserito nel sito, dove raccontavo di una passeggiata particolare,  affrontando la questione se sia giusto che una persona condannata all’ergastolo debba morire in galera. Le risposte ricevute sono state confortanti, infatti solo una ragazza, con molta franchezza, ha risposto che si, chi ha ucciso deve morire in  carcere. Benissimo, sono contento.Ultimamente non ho più scritto null’altro per il sito e non certo perché non ho avuto voglia di farlo, ma per altri motivi, tra questi vi è anche il seguente:

negli ultimi mesi sono stato impegnato nello scrivere un racconto; ho iniziato per gioco, il mio intento era quello di scrivere una storiellina per Nicholas, un bambino di sette anni, ma dopo il primo capitolo la voglia di scrivere delle cose, che nulla hanno a che fare con questo bambino, bensì con un altro, ha preso il sopravvento.

UN BAMBINO CRESCIUTO TROPPO IN FRETTA. Questo è il titolo che voluto dare al mio racconto, lo stesso si trova al vaglio di persone competenti per valutarne se, come e quando, sarà pubblicato. Al momento vorrei mostrarvi la copertina (foto sopra, ndr), questa è stata ideata dal sottoscritto, ma realizzata dal mio amico Salvatore Galatello. L’immagine realizzata è tutto un programma, ritengo sia consona alla storia, nel pensarla mi si è accapponata la pelle, nel vederla realizzata mi sono molto emozionato.

Bene, veniamo ad altro. Desidero ringraziare tutte le persone che hanno risposto positivamente  ai due documenti, che avevano ad oggetto la questione dell’ergastolo ostativo. Vi abbraccio caramente, un abbraccio anche a chi la pensa diversamente e cioè quelli che sostengono che chi ha ucciso è giusto che debba morire in carcere. Non vorrei parlare più di questa questione, sono stanco, lo ha già fatto Carmelo, e probabilmente lo farà ancora. Vorrei solo chiarire  una cosa: gli ergastolani  in lotta per la vita di Spoleto non sono stati condannati per avere ucciso donne, bambini, vecchietti, ecc, a torto o ragione avrebbero ucciso per vari motivi altri pregiudicati, quindi omicidi, c.d. tra cosche contrapposte, quindi omicidi che sarebbero scaturiti in un contesto di “guerra”. Forse che questo, dovrebbe essere un attenuante?

Giammai, ma vorrei che fosse chiaro a tutti che qui nessuno ha mai commesso delle sconcezze come quella di ammazzare un bambino di 16 anni, questo l’ha fatto brusca e i suoi compari, e ribadisco solo brusca e i suoi compari, collaboratori di giustizia perciò liberi.

Essendo io siciliano, inorridisco quando sento affermazioni del tipo: “Uccidono e sciolgono nell’acido anche i bambini”,  bugiardi! Questo l’ha fatto il brusca: uno, uno soltanto, il quale per sua stessa ammissione ha ordinato l’orrore, che il fratello di questo ha poi portato a  compimento.

Chi ha ucciso in “guerra” ha sbagliato, non si uccide, non si deve, neanche davanti al peggior nemico, e se questi poi ti ammazza,   pazienza. Ultimamente in alcuni programmi televisivi la fanno da padroni coloro che parlano di criminalità organizzata, di mafia, di camorra, di ndrangheta. I più di questi parlano di cose che non conoscono, di cose che non hanno vissuto, he! Ma loro denunciano.

Ma che cosa denunciano?

Hanno letto dichiarazioni di  “pentiti”, ordinanze di custodia cautelari emessi da varie procure, e poi bla, bla, e ancora bla. Tutti  siamo capaci di parlare dell’effetto che talune cose provocano o che hanno provocato, ma le cause?

No! Nessuno che spieghi mai le cause, nessuno che proponga soluzioni! E la corruzione?

Non è forse questo il male assoluto della nostra società?

Meglio volare bassi, e così mentre la disoccupazione dilaga, mentre la gente non arriva più a fine mese, si cerca di far dimenticare: perché vi affannate a pensare al domani?

Godetevi la telenovela di Sabrina, la piazza l’ha già condannata, lei e solo lei ha ucciso la cuginetta Sara, sono bastati sette dichiarazioni una diversa dall’altra,  unite da un pianto  “liberatorio” da parte di zio Michele, per far decretare alla piazza che sì, Sabrina è l’assassina. Povera Sabrina, per lei nessuno o quasi è disposto ad aspettare le celebrazione del processo. Alla piazza le soluzioni semplici non piacciono, eppure è così chiaro come siano potute andare le cose!!

In data odierna ho partecipato al c.d. corso lettura, promosso è diretto dalla psicologa del carcere, oggetto della discussione: il PERDONO.

Alla luce di quello che si è letto ed ascoltato in tal senso, ognuno dei presenti ha poi potuto dire la sua. Il perdono secondo il sottoscritto:

Il perdono è una questione che riguarda solo ed esclusivamente il perdonante.

Il perdono è un cambiamento di chi lo dà. Chi lo riceve potrebbe anche non esserne interessato.

Chi riesce a perdonare non odia, non cerca vendetta,  si pone in una posizione superiore rispetto a chi l’ha colpito negli affetti. Per chi non riesce a perdonare, ha comunque tutto il mio rispetto.

Un giorno durante un maxiprocesso dove il sottoscritto tra le altre cose era imputato anche di alcuni omicidi, accade che nell’aula, accompagnata dal proprio avvocato, fece il suo ingresso una  bella signora vestita di nero, prese posto in uno dei banchi riservati alle parti civili, c’era solo lei, accanto sedette il suo avvocato. La signora si guardò intorno con aria di sfida, di tanto  in tanto fissò negli occhi gli imputati rinchiusi nelle rispettive gabbie.

Era alla ricerca di colui che secondo l’accusa gli ebbe ad uccidere il proprio figlio, ben presto anche con l’aiuto del suo avvocato questa individuò nel sottoscritto il responsabile di quella uccisione.

La signora ad ogni pausa si avvicinò nella gabbia, dove riteneva vi fosse rinchiuso l’assassino di suo figlio, questa con fare garbato e senza scomporsi più di tanto diceva: Vigliacco  ………..

Naturalmente da parte mia non ci fu nessuna risposta, come si fa a torto o ragione a non comprendere il dolore di una madre?

Questo suo modo di rivolgersi al sottoscritto durò per qualche mese, sino a quando il p.m non ebbe a trattare nello specifico quell’episodio. Il p.m.: L’omicidio in questione deve essere inquadrato nella guerra che ha visto Tizi contrapposti ai Caio, inoltre pare che la vittima avesse in precedenza ucciso un pregiudicato ritenuto affiliato ai Caio. Ebbene a quel punto la bella signora vestita di nero, tramite l’avvocato si premurò di far sapere alla corte che non era più interessata a costituirsi parte civile. Prima che questa uscisse dall’aula, ancora una volta volle avvicinarsi a quella gabbia in cui io ero rinchiuso da solo, perché all’epoca ristretto al 41 bis, mi guardò negli occhi e piangendo mi disse: Disgraziati! Siete dei disgraziati.

Naturalmente fu chiaro a tutti come quell’ultima affermazione che la signora ebbe a fare andava estesa anche al proprio figlio.

Detto ciò la signora non partecipò ma più al proseguo di quel processo, non fu presente neanche il giorno in cui venne emessa la sentenza. Che dire?

Non sono certo di essere stato perdonato, sono certo però di non essere più odiato da quella madre, quella donna con le palle nel prendere atto che forse il proprio figlio non era stato uno stinco di santo, capì.

Alla fine di questo processo sono stato condannato all’ergastolo ostativo e questo fatto prescinde dall’essere stato perdonato o meno.

Ecco gli ergastolani in lotta per la vita altro non sono che persone condannate a morire in carcere, perché avrebbero commesso omicidi simili a quello per cui io stesso a torto  o a ragione sono stato condannato. Un  racconto simile a quello sopra citato è anche nel mio racconto scritto.

Bene cari amici, vi abbraccio affettuosamente.

Un bacio a Nicholas e alla sua mamma.

Spoleto,  Dicembre 2010

Girolamo Rannesi, x gli amici Gino.  

“Gli Uomini Ombra ” di Carmelo Musumeci

 

E’ con   soddisfazione e  gioia che vi proponiamo “Gli uomini ombra” il nuovo libro, edito da Gabrielli Editori, di Carmelo Musumeci, ergastolano di Spoleto che da anni segue con noi il progetto “Oltre le sbarre” e attivo promotore  della  campagna “Mai dire Mai”, da   noi    sostenuta.

Vi chiediamo di sostenere l’acquisto e la promozione di questo libro, magari  utilizzandolo  come  regalo  per  le prossime  Feste  Natalizie e divulgando  questa  email  alla  vostra  lista di indirizzi e amici.

Il libro è disponibile e ordinabile in tutte le librerie, ma per un ordine certo Vi consigliamo di acquistare direttamente sul sito www.gabriellieditori.it  o  www.ibs.it 

Per chi può è gradita ogni forma di recensione che ci aiuti a far conoscere la situazione delle carceri italiani e dell’ergastolo ostativo.

 Ass. Comunità Papa Giovanni XXIII

Servizio Carcere 

 

“L’amore perfetto” racconto di Carmelo Musumeci 5° Capitolo- epilogo

 Dedicato a tutti coloro che l’hanno tanto atteso, eccovi il 5° ed ultimo Capitolo di questo racconto!

 Se volete prima rileggere gli altri:

https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/10/29/lamore-perfetto-racconto-a-capitoli-di-carmelo-musumeci/

https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/11/06/lamore-perfetto-racconto-di-carmelo-musumeci-2%c2%b0-capitolo/

https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/11/14/lamore-perfetto-racconto-di-carmelo-musumeci-3%c2%b0-capitolo/

https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/11/21/lamore-perfetto-racconto-di-carmelo-musumeci-4%c2%b0-capitolo/

Quinto capitolo

La vita, l’amore e la morte.

 

Però il suo sorriso era incerto.

Perché anche nei suoi ultimi istanti di vita Nico pensava a Giovanna.

Era ancora prigioniero dell’amore che provava per lei.

Per liberarsi di quella puttana doveva togliersi la vita.

Non aveva altre scelte.

Ad un tratto gli venne in mente che forse l’amore e la vita continuavano dopo la morte.

Sperava di no.

Ci mancava anche d’incontrarla di nuovo dall’altra parte.

Respirò a fondo.

Era il suo ultimo respiro.

Si voleva portare un po’ d’aria nell’aldilà.

Casomai ne avesse avuto bisogno.

Rise per la battuta.

Poi pensò che quelli erano i suoi ultimi istanti di vita.

La sua ultima ora.

Il suo ultimo secondo.

Nel frattempo si era alzato un po’ di vento.

In sette anni di carcere Nico aveva pensato spesso di togliersi la vita.

Quando Giovanna l’aveva lasciato.

Quando non era più riuscito a vedere suo figlio.

Quando aveva saputo che il giudice dei minori aveva affidato Nico Junior ad una famiglia.

Non l’aveva mai fatto perché pensava che era troppo brutto suicidarsi dentro il ventre dell’Assassino dei Sogni.

Ora però era fuori e la morte gli faceva meno paura.

Morire libero era più bello.

Ad un tratto Nico scosse la testa.

I suoi pensieri erano ormai stanchi.

Cacciò via la malinconia.

Era meglio che si dava una mossa.

Forse il nulla era meglio di quella vita.

Si passò una mano tra i capelli.

Fissò per l’ultima volta il cielo e premette il grilletto.

Non sentì nessun rumore.

Solo silenzio.

Riuscì  a sentire i battiti del suo cuore che rallentavano.

Si accorse che il suo respiro diminuiva.

Il suo cuore iniziò a battere sempre più piano.

I suoi occhi rimasero aperti.

Volle morire con gli occhi aperti.

Poi non sentì e non vide più nulla.

Era sereno di essere morto da solo.

Era felice d’aver salvato almeno la vita della donna che amava.

 

Nico aveva sempre giurato a se stesso che sarebbe vissuto solo fin quando non avesse smesso di amare la vita.

Me l’aveva confidato una sera in cella nel carcere di Massa , quando mi parlò di suo figlio e di Giovanna.

Per amore della verità  Nico non si sparò con una pistola nella tempia, ma con una fucilata in bocca.

 

“L’uomo Ombra” La rubrica di Carmelo Musumeci – Il suicidio dei cattivi

Avevamo divulgato questo articolo solo qualche giorno fa. Molti  di voi lo avranno visto… Beh…dopo solamente due giorni è già superato. Superato in negativo! Perchè i morti per suicidio dall’inizio dell’anno non sono più 58, bensì 60. Altre due vite spezzate, altre due vite che  pesano sulla coscienza collettiva, se mai ce ne fosse una… Altre due vite che forse si potevano salvare: uno di loro era già segnalato con evidenti problemi psichici, l’altro si è ucciso mentre era in isolamento per punizione… Questo, signori, è il nostro carcere: rieducativo, come prevede la Costituzione!

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Il suicidio dei cattivi

 

 “Non rendere a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini”

( Rm 12,17 )

 

 

“Simone la Penna morto in cella per denutrizione” (“Il Manifesto”27 ottobre 2010)

In carcere ormai la morte è  di casa,  si muore come se fosse una cosa normale.

Eppure molti non sanno che togliersi la vita in carcere è molto  più doloroso che ammazzarsi fuori.

“Con il suicidio del 32 enne cittadino sloveno a Bologna salgano a 7 i detenuti che si sono tolti la vita in ottobre e a 58 da inizio anno: 48 si sono impiccati, 6 asfissiati con il gas della bomboletta da camping, 3 avvelenamenti da mix di farmaci e 1 dissanguato dopo essersi tagliato la gola.”

 ( Fonte: Osservatorio permanente sulle morte in carcere di RistrettiOrizzonti )

 

Molte persone aldilà del muro di cinta mi scrivono e mi chiedono spesso perché i detenuti in carcere si tolgono la vita.

 Forse in galera ci si uccide perché la stanza assomiglia ad una bara e mentre in una cassa da morto hai la fortuna di stare da solo, in una cella spesso sei messo uno sopra l’altro, in due, tre, quattro, cinque persone  o più.

Forse in galera ci toglie la vita per togliere il disturbo e non essere di peso a questa società, perché meglio non esistere che annegare nella disperazione.

Forse in galera ci si suicida semplicemente perché alcuni non accettano l’assoluta disumanità del carcere, dato che nelle carceri italiane la vita è priva di significato.

Forse in galera ci si uccide perché con il passare degli anni la maggioranza dei detenuti perde la facoltà di pensare, di lottare e di andare avanti.

Forse in galera ci toglie la vita perché molti di noi vivono senza sentirsi vivi e consciamente o incosciamente invidiano e imitano chi ha avuto il coraggio di farlo.

Forse in galera ci si suicida semplicemente perché la morte ti fa vedere la libertà e tutto quello che desideri dalla vita.

Forse in galera ci si uccide perché per molti di noi la morte rimane l’ultima speranza, quella a portata di mano.

Forse in galera ci si toglie la vita semplicemente perché la morte è l’ultimo atto d’amore alla vita.

Forse in galera ci si suicida perché quando stai morendo hai il vantaggio d’immaginare tutto quello che vuoi,  anche quello di morire libero.

Forse non lo so perché dall’inizio dell’anno in una popolazione di 68 mila detenuti si sono tolti la vita 58 persone, bisognerebbe domandarlo ai nostri governanti.

 Diciamoci la verità: tutti lo pensano, ma sono pochi coloro che  dicono che le carceri in Italia non sono solo luoghi di sofferenza, solitudine e abbandono, ma sono anche luoghi dove le persone sono tenute come animali allevati  in cattività.

E negli istituti italiani non esistono diritti, perché è inutile averli se non c’è nessuno che li fa rispettare.

Il carcere dovrebbe produrre legalità, rispetto dei diritti umani e sicurezza, dentro e fuori dalle sue mura, e non morte.

“Non si  sarebbero accorti che lentamente si stava spegnendo”(Il Messaggero, martedì 26 ottobre 2010 )

Diciamoci la verità: nelle carceri italiane non esiste lo Stato di diritto, ma un gruppo di burocrati che gestisce le persone che ci lavorano e i carcerati,  che scontano una pena a volte in un modo violento, tragico e illegale.

Il carcere con queste modalità e con questi funzionari non recupera un bel nulla, ma piuttosto elimina, distrugge e ammazza.

Diciamo la verità: in Italia il carcere ha una funzione sociale e di controllo del male minore per poter nascondere a fare crescere di più il male maggiore.

E diciamo l’ultima verità: esiste la mafia che uccide, ma esiste anche la corruzione politica, finanziaria, mediatica, imprenditoriale, istituzioni mafiose che in carcere non ci vanno mai.

Carmelo Musumeci

Carcere di Spoleto, novembre 2010

“L’Amore perfetto” Racconto di Carmelo Musumeci 4° Capitolo

Ecco il tanto atteso quarto, e penultimo, capitolo di questo racconto. Tra pochi giorni il capitolo finale!

Quarto capitolo

Giorno zero

Nico in quel momento capì che forse non l’avrebbe ammazzata.

Le lanciò uno sguardo malinconico.

E nostro figlio?

Nico s’interruppe per pochi secondi.

Le lanciò un’occhiata.

Poi ricominciò a parlare.

Perché hai abbandonato anche lui?

Sapeva la risposta ancora prima di sentirla.

Nico con la coda dell’occhio vide che la mano di Giovanna si spostava verso la sua.

Senza volerlo la afferrò.

Sentì la mano vellutata di lei sulla sua.

Giovanna sorrise mesta.

Io non lo volevo … a me non piacciono i bambini … l’ho fatto nascere solo per te.

Nico scosse la testa.

Si mise la mano in tasca.

Sentì il calcio della pistola.

Quello era il momento giusto per spararle in bocca.

Come aveva sempre sognato in tutti questi anni.

Incrociarono i loro sguardi.

Poi lei gli disse:

-Nico perché sei venuto?

Lui non rispose.

Non voleva spaventarla.

Dondolò la testa avanti e indietro.

Rispose dentro di sè.

Per ucciderti.

E si disse con calma.

Moriremo tutti e due … ed io muoio per te.

Intervenne il suo cuore.

E lei per chi muore?

si guardò intorno confuso.

Nico non si aspettava da parte del suo cuore quella stupida domanda.

Invece se la doveva aspettare, lui era ancora innamorato di quella troia.

Con rabbia Nico rispose.

Muore con me.

Il suo cuore cominciò a battere più forte nel suo petto per farsi sentire.

No! Non voglio che muoia. Non è giusto, non permetterò che accada.

Nico lottò per qualche istante con il suo cuore.

Aveva voglia di ammazzarla ma aveva pure il desiderio di salvarla.

Alla fine decise di salvarla.

L’amore vinse sull’odio.

Decise che sarebbe morto solo lui e che lei si sarebbe salvata.

Lei aveva vinto ancora.

Non l’avrebbe uccisa.

Si sarebbe ucciso da solo.

Forse lei non era solo una puttana.

Probabilmente era anche una creatura che aveva bisogno di amare e di essere amata.

Decise di non ammazzarla.

Nico sospirò e si rivolse a lei senza guardarla negli occhi.

Fammi pensare da solo … vai a casa … forse verrò … e forse sparirò per sempre dalla tua vita.

Lei alzò le sopracciglia.

Si alzò dalla panchina.

Gli sorrise.

-Ti aspetto.

Nico si sentì gli occhi addosso.

Il suo cuore fece un salto.

Giovanna si voltò.

Fece un passo per andare via.

Ci ripensò.

Si girò di nuovo.

S’inchinò.

Gli diede un bacio sulle labbra.

Gli fece una carezza e se ne andò.

Nico, vedendo come muoveva il sedere, le sorrise dietro.

Era contento.

Quel giorno aveva salvato una vita.

Ed era abbastanza.

Non poteva certo salvarne due.

Non poteva salvare anche la sua vita.

Sarebbe stata … “Troppa grazia Sant’Antonio”.

Ora lui poteva morire tranquillo.

Nico non credeva nell’aldilà.

Però  non escludeva che qualche cosa di lui sarebbe rimasto su questa terra.

Sperava che fosse l’amore per Nico junior.

Si ricordò quando suo figlio era nato.

Quando l’aveva visto per la prima volta.

Si ricordò il suo sorriso.

A un tratto una lacrima gli spuntò dall’occhio sinistro.

Gli rigò il volto.

Gli andò sulle labbra.

L’assaggiò.

Sembrava di sale.

Impugnò la pistola.

Gli tremavano le mani.

Non aveva paura, era solo ansioso di fare presto, prima di ripensarci.

Era difficile scegliere di morire invece di correre a fare l’amore con la donna che amava.

Il suo cuore gli suggeriva di lasciar stare e di andare a scopare Giovanna.

Lui non voleva dargli ascolto.

E non gli diede retta.

Questa volta voleva fare di testa sua.

Si puntò la pistola nella tempia.

Sorrise.

Voleva morire sorridendo.

“L’amore perfetto” Racconto di Carmelo Musumeci 3° capitolo

Dopo aver inserito i primi due capitoli

https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/10/29/lamore-perfetto-racconto-a-capitoli-di-carmelo-musumeci/

https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/11/06/lamore-perfetto-racconto-di-carmelo-musumeci-2%c2%b0-capitolo/

 eccovi  il terzo del nuovo racconto di Carmelo Musumeci:

L’amore perfetto      

 

                                                       

 Terzo capitolo

Nessun giorno all’alba

Nico guardò il portone chiudersi.

Sorrise amaramente.

In quel posto non lasciava nulla di suo.

A parte sette anni della sua vita.

Si voltò e rimase abbagliato.

I suoi occhi non vedevano da anni la luce dell’aria aperta.

Nel cielo c’era il sole.

L’aria odorava di uno strano profumo.

Di fronte al carcere c’era un parco.

Nico voltò le spalle all’Assassino dei Sogni.

Attraversò la strada e lo raggiunse.

Si levò le scarpe e i calzini.

Camminò con delicatezza sopra l’erba.

Tutto quel verde gli faceva girare il cuore di felicità.

Andò all’albero più vicino e lo abbracciò.

Lo desiderava da sette anni.

Provò una sensazione di felicità come quando anni prima abbracciava Giovanna.

Il verde in tutti quegli anni di prigione gli era mancato.

Forse più di quella puttana.

Andò subito dal suo amico.

Prese il libretto di banca al portatore.

Lo portò all’avvocato per Nico Junior.

Poi andò dove teneva nascoste le armi.

Erano ancora lì, dove le aveva lasciate.

Prese una pistola con un caricatore.

E andò da lei.

La vide, dove la doveva vedere.

La troia cambiava amanti ma non le abitudini.

Era dal parrucchiere.

Di sabato andava sempre a farsi i capelli.

Era ancora bellissima.

Il suo cuore accelerò il battito.

Provò insieme rabbia, amore, odio e nostalgia.

La bloccò mentre usciva dal negozio.

Aveva la gola secca.

Ciao!

La voleva toccare.

Il suo cuore batteva tanto che pensò che potesse scoppiare da un momento all’altro.

Non immaginava di amarla ancora così.

Sentì il bisogno disperato di baciarla.

Si trattenne.

Se l’avesse baciata, non sarebbe più riuscito ad ammazzarla.

Lei  spalancò gli occhi e gli fece un sorriso da troia sorpresa.

Lo guardò per alcuni lunghi istanti ed esclamò:

-Tu?

E con voce rauca aggiunse:

-Sei già uscito?

Nico rimase sorpreso dalla brutta battuta.

-Sei già uscito?

Come se sette anni fossero pochi.

Era proprio una puttana e pure svitata.

Lei sorrise convinta.

-Sono contento di vederti.

Nico provò la voglia di darle un pugno in bocca.

Si trattenne.

Era venuto a cercarla per ammazzarla e non per picchiarla.

Nico scollò le spalle e le disse.

-Vieni! Facciamo due passi.

Lei non si fece pregare.

Fu lei a prenderlo a braccetto come se niente fosse.

Lui la portò nei giardini a due isolati più avanti.

L’avrebbe ammazzata lì.

Era un bel posto per morire.

Si sedettero in una panchina.

Più la guardava più sentiva battere il cuore negli occhi.

Era ancora bellissima.

Se l’era già detto.

Se lo ridisse un’altra volta.

Averla accanto gli faceva venire più voglia di baciarla.

Ad un tratto pensò di fare l’amore prima di ammazzarla.

Scollò subito la testa.

Se l’avesse fatto, non avrebbe poi avuto il coraggio di ucciderla.

Nico alzò gli occhi al cielo e le domandò.

-Perché, Giovanna,  mi hai lasciato?

Lei piegò la testa da una parte.

-Non lo so  Nico!

Poi abbassò gli occhi per terra.

-Credo che non riesco  a vivere senza un uomo accanto.

Alzò le sopracciglia.

-Non ti ho mai realmente tradito … è che non riesco a stare sola.

Era tesa.

-Sono ciò che sono.

Lei guardò gli occhi di Nico.

-Non ho mai finito di amarti … quando dicevo di amarti lo pensavo davvero … come lo penso adesso …

Lui ascoltava teso.

Aveva la gola e il cuore chiusi e respirava a fatica.

Lei con voce bassa continuò a parlare.

-Ma non riesco a dormire senza un uomo accanto … se vuoi, ci possiamo rimettere insieme.

Nico pensò che quella fosse la cosa più stupida che poteva dire.

L’Uomo Ombra- La Rubrica di Carmelo Musumeci- Le condizioni carcerarie in Italia

 

Un altro pezzo di Carmelo Musumeci per la sua rubrica.  Ancora una volta con una  pennellata cinica, ma purtroppo vera, ci fa un quadro dell’attuale situazione carceraria. Descrive situazioni dure, che dovrebbero far riflettere, soprattutto  coloro che si danno un gran daffare a reclamare meriti per aver riportato la “legalità”. Ma dove? Fuori? Dentro non di certo e a leggere quanto scrive Carmelo, che evidentemente di carcere se ne intende, viene da chiedersi, come sempre, se quando si parla di pena giusta, di certezza della pena, di giustizia, perfino di rieducazione,  la gente sa di cosa sta parlando, se ha mai visto anche lontanamente un carcere in vita sua… Viene da chiedersi quante vite stiamo sacrificando in nome di consensi elettorali e quanta facile disinformazione viene sfornata a poco prezzo, per imbonire e rassicurare cittadini all’oscuro della verità e imbevuti solo di luoghi comuni. Per chi ancora pensa  che farsi la galera in Italia sia una passeggiata, eccovi la realtà raccontata da  chi vive dall’altra parte: 

 

 

Le condizioni carcerarie in Italia

 

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha recentemente condannato l’Italia per trattamenti disumani e degradanti a cui sono sottoposti i detenuti nel nostro Paese.

Tutti quelli che pensano che il carcere sia un male necessario, specialmente questo tipo di prigione che c’è in Italia, sono come coloro che pensavano che era il sole che girava intorno alla terra.

Il carcere, in qualsiasi parte del mondo, non dà risposte, il carcere è una non risposta.

Non si dovrebbe andare in carcere, ma se ci si va, non si dovrebbe trovare un luogo disumano e  fuorilegge,  come nelle patrie galere italiane.

Un luogo dove le persone vengono rinchiuse come in un canile e spesso abbandonate a se stesse.

La pena, in qualsiasi parte del mondo, non dovrebbe produrre vendetta, ma perseguire il fine di riparare e riconciliare.

Solo un carcere aperto e rispettoso della legalità potrebbe restituire alla società cittadini migliori.

Invece le prigioni in Italia, settimo paese più industriale e avanzato nel mondo, produce solo sofferenza, ingiustizia e nuovi detenuti.

Ed è il posto dei poveri, dei tossicodipendenti, degli extracomunitari e degli avanzi della società.

Inoltre, per i detenuti sottoposti al regime di tortura del 41 bis,  è anche il luogo dove gli esseri umani trascorrono anni e anni della loro vita senza vivere.

I prigionieri sottoposti a questo regime rimangono chiusi in cella nell’inattività, nella noia, nella mancanza di qualsiasi contatto con il mondo esterno,  ventidue ore su ventiquattro.

I detenuti sottoposti al “carcere duro” non possono abbracciare e toccare i propri familiari, alcuni anche da diciotto anni.

Vivono in un sostanziale isolamento e con una barriera di plastica nelle loro finestre per impedire loro di vedere il cielo, le stelle e la luna.

Il carcere nel nostro paese produce morte ed è  altissimo il numero dei detenuti che per non soffrire più, o perché amano troppo la vita,  se la tolgono, più di 50 dall’inizio di quest’anno.

E poi solo in Italia, non  in Europa e non nel resto del  mondo, esiste una pena che non finisce mai: “La Pena di Morte Viva”,  l’ergastolo ostativo a qualsiasi beneficio,  se al tuo posto non metti un altro in galera

Niente è più crudele di una pena che non finirà mai,  perché questo tipo di ergastolo uccide una persona in maniera disumana.

L’ergastolano italiano ostativo ha solo la possibilità di soffrire, invecchiare  e morire.

E non avere più futuro è molto peggio di non avere vita,  perché nessuno può vivere senza avere la speranza di libertà.

Non può una persona essere colpevole per sempre.

È inumano che una persona continui a essere punita per un reato che ha commesso venti/trenta  anni prima

I sogni nei carceri muoiono. E spesso muoiono prima i prigionieri che riescono ancora a sognare, perché è l’unico modo che hanno per realizzare i loro sogni.

 

Carmelo Musumeci

Carcere Spoleto, novembre 2010

“L’amore perfetto” racconto di Carmelo Musumeci 2° capitolo

Qualche giorno fa abbiamo iniziato ad inserire un nuovo racconto a puntate di Carmelo Musumeci.

Il primo capitolo, per chi non l’avesse letto, si trova    

 https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/10/29/lamore-perfetto-racconto-a-capitoli-di-carmelo-musumeci/   

 Oggi pubblichiamo il secondo dei cinque capitoli:

 

L’AMORE PERFETTO

di carmelo musumeci

 

  (Secondo capitolo)  Un giorno all’alba

Nico ormai non sognava più.

Sapeva che sognare non gli sarebbe servito più a nulla.

Ormai aveva deciso di ammazzarla.

Eppure sentiva ancora nostalgia delle sue labbra.

Sentiva nostalgia delle sue gambe che gli stringevano i fianchi quando facevano l’amore.

E delle sue tette sul suo petto.

A distanza di anni riusciva ancora a sentire il profumo della sua pelle.

Il suo cuore batteva ancora per lei.

Non c’era nulla da fare, solo la morte lo poteva separare da lei.

Era sdraiato nella sua branda e pensava a quello che avrebbe fatto domani.

Lo pensava ormai da tanti anni.

Vivere senza di lei era una condanna che non poteva più sopportare.

Prima sarebbe andato da un suo amico a prendere il libretto di banca al portatore dove teneva una bella somma di denaro.

Si sussurrò: Per fortuna non le ho mai detto nulla di questo a quella puttana.

Avrebbe portato all’avvocato il libretto,  che lo avrebbe consegnato a Nico Junior quando sarebbe stato maggiorenne.

Lui non avrebbe potuto farlo.

Aveva già deciso che dopo avere ammazzato lei, si sarebbe tolto la vita anche lui.

Preferiva morire che vivere senza di lei.

Ogni volta che pensava a suo figlio il suo cuore danzava insieme a quello del piccolo Nico Junior.

Di lui sapeva poco.

Aveva solo qualche sua foto di quando era piccolo.

Aveva compiuto undici anni da poco.

Sapeva che l’avevano dato in affidamento ad una famiglia.

Ad un tratto si alzò dalla branda.

Andò a prendere le foto di suo figlio.

Le teneva nella scatola di scarpe, dove teneva le poche cose più preziose che aveva.

Le guardò con amore come aveva fatto per anni.

Era bellissimo.

Gli sorrideva.

Aveva delle sopracciglia nere e lunghe.

Due occhi rotondi e neri.

Gli occhi li aveva presi dalla madre.

Tutto il resto lo aveva preso da lui.

Sperava che avesse preso anche il suo cuore.

Pensò.

Chissà com’è cresciuto.

Sospirò.

Come sarà adesso?

Poi si mise a parlare con suo figlio.

Siamo stati abbandonati Nico Junior.

Scollò la testa.

Ma ti vendicherò io.

Abbassò la voce.

Lo farò anche per te.

Fissò il vuoto.

E pagherò solo io.

Si sentì impotente.

Lei non ti ha mai voluto.

Si sentì inutile. 

La puttana quando era rimasta incinta aveva paura d’ingrassare e non voleva farti nascere.

Ad un tratto la sua voce si spezzò.

L’avevo convinta io a farti nascere e sono contento di averlo fatto.

E poi all’improvviso singhiozzò.

Spero che ti abbiano trovato una buona famiglia e che ti amino come ti amo io.

Le lacrime gli gonfiarono gli occhi.

Quando pensava a lui, l’odio per sua madre spariva e rimaneva solo l’amore.

Era esausto.

Si rivolse a se stesso.

Chissà se si ricorderà di me.

Gli occhi s’inumidirono.

Il suo cuore iniziò a piangere prima dei suoi occhi.

Poi una grossa lacrima uscì piano.

Rimase ferma indecisa.

Poi scivolò nella guancia.

E poi cadde per terra.

Nico iniziò a piangere per suo figlio.

Il futuro dei giovani ergastolani

E’ un po’ artista il nostro  Ivano Rapisarda, giovane ergastolano di Spoleto…. ma forse per la condizione in cui  vive diciamo che gli viene più  naturale essere un po’  “noir” ….!! 

D’altronde lui rappresenta  il simbolo della giustizia vendicativa che ha condannato tante vite in nome della “sicurezza”. Ricordiamolo, Ivano è stato condannato all’ergastolo all’età di 19 anni. Oggi ne ha 39: sapete che significa? CHE HA  PASSATO PIU’ GIORNI DELLA SUA VITA IN CARCERE CHE FUORI. Sì, Ivano (ma vale la pena ricordare che Ivano non è l’UNICO, NON E’ UN’ECCEZIONE) all’età di  39 anni, dopo aver passato la sua adolescenza e la sua giovinezza in carcere, non ha nessuna prospettiva di uscire. Quanti anni dovrà passare lì dentro Ivano?   Non arriva oggi ad avere 40 anni  e se ne vivesse (come gli auguriamo!) altri 40/ 50 ?? Lo lasciamo in carcere 60- 70 anni ?? In carcere da 19 a…..????

 Come usciranno Ivano e   altri suoi compagni dal carcere? Come nella foto???? 

Insieme a questa foto Ivano mi ha mandato una lettera per un giornalista con cui si sta scrivendo. Ne “rubo” un pezzo e vi lascio alle vs riflessioni:

(…) lo Stato aveva (ancora oggi ha) abbandonato il Sud Italia, l’ha dimostrato durante i processi: come si fa non riflettere sul perché ragazzini hanno commesso omicidi?

“Premiando” alcuni fondatori dell’organizzazione che hanno deciso di collaborare, ma “uccidendo” chi come me voleva e paga le “sue” responsabilità, anche lì lo Stato è stato assente,  anzi, presente,  ma nel modo tutto sbagliato. L a verità non è mai tutta nera o bianca, ma  a volte è anche grigia. Che senso ha dare l’ergastolo ad un  ragazzo di solo diciotto anni, sbatterlo al 41 bis per 11 anni?

E’ giustizia o vendetta?

Eppure io credo nella giustizia, ma per giustizia intendo il reinserimento del condannato, farlo sentire utile e non fargli percepire che deve marcire in quattro muri senza alcuna possibilità.

“L’amore perfetto” racconto a capitoli, di Carmelo Musumeci

Iniziamo oggi ad inserire un racconto a puntate di Carmelo Musumeci, “L’amore perfetto“.

Si tratta di un racconto in 5 capitoli, inedito e presentato in anteprima per questo Blog.

Da non perdere!

 A presto, per i prossimi…

                                                      L’amore perfetto

                                                             di carmelo musumeci

 

Io ho conosciuto Nico.

I nomi, i luoghi, i tempi di questo racconto sono falsi, ma i fatti, le emozioni, i sentimenti e l’amore sono veri.

 

 

Primo capitolo

Due giorni all’alba.

 

 

Aveva il cuore a pezzi.

Non riusciva a vivere più.

Da molti anni non riusciva neppure a sopravvivere.

Viveva solo per vendicarsi.

La odiava.

Eppure la sua ombra era sempre accanto al suo cuore.

Non riusciva a capire.

Il suo cuore correva da lei anche quando non voleva.

Era ancora innamorato di quella sgualdrina.

La detestava, ma continuava a pensarla.

La sognava continuamente.

Non solo per ammazzarla, ma anche per farci l’amore.

La puttana, tutte le volte che finivano di fare l’amore, gli ripeteva spesso che non l’avrebbe mai lasciato.

Nico fece un grande respiro e parlò fra sé.

Io scemo che ci credevo.

Mosse la testa da una parte all’altra.

Stupido che mi fidavo.

Nonostante gli anni passati sentiva ancora il cuore di quella sgualdrina battere nel suo petto.

Presto non lo avrebbe più sentito battere.

Fra due giorni l’avrebbe ammazzata.

E provava dolore e felicità insieme.

Nonostante tutto quello che le aveva fatto, la puttana era ancora presente nei suoi pensieri.

Non si dava pace.

Amava ancora quella donna.

Per questo fra due giorni le avrebbe sparato in bocca.

Solo così forse l’amore che provava per lei sarebbe morto.

Scosse la testa.

E con voce arrabbiata si disse.

Sgualdrina.

Alzò gli occhi al cielo.

Hai pochi giorni di vita.

Diede un pugno nel muro.

Puttana.

Batté la fronte nel muro.

Non vedo l’ora di spararti in bocca.

E mosse il dito come per premere il grilletto di una pistola.

Due giorni all’alba e poi sarò fuori.

Fece la faccia da cattivo.

Ti verrò a cercare e ti ammazzerò.

Fece un grosso sospiro.

Aveva fra le mani la foto della sua ex compagna.

La madre di suo figlio Nico Junior.

Parlava con lei.

Erano stati fuori insieme cinque anni a spassarsela.

Lei si chiamava Giovanna.

La ricordava ancora bella.

Capelli neri e corti.

Occhi castani.

Lineamenti dolci nel viso.

Lui si chiamava Nico.

Era un rapinatore.

Rapinava le banche.

Lavorava da solo.

Era bravo.

L’avevano preso per la prima volta sette anni prima dentro una banca.

Parlò a voce alta.

Tutti sapevano che Nico in cella parlava da solo.

Puttana.

Diede un morso con rabbia a una mela.

Ti ho lasciato gioielli, due macchine e soldi a palate e tu che hai fatto?

Gli andò di traverso un pezzo di mela.

Ti sei fatta sbattere a destra e a sinistra.

Tossì senza smettere di parlare.

Mi hai abbandonato dopo un anno di carcere.

Nico continuava a guardare la foto di Giovanna.

La sua immagine sembra sorridergli.

Puttana che cazzo hai da ridere?

Buttò fuori dalle sbarre il torsolo di mela.

Presto non riderai più.

Si accese una sigaretta.

I morti non ridono.

Aveva provato tante volte a strappare quella foto.

Non c’era mai riuscito.

Ci provò anche questa volta, ma ci rinunciò subito.

Nico respirò a fondo.

Fissò le sbarre della sua cella e maledì il suo cuore che era prigioniero di Giovanna.

Dei miei soldi non mi hai mandato un euro.

Gli cadde la cenere di sigaretta nella camicia.

Non mi hai mandato neppure i miei vestiti.

Si spolverò la cenere della sigaretta dalla camicia.

Hai messo nostro figlio in collegio.

Iniziò a passeggiare avanti e indietro per la cella.

Non me l’hai più portato a colloquio.

Strinse i denti. 

Ti ammazzerò soprattutto per questo.

Sentì aumentare i battiti del suo cuore.

Non tanto per quell’anno che mi venivi a trovare con l’amante fuori dal carcere.

Si prese la testa fra le mani.

Neppure perché ti sei rubata tutti i miei soldi.

Iniziò un andirivieni continuo ed estenuante per la cella.

Ti sparerò in bocca solo perché hai abbandonato nostro figlio.

A un tratto Nico liberò le lacrime dal suoi occhi.

Te la farò pagare.

Non tentò neppure di asciugarle.

La farò pagare anche a me stesso.

Le fece cadere per terra.

Soprattutto a me stesso.

Le voleva vedere per ricordarle quando si sarebbe vendicato.

Intanto Giovanna continuava a stare in un angolo del suo cuore.

Era ancora innamorato della donna che amava e che fra due giorni avrebbe ucciso.

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