Per non dimenticare la vergogna… scritto di Fabio Falbo
Il nostro Fabio Falbo -detenuto a Rebibbia- di cui abbiamo pubblicato tanti brani, spesso incentrati su argomenti di spessore, come le società segrete, i poteri occulti del mondo, l’esoterismo, il diritto islamico, ci ha inviato questo testo che richiama, in modo argomentato e con efficaci citazioni, alcuni degli orrori che accompagnarono la stagione dell’unificazione d’Italia.
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Falbo Fabio C.C. Rebibbia
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Sono dalla postazione universitaria grazie all’opportunità data dal D.A.P. , dalla Direzione e
non per ultima dall’Università di Roma “Tor Vergata” che le scrivo questa dolorosa e vergognosa
missiva, una vergogna tutta italiana “Assassini e martiri: eroi e dimenticati”, le riporto alcuni dati
e il motivo per cui questa missiva è stata spedita al nostro Amato Papa Francesco per non
dimenticare e pregare questi poveri disgraziati alla domenica dell’Angelus, una preghiera
cattolica in ricordo del mistero dell’lncarnazione.
«Enrico Cialdini, plenipotenziario a Napoli, nel 1861, del re Vittorio. In quel suo rapporto
ufficiale sulla cosiddetta “guerra al brigantaggio”, Cialdini dava queste cifre per i primi mesi e per il
solo Napoletano: 8 968 fucilati, tra i quali 64 preti e 22 frati; 10 604 feriti; 7112 prigionieri; 918
case bruciate; 6 paesi interamente arsi; 2 905 famiglie perquisite; 12 chiese saccheggiate; 13 629
deportati; 1 428 comuni posti in stato d’assedio. E ne traevo una conclusione oggettiva: ben più
sanguinosa che quella con gli stranieri, fu la guerra civile tra italiani›› (Le cifre del generale
Cialdini).
Questa missiva nasce da una richiesta fatta da un detenuto di nome Avv. Antonio Piccoli
mio conterraneo detenuto presso la C.C. di Cosenza in merito a delle richieste di ricerche su questi
dolorosi argomenti, di conseguenza questo doloroso lavoro è stato redatto da ambedue.
A memoria della giustizia che in molti luoghi giace, che fu prevaricazione asservita al
potere, per non dimenticare, poiché è giusto ricordare.
Attribuiamo gran valore al ricordo e alla memoria, così da avere giusti riferimenti nel
tempo e poter raccontare e tramandare una testimonianza.
ll nostro passato non abbandonerà il presente, il presente vacillerà al ricordo del passato
dandoci fiducia e coraggio per l’oggi e il domani.
Celebriamo i nostri martiri che non saranno mai eroi, presto sepolti e dimenticati, diamo e
diamoci i giusti meriti.
Siamo calabresi e meridionalisti, precisamente di Corigliano Calabro, e vi vogliamo
raccontare una storia dimenticata.
Così, che sia testimonianza, vi vogliamo riportare un passo del discorso proferito dal
generale Cialdini, luogotenente del re -1861 – per il Sud Italia dopo l’invasione del Regno del Sud, al
tenente colonnello Negri prima dell’eccidio di Pontelandolfo e Casalduni del 14 Agosto 1861:
“Caro Negri, lo ricordi, non importa ciò che realmente si fa, ma come lo si racconta, come
lo si tramanda ai posteri. La Storia è piena di pirati e banditi diventati pilastro della nobiltà di
mezzo mondo. Controlli i rapporti, selezioni i documenti ufficiali, bruci tutto ciò che potrebbe
riferire verità a noi scomode. Questa sarà la nostra forza, più dei cannoni”.
ll tenente colonnello Negri fu al seguito di Cialdini nella “campagna della Bassa Italia”,
comandò il reggimento di 400 bersaglieri che pose fine al presente di centinaia di innocenti, che
rase a suolo Pontelandolfo.
Vite spezzate, speranze svanite da randagia vendetta, tutti colpevoli, anche donne e
bambini, di essere meridionali post-unitari, accusati di essere manutengoli di briganti.
Ma fu solo vendetta e pregiudizio razziale, gente inerme e poi inerte, che alle fatiche,
all’isolamento e all’indifferenza dell’ltalia Unita unirono le brutalità della sopraffazione arbitraria.
Con l’Unità ineguale furono portati sul baratro della vivibilità e della paura, poi piombati
nell’abisso; e quando vivi nell’abisso, esso ti entra dentro e diviene il confine della realtà e della
sopravvivenza.
Una realtà, ai tanti di queste regioni, ostile, vile, preoccupante e malefica, quel 14 Agosto in
quei paesini arsi dal sole, oltre a vecchi, donne e bambini, con loro morì un’altra cosa.
Lassù, sulle strade polverose e lastricate di sangue, morì il sogno di tanti e la speranza di un
intero popolo.
Lassù, a Pontelandolƒo morì Concettina, una giovinetta di 16/18 anni, colpevole di amare il
suo Pasqualino, un ragazzo che lottava per la sua terra e per la sopravvivenza, per un sorriso, e
con lei mori il suo sogno d’amore.
Come tante, quel giorno e molti altri ancora, venne brutalmente violentata sotto gli occhi
della mamma dai soldati prima di essere uccisa, era un bel sogno, quello di molti che mai videro
avverarsi.
Non un bacio o una carezza, tanti morirono troppo presto, presero le loro vite con i loro
sogni, la loro dignità, il passato, il presente e futuro e lasciarono un triste destino e nuovi
sentimenti: odio e vendetta.
Quanti hanno ricordato e riportato (di certo non nei testi scolastici) alla memoria l’eccidio
del Sannio, di Casalduni e Pontelandolƒo?
Fu’ il tenente colonnello Negri che guidò la colonna a quel massacro e fece accapponare la
pelle al più tenace dei liberali del tempo.
Ma non tutti seppero, molti lo negarono, eppure, che le nostre informazioni non siano fuori
tempo, quel Negri, barbaro e assassino, fu considerato un eroe e proseguì la sua carriera militare,
per il suo eroismo (!!!) durante la guerra civile Nord versus Sud, per aver raso al suolo un inerme
paesino e trucidato parte dei suoi abitanti, vecchi, donne e bambini, a Vicenza c’è una strada
intitolata al suo nome.
Non si sbagliava Cialdini, le sue profetiche parole ebbero seguito, quale italiano prima e
meridionale poi, quale uomo, noi non lo possiamo accettare.
E’ oltraggio alla pace, alla democrazia e alla memoria di quelle vittime innocenti, “Una
vergogna tutto italiana”.
Crediamo debbano essere riviste alcune storie, dare giusti meriti e dovuti biasimi; crediamo
che le autorità competenti, le istituzioni preposte debbano intervenire: un primo e coraggioso
passo verso l’integrazione e la verità, senza paura di essere ostracizzati dai potentati ideologici ed
economici settentrionali.
A tal proposito ci rivolgiamo al Santo Padre, al nostro amato Presidente della Repubblica,
al Governo, al Sindaco Pontelandolƒo, al Sindaco Casalduni, al Sindaco Bronte, al Sindaco di
Vicenza, al Sindaco di Roma, al Sindaco di Napoli e ai tanti Sindaci di città o Paesi Italiani che non
conoscono la vera storia avendo nei loro comuni dato i nomi a strade o piazze, la nostra richiesta
è rivolta a loro affinché cancellassero dalla toponomastica i vari nomi di questi delinquenti
assassini sanguinari.
A loro chiedo, per rispetto ed onor di causa, di togliere tali onori e riconoscimenti al Negri
Cialdini, Bixio, e quanti come loro (non dimenticando Nino Bixio, che al comando delle truppe
garibaldine, a Bronte, in Sicilia, attuò orrendi massacri e saccheggi, quel Bixio che scriveva alla
moglie:
<<Non basta uccidere il nemico, bisogna straziarlo, bruciarlo vivo a fuoco lento son
regioni che bisognerebbe distruggere>>.
Cancellare i loro nomi dalla toponomastica di tutte le città che hanno dato luce a questi
esseri ignobili, ovunque vi siano Piazze e Vie loro intitolate.
Nessuna piazza o via può celebrare un reprobo sanguinario, e se così non fosse, chiediamo
ai vari sindaci dei paesini indicati, a tutti i paesi e le città del Sud e del Nord di dedicare una piazza
o una via ai nostri eroi, che furono martiri e vittime; agli eroi della resistenza di Messina, Gaeta,
del Volturno, ai capibanda, chiamati briganti, che difendevano con le armi i propri diritti, Crocco,
Ninco Nanco (all’anagrafe Summa G. Nicola), ricordando le parole di Francesco Saverio Sipari
nella sua produzione letteraria post-unitaria, che è caratterizzata dai principali temi imposti dalla
modernizzazione (collegamenti stradali e ferroviari), s’inserisce appieno nel filone del
meridionalismo.
Risulta in tal senso emblematica la Lettera ai censuari del Tavoliere del 1863, la quale
peraltro ebbe vasta eco postuma, per essere stata riportata per ampi stralci dal nipote Benedetto
Croce.
Nella Lettera la riflessione di Sipari non si soffermò unicamente sulle vicende legate
all’affrancazione dei canoni del Tavoliere, che pure ne rappresentano il cardine, ma cercò anche di
cogliere le cause del brigantaggio, ponendo l’accento, fra i primi in Italia, sulle radici sociali del
fenomeno, e in particolare sulle condizioni di miseria dei contadini meridionali.
Celebre, a tal proposito, il seguente passo della Lettera:
« Il contadino non ha casa, non ha campo, non ha vigna, non ha prato, non ha bosco, non
ha armento, non possiede che un metro di terra in comune…al camposanto…Tutto gli è stato
rapito o dal prete al giaciglio di morte, o dal ladroneccio feudale, o dall’usura del proprietario, o
dall’imposta del comune e dello stato: il contadino non conosce pan di arano, ne’ vivanda di carne,
ma divora una poltiglia innominata di spelta, segale o melgone, quando non si accomuna con le
bestie a pascere le radici che ali da la terra. Il contadino non possedendo nulla, nemmeno il credito,
non avendo che portare all’usuraio o al monte dei pegni, all’ora (ohh io mentisco!) vende la merce.
A Concettina Biondi, una giovine fanciulla di Pontelandolƒo che aveva tanti sogni e
speranze, fu stuprata a turno dai soldati di Negri e poi barbaramente uccisa, il tutto sotto gli occhi
bagnati e la disperazione della mamma.
A loro dedicherei una Città, un riconoscimento postumo, vindice alla memoria, di una
mestizia mai assopita.
Si Chiede al Sindaco di Napoli che cambi il nome di p.zza del Plebiscito (a nostro avviso
P.zza della vergogna e dell’umiliazione, visto che quel plebiscito farsa pose le basi giuridiche per la
forzata annessione del Reano del Sud a quello sabaudo, con tutto l’oro, le industrie e quanto più
poterono razziare), visto che tale vuol significare usurpazione e violenza, che ritorni Largo del
Palazzo Reale.
Si Chiede al Sindaco di Roma di rimuovere al Gianicolo il busto Di Nino Bixio e tutte le varie
strade e piazze a loro dedicate.
Si Chiede al Sindaco di Genova di rimuovere la statua di Nino Bixio presso il quartiere
Carignano.
Oggi come allora, essere meridionale in Italia è essere e vivere una condizione diseguale e
disgraziata, che le disgrazie non se le cerca, fanno parte del pacchetto storico-scolastico,
economico, sociale e legislativo.
Dunque, v’invito non a studiare e biasimare gli effetti, ma a ricordare e conoscere le cause,
è tempo che qualcuno sappia e si ricordi di loro, così che possano capire noi.
Da qui nasce questa incresciosa ricerca:
Massacro di Pontelandolfo e Casaluni
<<Premessa per la Memoria e la Storia>>
«Il bisogno pratico, che è nel fondo di ogni giudizio storico, conferisce a ogni storia il carattere di
“storia contemporanea “, perché, per remoti e remotissimi che sembrino cronologicamente i fatti
che vi entrano, essa è, in realtà, storia sempre riferita al bisogno e alla situazione presente, nella
quale quei fatti propagano le loro vibrazioni. ››
Altro aspetto è la differenza tra giudizio morale e giudizio storico:
«Memoria e storia non sono affatto sinonimi, tutto le oppone. La memoria è sempre in
evoluzione, soggetta a tutte le utilizzazioni e manipolazioni; la storia è la ricostruzione, sempre
problematica e incompleta, di ciò che non c’è più. Carica di sentimenti e di magia, la memoria si
nutre di ricordi sfumati; la storia, in quanto operazione intellettuale e laicizzante, richiede analisi
e discorso critico. La memoria colloca il ricordo neII’ambito del sacro, la storia Io stana e Io rende
prosaico. ››
La memoria risente dunque delle nostre passioni e sentimenti. I ricordi si colorano o sfumano per
un particolare rimasto impresso o dimenticato. È la memoria che ci porta al giudizio morale che ci
fa deformare la storia e giudicarla secondo i nostri particolari interessi. La memoria appartiene a
ciascuno di noi, così come ciascuno di noi formula il suo giudizio morale. La storia appartiene a
tutti e nessuno se ne può fare unico sacerdote e interprete. ll giudizio storico è invece è sempre
problematico, esige analisi critica, tempo e intelligenza a voi le conclusioni.
ll massacro di Pontelandolfo e Casalduni fu una strage compiuta dal Regio Esercito ai danni della
popolazione civile dei due comuni in data 14 agosto 1861. Tale atto fu conseguente alla morte in
azione di guerra di 45 militari dell’esercito piemontese (un ufficiale, quaranta bersaglieri e quattro
carabinieri, avvenuta alcuni giorni prima ad o era di alcuni “briganti” e di contadini del posto. l
due piccoli centri vennero quasi rasi al suolo, lasciando circa 3.000 persone senza dimora. Il
numero di vittime è tuttora incerto, ma compreso tra il centinaio e il migliaio
All’indomani della proclamazione del Regno d’ltalia, in molte parti dei territori dell’ex Regno delle
Due Sicilie scoppiarono moti di rivolta filoborbonici, spesso capeggiati da cittadini o ex militari del
disciolto Esercito delle Due Sicilie. Uno di questi moti ebbe luogo il 7 agosto 1861 quando alcuni
briganti della brigata Fra Diavolo, comandati da un ex sergente borbonico, il cerretese Cosimo
Giordano, approfittando dell’allontanamento di una truppa delle Guardie Nazionali da
Pontelandolfo, occupò il paese, uccidendo i pochi ufficiali rimasti, issandovi la bandiera borbonica
e proclamandovi un governo provvisorio.
L’11 agosto il luogotenente Cesare Augusto Bracci, incaricato di effettuare una ricognizione, si
diresse verso Pontelandolfo alla guida di quaranta soldati e quattro carabinieri. Nei pressi del
paese, gli uomini del reparto piemontese furono catturati da un gruppo di briganti e contadini
armati che li portarono a Casalduni, dove furono uccisi per ordine del brigante Angelo Pica.
Un sergente del reparto sfuggì alla cattura e successiva uccisione e riuscì a raggiungere Benevento,
dove informò i suoi superiori dell’accaduto. Costoro chiesero a loro volta un dettagliato rapporto
ai capitani locali della Guardia Nazionale Saverio Mazzaccara e Achille Jacobelli. Ottenuti dettagli
sull’accaduto, le autorità di Benevento informarono quindi il generale Enrico Cialdini. Racconta
Carlo Melegari, a quel tempo ufficiale dei bersaglieri, che il rapporto inviato a Cialdini conteneva
una descrizione raccapricciante dell’uccisione dei bersaglieri. Cialdini, consultandosi con altri
generali, ordinò l’incendio di Pontelandolfo e Casalduni con la fucilazione di tutti gli abitanti dei
due paesi “meno i figli, le donne e gli infermi”.
II massacro «Di Pontelandolfo e Casalduni non rimanga pietra su pietra. ››
(Cialdini al colonnello Negri)
ll generale Cialdini, per I’attuazione del piano, incaricò il colonnello Pier Eleonoro Negri e il
maggiore Melegari, che comandavano due reparti diretti rispettivamente a Pontelandolfo e a
Casalduni. All’alba del 14 agosto i soldati raggiunsero i due paesi. Mentre Casalduni fu trovata
quasi disabitata (gran parte degli abitanti riuscì a fuggire dopo aver saputo dell’arrivo delle
truppe), a Pontelandolfo i cittadini vennero sorpresi nel sonno. Le chiese furono assaltate, le case
furono dapprima saccheggiate per poi essere incendiate con le persone che ancora vi dormivano.
In alcuni casi, i bersaglieri attesero che i civili uscissero delle loro abitazioni in fiamme per poter
sparare loro non appena fossero stati allo scoperto. Gli uomini furono fucilati mentre le donne
(nonostante l’ordine di essere risparmiate) furono sottoposte a sevizie o addirittura vennero
violentate. Carlo Margolfo, uno dei militari che parteciparono alla spedizione punitiva, scrisse nelle
sue memorie:
«AI mattino del giorno 14 (agosto) riceviamo l’ordine superiore di entrare a Pontelandolfo,
fucilare gli abitanti, meno le donne e gli infermi (ma molte donne perirono) ed incendiarlo.
Entrammo nel paese, subito abbiamo incominciato a fucilare i preti e gli uomini, quanti
capitava; indi il soldato saccheggiava, ed infine ne abbiamo dato l’incendio al paese. Non si
poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli cui la sorte
era di morire abbrustoliti o sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di
tutto: poIIastri, pane, vino e capponi, niente mancava…Casalduni fu l’obiettivo del maggiore
Melegari. I pochi che erano rimasti si chiusero in casa, ed i bersaglieri corsero per vie e vicoli,
sfondarono le porte. Chi usciva di casa veniva colpito con le baionette, chi scappava veniva preso
a fucilate. Furono tre ore di fuoco, dalle case venivano portate fuori le cose migliori, i bersaglieri
ne riempivano gli zaini, il fuoco crepitava.›› (Carlo Margolfo)
Alcuni particolari del massacro si leggono nella relazione parlamentare che il deputato Giuseppe
Ferrari scrisse a seguito del suo sopralluogo a Pontelandolfo all’indomani del terribile evento. Nella
relazione si citano due fratelli Rinaldi, uno avvocato e un altro negoziante, entrambi liberali
convinti. l fratelli, usciti fuori di casa per vedere cosa stesse accadendo, vennero freddati all’istante
e uno dei due, ancora in agonia dopo i colpi di fucile, fu finito a colpi di baionetta. Un altro
episodio citato è quello di una ragazza, tale Concetta Biondi, che rifiutandosi di essere violentata
da alcuni soldati, fu fucilata.
«Una graziosa fanciulla, Concetta Biondi, per non essere preda di quegli assalitori inumani,
andò a nascondersi in cantina, dietro alcune botti di vino. Sorpresa, svenne la mano assassina
colpì a morte il delicato fiore, mentre il vino usciva dalle botti spillate, confondendosi col sangue ››
(Nicolina Vallillo)
Al termine del massacro, il colonnello Negri telegrafò a Cialdini:
« leri mattina all’alba giustizia ƒu fatta contro Pontelandolfo e Casalduni. Essi bruciano
ancora. ›› (Pier Eleonoro Negri)
A causa dell’incendio degli archivi comunali e della mancanza di un censimento non si conosce la
cifra esatta delle vittime del massacro. Alcune stime parlano di circa 100 civili uccisi, altre di 400,
altre di circa 900 ed altre ancora di almeno un migliaio.
Anche un film venne in qualche modo censurato, il motivo? Verità scomode, come al solito siamo
di fronte a problemi di natura incognita.
Li chiamarono… briganti! è un film storico del 1999 diretto da Pasquale Squitieri, incentrato sulle
vicende del brigante lucano Carmine Crocco. Venne subito sospeso nelle sale di proiezione ed è,
attualmente, di difficile reperibilità. Ciononostante, il film è divenuto un importante punto di
riferimento per i sostenitori del revisionismo risorgimentale, inoltre ha riscosso un grande
successo in alcuni convegni e università.
Il film fu penalizzato dalla critica e registrò un incasso irrisorio al botteghino (107.451.000 lire),
dovuto anche all’immediato ritiro dalle sale cinematografiche ed è introvabile sia in supporto
VHS che DVD. I motivi della sospensione non sono stati resi noti, sebbene i sostenitori parlino di
censura. Lo scrittore Lorenzo Del Boca ha detto al riguardo che “per ammissione unanime dei
commentatori, è stato boicottato in modo che lo vedesse il minor numero di persone possibile”.
Adolfo Morganti, direttore della casa editrice Il Cerchio e coordinatore nazionale dell’associazione
Identità Europea, sostiene che il film venne ritirato a causa di pressioni da parte dello Stato
maggiore dell’Esercito, poiché non avrebbe visto di buon occhio la raffigurazione dei metodi
attuati dal regio esercito nel meridione e la Medusa Film, proprietaria della pellicola, si rifiuta di
cederne i diritti di trasmissione. ll film è stato criticato da diverse testate giornalistiche per
agiografia nei confronti di Crocco e una visione troppo sanguinaria di personaggi come Cialdini. ll
Dizionario dei film a cura di Morando Morandini lo giudicò “lsterico più che epico. Un’occasione
mancata di controinformazione storica.” ll critico Stefano Della Casa lo definì “Un film interessante
proprio perché fuori dal tempo”. Lo scrittore Nicola Zitara si espresse positivamente, giudicandolo
“un racconto epico e appassionante“.
Strage Di Bronte
«Che paesi! Si potrebbero chiamare dei veri porcili! Questo insomma è un paese che
bisognerebbe distruggere o almeno spopolare e mandarli in Africa a farli civili ›› (Nino Bixio da
Bronte in una epistola alla moglie Adelaide)
Quando l’11 maggio del 1860 il generale Giuseppe Garibaldi sbarco con i Mille nel porto di
Marsala, sapeva benissimo che, per chiudere con successo la sua impresa, gli sarebbe stato
assolutamente necessario l’appoggio e la partecipazione attiva dei siciliani. Questo sarebbe
avvenuto solo se fosse stato accolto non solo come il liberatore dalla tirannide borbonica, ma
anche come colui che poteva dare le possibilità di nascere ad una nuova società, libera dalla
miseria e dalle ingiustizie. Con questo intento, il 2 giugno, aveva emesso un decreto dove
prometteva soccorso ai bisognosi e la tanto attesa divisione delle terre.
Nell’entroterra siciliano si erano, dunque, accese molte speranze di riscatto sociale da parte
soprattutto della media borghesia e delle classi meno abbienti. A Bronte, sulle pendici dell’Etna, la
contrapposizione era forte fra la nobiltà latifondista rappresentata dalla britannica Ducea di
Nelson, proprietà terriera, e la società civile.
Il 2 agosto al malcontento popolare si aggiunsero diversi sbandati e persone provenienti dai paesi
limitrofi, tra i quali Calogero Gasparazzo, e scattò la scintilla dell’insurrezione sociale.
Fu così che vennero appiccate le fiamme a decine di case, al teatro e all’archivio comunale. Quindi
iniziò una caccia all’uomo e ben sedici furono i morti fra nobili, ufficiali e civili, tra cui anche il
barone del paese con la moglie e i due figlioletti, il notaio e il prete, prima chela rivolta si placasse.
Il Comitato di guerra, creato in maggio per volere di Garibaldi e Crispi, decise di inviare a Bronte un
battaglione di garibaldini agli ordini del genovese Nino Bixio per sedare la rivolta e fare giustizia in
modo esemplare. Secondo Gigi Di Fiore (Controstoria dell’unità d’Italia) e altri studiosi, gli intenti di
Garibaldi probabilmente non erano solo volti al mantenimento dell’ordine pubblico, ma anche a
proteggere gli interessi commerciali e terrieri dell’lnghilterra (Bronte apparteneva agli eredi di
Nelson), che aveva favorito lo sbarco dei Mille, e soprattutto a calmarne l’opinione pubblica.
Quando Bixio iniziò la propria inchiesta sui fatti accaduti larga parte dei responsabili era fuggita
altrove, mentre alcuni ufficiali colsero l’occasione per accusare gli avversari politici.
ll tribunale misto di guerra, in un frettoloso processo durato meno di quattro ore, giudicò ben 150
persone e condannò alla pena capitale l’avvocato Nicolò Lombardo (che, acclamato sindaco dopo
l’eccidio, venne ingiustamente additato come capo rivolta, senza alcuna prova), insieme ad altre
quattro persone: Nunzio Ciraldo Fraiunco, Nunzio Longi Longhitano, Nunzio Nunno Spitaleri e
Nunzio Samperi. La sentenza venne eseguita mediante fucilazione l’alba successiva: per
ammonizione, i cadaveri furono lasciati esposti al pubblico insepolti.
« Dopo Bronte, Randazzo, Castiglione, Regalbuto, Centorbi, ed altri villaggi lo videro, sentirono la
stretta della sua mano possente, gli gridarono dietro: Belva! ma niuno osò muoversi ›› (Cesare
Abba, Da Quarto al Volturno. Noterelle d ‘uno dei Mille)
Alla luce delle successive ricostruzioni storiche si è appurato come Lombardo fosse totalmente
estraneo alla rivolta e invitato a fuggire da più parti si sarebbe rifiutato per poter difendere il
proprio onore. Nunzio Ciraldo Fraiunco era non capace d’intendere e di volere, malato di demenza
(lo “scemo del villaggio” era stato arrestato per aver girato per le strade del paese soffiando in una
trombetta di latta e cantilenato “Cappeddi guaddattivi, l’ura dù judiziu s’avvicina, populu nun
mancari all’appellu”).
La notte che precedette la fucilazione, una brava donna chiese il permesso di portare delle uova al
Lombardo ma il braccio destro dell’Eroe dei Due Mondi, nel respingerla malamente, le rispose che
il detenuto non aveva bisogno di uova poiché l’indomani avrebbe avuto due palle piantate in
fronte. All’alba del 10 agosto, i condannati vennero portati nella piazzetta antistante il convento di
Santo Vito e collocati dinanzi al plotone d’esecuzione. Alla scarica di fucileria morirono tutti ma
nessun soldato ebbe la forza di sparare a Fraiunco che risultò incolume. Il poveretto, nell’illusione
che la Madonna Addolorata lo avesse miracolato, si inginocchiò piangendo ai piedi di Bixio
invocando la vita. Ricevette una palla di piombo in testa e così morì, colpevole solo di aver soffiato
in una trombetta di latta.
Nella novella verghiana Libertà (Novelle rusticane), viene ripreso il tema della strage, secondo
Sciascia in chiave apologetica per Bixio e i garibaldini, e di accentuazione delle responsabilità dei
rivoltosi: l’omissione della presenza storica dell’avvocato Lombardo, e soprattutto la
trasformazione letteraria del “pazzo del paese” (tra i condannati a morte di Bixio) in “nano”, per
attenuare la gravità della condanna capitale di un innocente per giunta non in pieno possesso
delle sue facoltà mentali.
Abitanti della Provincia di Catania
Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti- Voi lo sapete! la fucilazione seguì
immediata i loro delitti – lo lascio questa Provincia – i Municipi, ed i Consigli civici nuovamente
nominati, le guardie nazionali riorganizzate mi rispondano della pubblica tranquillità!… Però i Capi
stiino al loro posto, abbino energia e coraggio, abbino fiducia nel Governo e nella forza, di cui esso
dispone – Chi non sente di star bene al suo posto si dimetta, non mancano cittadini capaci e
vigorosi che possano rimpiazzarli. Le autorità dicano ai loro amministrati che il governo si occupa
di apposite leggi e di opportuni legali giudizi pel reintegro dei demani – Ma dicano altresì a chi
tenta altre vie e crede farsi giustizia da sé, guai agli istigatori e sovvertitori dell’ordine pubblico
sotto qualunque pretesto. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge
lo vuole. Il comandante militare della Provincia percorre i Comuni di questo distretto. Randazzo 12
agosto 1860. Sottoscritto dal MAGGIORE GENERALE G. NINO BIXIO, 12 agosto 1860, proclama
originale di Bixio, successivo alla esecuzione
La nuova classe dirigente avrebbe dovuto rendere omaggio, nel momento in cui assumeva la
direzione del nuovo stato, agli eroici difensori borbonici di Messina, Civitella del Tronto, Gaeta, e
avrebbe dovuto aggiungere i nomi al ruolo degli eroi di cui venerare la memoria: Quegli uomini
si batterono perché avevano giurato fedeltà al loro Re e non meritavano l’oblio cui li ha
condannati la leggenda risorgimentale. “Sergio Romano -“Finis Italiae”
A voi le conclusioni e i provvedimenti da prendere in merito, si allega per conoscenza una missiva
inviata al nostro Grande Presidente della Repubblica italiana in quanto “dominus, meridionale e
Padre di tutti noi”.
Illustre Ispettore Generale Don Virqilio Balducchi, questa è una tematica dolorosa come doloroso
è periodo poco felice per la maggioranza dei popoli che oggi soffrono queste vicende, la prego
vivamente di portare questa missiva al Santo Padre Papa Francesco per il ricordo di queste
povere vittime tra cui Preti e Monaci, lei è e sarà il ponte di comunicazione tra noi e il Santo
Padre.
Confidando in un Vostro interessamento e certo di riscontro, l’occasione e gradita per porgere
distinti saluti.
Salvis Iuribus.
Roma Rebibbia
GRANDE!!!!!!!!!!!!!