Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

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L’ingiustizia… di Alessandro Rodà

Ingiustas

Questo è un testo molto amaro, che ci è stato inviato da Alessandro Rodà, detenuto a Tempio Pausania.

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Alcuni tribunali sono covi di serpenti. Ogni giorno vi fanno competizione per chi condanna di più, per essere protagonisti nella vita altrui, per uccidere l’anima. Tutto questo è ignobile.

Questo mondo ambiguo non mi appartiene. Si naviga nell’ingiustizia per colpa di persone-serpente velenose che mordono ciò che vedono di prezioso.

Loro vivono per il distintivo, soffrono di complessi di inferiorità, frustrazioni che li tormentano.

Gli uomini devono vivere senza alcuna tortura psicologica. I pensieri non devono sbattere da una parte all’altra confusi come onde del mare.

Non riusciranno mai a raggiungere il loro obiettivo, per estirpare la dignità di uomini umili; non avranno mai il quoziente intellettivo per potere capir chi sono i veri uomini e quindi pensano che siamo tutti uguali.

Madre natura per questo ci ha concepito diversi per capire l’altro, per vivere, non per sopravvivere.

Ogni uomo ha il diritto della libertà, vivere la vita con la propria famiglia; purtroppo questi esseri non possono capire. Il loro amore è il loro lavoro, sono privi di sentimento, gioiscono solo quando arrestano e quando condannano. Non importa se si è innocenti. Interessa un capro espiatorio. Altra gioia per loro non esiste.

Nel frattempo gli anni passano. Il tempo è nemico dei nostri giorni e no si saprà quando finirà questa prigionia; anche se dentro il cuore rimarrà per sempre una ferita che non guarirà mai, per il tutto il male che ci è stato afflitto, bisogna convivere, fa parte del nostro mondo, si vive con dolore e serenità.

Se non cambierà questo sistema giudiziario, migliaia di uomini finiranno su questo patibolo, ci sarà dolore su dolore, solo questo potranno dare.

Pensano di essere Dio terrestre, se si fermassero a riflettere, forse, capirebbero che il loro potere un giorno finirà sgretolato.

Alessandro Rodà

Vigevano   21 aprile 2013

Dal carcere le Vallette di Torino- un trasferimento violento

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Il nostro Antonio di Radiocane ci ha inviato il resoconto di questa vicenda, apparso su “Macerie” http://www.autistici.org/macerie/).

Si tratta del resoconto di ciò che ha portato al trasferimento di una ragazza che era detenuta alla sezione “Nuovi giunti” del carcere di Torino.

Una brutta storia, di trattamento violento e rappresaglia.

Noi, come sempre, siamo con chi subisce ingiustizia. Noi siamo dalla parte di questa ragazza.

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Dal 7 Aprile nel blocco femminile, ai Nuovi Giunti e in tutte le altre sezioni a pranzo e a cena si fa battitura. Le donne delle sezioni, dove stanno sperimentando le celle aperte durante il giorno, spaventate da un possibile ricatto cercano di “tutelarsi” comunicando gli orari delle battiture alla direzione del carcere tramite una domandina. Si frenano i pettegolezzi  in corridoio, tutte insieme giorno dopo giorno fanno risuonare le sbarre e le ante degli armadietti.
Le guardie rispondono esercitando il potere delle chiavi, ritardano l’apertura delle celle per recarsi in doccia, arrivano a non aprire e a non permettere la tanto sospirata ora d’aria.
Il 17 Aprile le detenute smettono di battere minacciate di rapporti disciplinari.
M. non ci sta, si incazza contro tutte, guardie e compagne detenute.
Il giorno successivo la squadretta (gruppo di guardie adibito al pestaggio punitivo) fa irruzione nella cella di M. per spostarla in un’altra isolata, in mezzo alla sezione delle “incolumi”.
M. in una lettera scrive: «prima hanno chiuso tutti i blindi della sezione, poi sono entrati. Non riuscivano a tirarmi fuori per quanto ho fatto resistenza. Quando le botte si sono fatte più forti ho lasciato che venissi trasportata in mezzo al corridoio in modo che tutte le detenute potessero vedere oltre che sentire i colpi inflitti, le ragazze urlavano e facevano trambusto vedendo che non riuscivano a trasportarmi fin dove volevano. Così han fatto aprire una altra cella vuota nelle vicinanze per buttarmici dentro con un altro aggiungersi di guardie.»
Ancora un lungo tira e molla si sussegue nella nuova cella, finché M. vince. La fanno tornare dove stava prima. Passa un’ora e M. viene chiamata all’ufficio matricola. Appena mette piede dentro la stanza la ammanettano e le viene comunicato il trasferimento imminente.
Ritorna così dal carcere dove è arrivata quasi un anno fa, da Vercelli, tra risaie e zanzare. In una cella d’isolamento.
Il 22 viene trasportata d’urgenza in ospedale, un’ecografia rivela un’ernia epigastrica aggravata dalle botte ricevute. Sotto i ferri chirurgici si scopre anche una lacerazione del muscolo addominale, l’operazione che doveva durare mezz’ora diventa una faccenda di due ore.

«Beh, dicevano che dalle Vallette non sballavano nessuno, io non so se c’è l’ho messa tutta per far si che mi facessero sto regalo.»

Che non trasferiscano nessuno dal carcere di Torino non è così sicuro;  numerose sono state le voci che si sono levate e sono state rese fievoli allontanandole.
Chi ha denunciato una morte causata da una somministrazione erronea di terapia, chi si è intestardito nel volersi organizzare con gli altri prigionieri e cambiare qualcosa è stato caricato su una camionetta e trasferito in un altro penitenziario.

M. ci fa sapere che sta bene, il suo morale è alto. Non sempre le botte riescono a scoraggiare gli animi.

Lettera di Antonio Piccoli (prima parte)

Franz

Alcuni giorni fa mi giunte una lettera di un detenuto che ci scrive per la prima volta, Antonio Piccoli, recluso a Catanzaro.

Dalle parole che scrive si capisce che ha tanto da raccontare.

A partire da una lunga lettera che arriva a toccare anche la sua vicenda e che, per permetterne una migliore leggibilità, ho distinto in due parti. Di cui questa è la prima.

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“Il vero male è l’indifferenza” diceva Madre Teresa

In risposta a quanti non osano ascoltare, ma solo giudicare:

contro ogni barriera e pregiudizio, un confronto è segno di civiltà e una prospettiva di apertura sociale per tutti.

I detenuti, definitivi o in attesa di giudizio,  colpevoli o innocenti che siano; non più malati da circoscrivere e isolare, ma persone cui va garantito rispetto, dignità, partecipazione sociale e pari opportunità in vista di una loro redenzione e reinserimento; valori legati alla tutela più ampia degli esseri umani: “recidere il reo che può essere utile” è medievale.

La conoscenza nasce dal e nel confronto. Voglio condividere e rispettare ogni opinione, critica e disappunto, ma non se dettati dall’ignoranza.

Qualche tempo fa ho avuto modo di leggere (tra i tanti moti di solidarietà e positivi) un commento sul “blog di Corigliano”,  in risposta ad un mio precedente articolo pubblicato sul quotidiano “L’ Ora della Calabria”, ove qualcuno ha scritto che “le carceri non devono essere hotel… ma luoghi di espiazione… che non bisogna lamentarsi… “.

Condivido, non devono essere un premio e una comodità. E se fossero solo umani?

“… sono luoghi malsani e morbosi, dove la gente impara a morire e sottomettersi… dove non possiamo dimenticare la nostra storia… anche di un profondo Sud.. e la nostra Cultura, che sono soltanto altre forme di violenza, dove è facile deridere cose e persone; dove la gente è capace di molto amore, affetto, calore umano e generosità. Ma, mio Dio, quanto sappiamo odiare! Ogni due, tre ore esaminiamo il passato, lo rispolveriamo e lo gettiamo in faccia a qualcuno”.

Ogni male non giustifica atrocità, altrimenti saremmo da biasimare alla pari dell’assassino, se così fosse. E chi di noi non ha mai peccato o sbagliato. Tutti meriteremmo atroci sofferenze, di vivere in un mondo simile al girone dei dannati “dantesco”, ove tutti dovremmo morire per colpe vecchie e nuove.

Rabbia d’egoismo, solitudine e tanto altro ancora. E’ ciò che ci porta a scatenarci, in mancanza di empatia, contro chiunque. Non è l’odio o la ragione che ci portano ad essere aggressivi, in tutte le sue forme (anche verbali), ma il pregiudizio, che altro non è se non degenerazione dell’ignoranza: abbiamo abbandonato la carità nel nostro triste mondo, di questo mondo allo sbando, ove dell’edonismo abbiamo fatto la nostra filosofia di vita, sempre alla ricerca della forma e non dell’essenza, dell’apparire e non dell’essere; ove i valori li cerchiamo nelle cose materiali e non  nello spirito.

Al di là della mia personale condizione e situazione (e se fossi veramente innocente così come mi professo? Chi sta fuori e mi conosce bene, sa. Se fosse vero quanto contestatomi, l’ingiustizia sarebbe ancora più grave, poiché con centinaia di loro ho vissuto e mi sono accompagnato, ho condiviso gioie, speranze e dolori. Tutti questi sarebbero complici o stupidi?).

E’ vero, la galera non deve diventare divertimento: espiazione di pena? Sofferenza? Auotodafé o cosa?

Così com’è pur vero che “nessun uomo è così cattivo da non poter essere salvato”, e non l’ho detto io, benché mi pregi di recitarne la citazione e di condividerne il pensiero; ma Gandhi (uno sciocchino qualsiasi che ha contribuito a fare la storia di una grande Nazione, il cui esempio, la sua lotta, resteranno immortalati nelle menti e nei libri di storia per i tempi avvenire).

D’altronde hanno ragione loro: qui non è peggio che stare fuori, tra i salotti dell’ipocrisia. Qui i muri sono sozzi, lì tutto è sudicio. Qui topi e scarafaggi crescono in terra, lì camminano eretti con forma antropomorfa. Qui siamo troppi in una cella, lì siamo ingombranti, pronti a toglierci lo spazio e soffocare il nostro vicino.

Ho vissuto un tempo di cui non andare troppo fiero, a tratti vergognoso. Una società torbida, ove l’empatia e la carità lasciano il posto all’egoismo e alla perdizione dell’animo, abbandonando ogni virtù e l’insegnamento dei nostri genitori, certamente più saggi di noi. Ma questo è il mondo che ho trovato e che, anche mia colpa, ho imparato ad accettare per comodo. Tutti noi siamo colpevoli del nostro tempo, dei suoi mali, ove la virtù riecheggia nelle nostre anime come il frangersi dei flutti sulla battigia.

Non lasciamo che i nostri poco rifulgenti incarnino gli altrui ideali. Rivendico al Governo, fatto di uomini e istituzioni, la funzione che fu dei nostri padri, didattica educativa. Ma esso è semina di vizi, focolaio di corruzione, ricettacolo di banditi. Un buon Governo fa buoni cittadini, e buoni cittadini fanno grande una Nazione, cui ognuno deve ispirarsi.

Sono figlio del mio tempo e al mio tempo mi sono adeguato con silenzio. Chi direttamente, chi col proprio silenzio, tutti siamo complici e colpevoli. Una parola detta è un silenzio rotto: basta tacere, sempre pronti, col nostro falso perbenismo, a scagliarci contro chiunque, pur ignorandone ogni colpa. Se ciò che fuori ho lasciato è gente  riottosa, pronta a giudicare e mossa da rabbia, allora ho lasciato il male per trovare il meglio: me stesso.

Dimentico della bellezza di una vita morigerata, ho vissuto lascivo e licenzioso, non esente da vizi, ma ciò non giustifica quanto mi sta accadendo. Ho lasciato un mondo che ho trovato e che col nostro silenzio abbiamo fomentato, pronti a giudicare e a sprizzare veleno sulle altrui disgrazie.

Prima di indagare sui mali degli altri, correggiamo i nostri; il giudizio temerario è figlio della superbia e dell’invidia, frutto di superficialità, che fa esagerare i difetti altrui.

Non vi è giustizia che valga il sacrificio di una sola vita innocente: qualsiasi innocente può essere diffamato, ma convinto di reità non può che essere colpevole.

Se chi tanto cinicamente ha puntato il dito, avesse solo ascoltato, ne converrebbe con me che “la pena non è sempre equa; dell’incapacità dei magistrati; dell’incapacità della pena a rieducare; della volontà della legge e dei giudici a punire, non a reinserire”.

Io, “… angaria da un infame e premeditato sopruso. La vergognosa ingiustizia diviene duplice, quando capisci che (viene dalla legge) mi viene negata la protezione della legge. Ma si vuol (si deve) combattere a ogni prezzo simili iniquità giudiziarie e vivere le proprie reazioni come un dovere di fronte al mondo (dovere che dovremmo sentire tutti, colpiti e non). Ciò che  ne consegue è “il senso della giustizia ciò che fa, della vittima, un brigante e un assassino”.

In effetti, “il senso dell’ingiustizia, sopportata ma non riconosciuta, prima ancora che non punita, sta fra le nostre leve interiori più imperiose”.

Io, colpevole di essere innocente, punto il dito e accuso:

Gent.mo lettore, allego due lettere che avevo intenzione quanto prima di fare pubblicare, con le quali voglio esternarle alcuni miei pensieri sul controverso tema della giustizia, e alcune denunce e sentimenti che la mia travagliata e tragica situazione mi impongono.

Da oltre tre anni e otto mesi soffro ingiustamente una misura cautelare carceraria, ma di ciò no vi voglio tediare.

Oggi la paura di vivere ci toglie un tratto di umanità; la paura della legge ci uccide più del male e della fame; il problema è volere capire dov’è e qual’è il male.

Se sapessimo ogni qual volta la cosa giusta da fare saremmo dei saggi.

Voler apostrofare a tutti i costi gli italiani, quei “demoni e santi”, è un ‘offesa alla nostra memoria e alla storia, un vilipendio alla verità: al Sud i demoni, sterminateli.

Così, ancora una volta, dopo oltre un secolo e mezzo, in questa “terra di confine” non si applicano principi costituzionali e democrazia; oggi come allora l’Italia civile è divisa in due. Il Mezzogiorno d’Italia, e la Calabria in particolare, lo si vuole sottomesso e oppresso, senza speranza né futuro. Così come nel Risorgimento e ai tempi del “brigantaggio”; la “Legge Pica” viene applicata da “Magistratura Sabauda”, Tribunali speciali  e processi sommari ci giudicano e condannano: come si può pensare di reinserire e rieducare una vittima di ingiustizia soggetta a soprusi?

Oggi sul fenomeno delle mafie, come allora sul fenomeno del brigantaggio, le verità profuse sono nebulose e vengono incartate da processi farsa ove appare solo un barlume di verità. Ai tempi dell’Unità, se brigante era un meridionale esso era un criminale da trattare alla pari della peste, se brigante era un emiliano, esso era considerato “cortese”, così come definito da Pascoli il brigante Passatore: “il Passatore cortese”; anche la letteratura ci è avversa. Ma la verità non è come la polenta: se la si mangia al Nord è buona, e se la si mangia al Sud è… la verità deve essere unica al di là da chi la si scorga o la si racconti ed accerti.

Non mi stancherò mai di recitare una celebre citazione di Aristotele: “preferire la verità è un dovere morale”, ed io aggiungo che a essa non si deve pervenire che servendosi di vie oneste. Ma la verità spesso viene travisata e propagandata a piacimento dello scrivente sul martoriato Sud Italia.

Ma al Sud sono davvero tutti mafiosi e collusi? Anche chi non lo è? I fatti sembrerebbero non affermarlo, almeno non più di quanto è nel resto del globo, ma ciò poco importa: ad affermarlo e accertarlo, con metodi autoritari, basta la sola volontà dei Giudici. Soppressa la Costituzione va di scena la repressione poliziesca, la caccia all’uomo è scatenata e il luogotenente Cialdini avrà di che deliziarsi.

(FINE PRIMA PARTE)

 

“…

Lettera di un’Odissea (prima parte)… di Davide Emanuello

tortura

Davide Emmanuello,

Alcune storie sembrano prese da un film dell’errore o da uno di quei libri dell’assurdo, che ti facevano precipitare in un delirio senza fine, per ritornare poi, alla fine della lettura, nel mondo di tutti i giorni.

Ma questo non è un film e non è un libro.

Piuttosto sembra a tutti gli effetti, la storia di un accanimento senza precedenti.

Il 23 agosto raccontammo per la prima volta la vicenda di Davide Emmanuello (vai al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/08/23/unodissea-nel-41-bis-la-vicenda-di-davide-emmanuello/).

Nella struggente lettera che inviava alla madre -pubblicata il 29 novembre- feci poi una sintesi dello stato dei fatti e dell’incombente ricaduta.. (vai al link.. 

https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/11/29/mia-amatissima-mamma-di-davide-emmanuello/)

Venti anni di carcere, di cui quindici sottoposto al regime di tortura del 41bis. Tre revoche disposte da tre diversi tribunali di Sorveglianza, per tre volte disattese da tre Ministri della giustizia. 

Nel primo testo di cui ho segnalato prima il link troverete tutta una serie di altri particolari. Ma a noi basterebbe già questo riferimento di tre righe per farci qualche domanda.

Tre revoche del 41 bis.. dopo, ricordiamolo, venti anni di carcere, di cui 15 al 41 bis. Tre revoche… il ministero ridisponeva la misura e i Tribunali di Sorveglianza la revocavano.. Attenzione, Davide Emmanuello non faceva altro nel frattempo. Non emergevano nuovi fatti. Non avrebbe potuto fare alcunché. Era sempre lì in carcere. E dato che la maggior parte dei suoi anni carcerari li ha trascorsi al 41 bis, anche volendo ogni comunicazione era sostanzialmente impossibile.

Qualcuno di voi potrà mai immaginare la devastazione non solo di 15 anni i tortura al 41 bis, ma anche di questo mai visto ottovolante, di questa roulette russa, che non ti dà il tempo di respirare una carcerazione normale, per farti ripiombare con accanimento incessante nel territorio dei sepolti vivi?

Parlavo di incombente ricaduta….

Perché  la D.N.A. fece ricorso contro l’ultimo provvedimento di revoca del 41 bis presso la Corte di Cassazione, che, per questioni di diritto, ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza.

La nuova udienza per discutere sulla persistenza o meno del 41 bis nei confronti di Davide Emmanuello venne stabilita il 23 novembre. 

Molti speravano che il diritto stavolta, almeno stavolta, avesse una chance.

Invece Davide è stato sottoposto per l’ennesima volta al 41 bis.

Quindi tre revoche e tre… ritorni tra i sepolti vivi.

Destinazione Ascoli Piceno.. una delle peggiori.

Ci ha scritto questa intensa lettera, che, per l’importanza che ha, ho diviso in due parti, di cui oggi pubblico la prima.

Quanto può reggere mentalmente un uomo? Quanto è allungabile la corda dell’ingiutizia?

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Ciao Alfredo,

ho atteso (in compagnia dei tuoi scritti) che le ricorrenze esaurissero quella carica illusoria che certe sane speranze alimentano, e ne approfitto adesso che sono terminate per ritornare alla disillusione di queste speranze senza fondamento, e rivivere la realtà in tutta la sua drammatica verità. Dai “sepolcri imbiancati romani”, giorno 23 novembre in anticipo di 4 settimane e 5 giorni, il “sinedrio” ha deliberato per la celebrazione del mio Venerdì…

Le “vestali” di Nemesi, cieche mute e sorde rispetto alla Temi di ancestrale memoria, in ossequiosa riverenza, a ben noti professionisti sciasciani, ormai al timore del ministero orwelliano, hanno rigettato ogni evidente prova dell’insostenibilità del provvedimento del 41 bis di tortura, e accolto la richiesta manifestamente infondata del ripristino del decreto che era stato revocato già per tre volte…

Obbedienti al tribunale politico della Prima sezione di Cassazione, territorio occupato dalla DNA, che come ho già scritto nell” Odissea che hai già letto, ritiene legittima l’illazione che alla morte di mio fratello il clan si è indebolito, rafforzandosi al suo interno il mio ruolo di comando.

Questo è amico mio il paradosso che il TdS romano, in composizione sapientemente studiata per non offendere quegli gnomi del diritto, è arrivato a sostenere, compiendo un disastro logico, con un argomento così contraddittorio, d rendere palese la scelta repressiva. Una scelta ingiustificabile poiché lede la legge: abusando del loro mandato compiono un vero e proprio falso ideologico, cioè non si attengono ad atti processuali assolutori la cui rilevanza è inconfutabile. Un comportamento tale da poter sostenere che non di un un tribunale della Repubblica si tratti, ma di un presidio di illegalità.

Non meravigliarti, pensa che nel 1992 la Corte di Cassazione dovette piegarsi alle c.d. “procure in trincea”, come amano definirsi quanti continuano ad utilizzare la legge a fini esclusivamente “militari”, che i procedimenti di natura mafiosa dovevano essere sottoposti ad una turnazione tra le diverse sezioni della Cassazione per evitare che una sezione e giudici ben individuati potessero favorire qualcuno con sentenze addomesticate.

E guarda caso, oggi la DNA è riuscita a realizzare un sistema giudiziario parallelo in materia di regime speciale, così che ogni decreto ministeriale è “controllato” attraverso l’unico tribunale di sorveglianza di Roma e la Prima sezione di Cassazione, laddove si dovrebbe discutere il ricorso avverso la decisione del primo tribunale. E non è finita.

Questa stessa sezione della Cassazione, piegata ai voleri della DNA, che eufemisticamente chiamo tribunale politico, produce quella stessa giurisprudenza che la DNA propone, in barba all’autonomia  e imparzialità del giudice terzo.

Ciò sono riusciti ad ottenere con la legge del 2009, realizzare un sistema di tribunali speciali (TdS di Roma e Prima sezione Cassazione) e così gli echi di mussoliniana memoria inondano e si fissano con segni d’inchiostro sulle pagine delle varie decisioni che condannano uomini come me a una non vita, ad ammuffire in sezione mortori.

Naturalmente quelle probe “procure in trincea” di nulla si accorgono, di nulla sospettano, nulla dicono dell’occupazione militare di quegli organi di garanzia, Cassazione e tribunale, che con la formula del sospetto hanno espugnato prima, e senza sospetto sic! controllano adesso.

Questo ti farà comprendere il perché nei casi di reclami al tribunale e dei ricorsi in Cassazione le regole possono essere violate impunemente, senza lasciarti possibilità di difesa alcuna, lasciandoti senza la possibilità di vedere valutata la tua posizione da un organo di controllo terzo e indipendente.

Nel mio caso ti ho spiegato che al TdS ho prodotto le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, le stesse di cui è in possesso anche la DNA e non le ha mai prodotte, con le quali è provata la mia estraneità al gruppo, oltre  a smentire che sia divenuto il capo dopo la morte di mio fratello. D’altra parte se ero a regime di 41 bis?

E’ chiaro amico mio? Gli stessi che si autoaccusano di essere i responsabili ed i nuovi capi del gruppo escludono quei postulati investigativi che, se fossero supportati da un minimo elemento logico, avrebbero comportato come conseguenza diretta l’emissione di un mandato d’arresto o un’indagine nei miei confronti. Sono questi fatti che pongono la parola fine a qualunque deduzione che il tribunale politico della Cassazione ha potuto fare.

Quest’illazione, perché di questo si tratta, che quegli gnomi del diritto hanno tentato di trasformare alchemicamente in un fatto penale preziosissimo, l’ho smentita documentalmente. Ciononostante il tribunale, divenuto presidio di illegalità, senza nemmeno considerare la rilevanza “morale” dell’innocenza, evitando un errore alla giustizia, conclude a favore di tale illazione, commettendo però un falso ideologico, così come ha fatto la DNA con le stesse omissioni e alterazioni.

Nella sana prospettiva di chi non è un giacobino della repressione, un episodio luttuoso è da considerare un dramma umano, da rispettare, niente di eroico o di divino. Invece il TdS dell’illegalità arriva a farne strazio con argomentazioni che appaiono più acrobazie di logica, della quale non sfugge l’errore sia “semantico” che “logico”.

Se prendono atto che da venti anni, cioè da quando sono in carcere, non sono raggiunto da ordinanze di custodia cautelare, perché sottoposto al 41 bis, come possono affermare allo stesso tempo che sono a capo di un sodalizio votato al delitto? Se loro stessi confermano che l’isolamento relativo al regime speciale è efficace, come posso diventare capo di un sodalizio che è all’esterno? Un sodalizio che per ammissione degli stessi componenti, poi collaboratori di giustizia, si è sfaldato?.

Dunque cosa sono? Un capo posto in isolamento che guida un gruppo dissolto?

Come vedi siamo di fronte ad un ginepraio logico che si sarebbe potuto evitare, semplicemente se ci si fosse attenuti alla documentazione prodotto da me e celata dalla DNA, invece di emettere una decisione degna di una nuova colonna manzoniana.

Purtroppo i parametri di valutazione dei decreti del regime speciale non esigono garanzie di carattere penale, essendo gli stessi di natura amministrativa, non configurandosi come reato il 41 bis sfugge alle maglie strette imposte dal diritto, permettendo in sede di verifica un accertamento in termini di plausibilità, senza una necessaria dimostrazione in termini di certezza.

Eppure quest’atteggiamento di tolleranza del legislatore e di una giurisprudenza giacobina (favorevole all’allargamento probatorio) non sarebbe stato sufficiente all’atto amministrativo per aggirare il diritto. Così, con sapienza, gli stessi in trincea, ottenendo l’accentrazione giurisdizionale ad un unico TdS, utilizzano quei parametri di verifica, sottraendo a più fonti del diritto, cioè a tutti i TdS della nazione, l’esercizio del loro mandato, e saggiamente lascia la valutazione di legittimità ad un unico tribunale politico rappresentato dalla Prima sezione di Cassazione, il quale in merito alla coerenza delle deduzioni potrebbe ridare simmetria fra la tolleranza eccessiva, regalata, e la necessità probatoria.

All’udienza-farsa del 23 il TdS dell’illegalità sostiene che essendo uno scopo del regimi de 41 bis impedire a chi vi è sottoposto la continuità con il delitto, l’assenza di provvedimenti in tal senso nei miei confronti non è un elemento valido a mia discolpa.

Proprio perché appare plausibile quest’argomento dimostra la mala fede di chi lo adopera. A mia difesa produssi le revoche del regime di tortura, dimostrando che, in quei periodi di libertà dalle attenzioni orwelliane, l’assenza di provvedimenti dipendevano dalla volontà del sottoscritto a vivere condotte ineccepibili.

Fatto questo integrato delle dichiarazioni di quanti autoaccusandosi, come ti ho scritto, mi escludono totalmente dal contesto.

Riscontro che dovrebbe essere messo in relazione fra la condotta e dato di fatto, ed essere utilizzato per raggiungere quella deduzione logica e coerente richiesta.

Invece, ricorrendo al concetto di possibilità, ed evitando gli elementi di certezza, i servi della repressione aggiungono un mattone della vergogna a quella colonna infame manzoniana che già hanno innalzato con l’ultima decisione, arrivando a quella verticalmente superiore storica e  meritevole di Traiano che di Roma ne celebra i fasti anziché le infamie.

L’atto amministrativo del regime 41 bis di tortura nasce come esercizio del potere per “gabbare” il diritto. Disattende le timide garanzie costituzionali, istituzionalizza l’esercizio illegale di alcuni apparati dello Stato, i quali, realizzato un progetto eversivo dell’ordine costituzionale, che in assenza di un giusto equilibrio tra poteri, si sottrae alle forze democratiche.

(FINE PRIMA PARTE)

Lettera di Domenico Papalia alla preside di una scuola media di Palmi

Il primo testo di Domenico Papalia su questo Blog, lo abbiamo pubblicato il 4 giugno, un pezzo interessantissimi sui vergognosi temi che un detenuto deve sopportare per effettuare visite specialistiche esterne (vai al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/06/04/i-tempi-burocratici-per-le-visite-specialistiche-esterne/).

Da quel momento Domenico è diventato uno dei compagni di viaggio del Blog. Attualmente è detenuto a Spoleto, è in carcere dal 1977, ed ha l’ergastolo.

Oggi pubblico questa sua lettera, che nel 2004, otto anni fa, inviò alla preside della scuola media “De Amicis”di Platì. Una lettera animata dalla volontà di essere utile ai ragazzi di quella città, perché non finiscano in ambienti e situazioni che poi possano portare a una vita come la sua.

La pubblico, perché considero espressione di generosità lettere di queste genere e, appunto per questo, da conoscere.

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Alla Prof.ssa Lidia Laganà

Preside della scuola media 

“De Amicis” di Platì

89039 Platì (RC)

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Innanzitutto mi presento, sono Domenico Papalia di Platì, “esiliato” dal consorzio civile ormai da 27 anni a seguito di ingiusta condanna all’ergastolo.

Avvertivo da tempo l’esigenza di scriverLe, pregandola di dare lettura della presente ai ragazzi della scuola media, con l’augurio che anch’io nel mio modesto intervento possa fare riflettere i ragazzi per evitare una scelta sbagliata  verso la devianza. Data la situazione di Platì credo che ognuno di noi debba dare il proprio contributo per migliorarla.

Colgo l’occasione anche per esprimerle la mia profonda solidarietà in merito agli atti incivili e vandalici a danno della struttura scolastica da me appresi attraverso la Gazzetta del Sud. Non so quanto possa essere apprezzabile questa mia solidarietà, espressa da una persona che da oltre mezzo secolo è emarginata dalla società civile e di cui si è fatto scempio del diritto nei suoi confronti, ma quando apprendo che uno struttura che infonde sapere, cultura, legalità ed insegnamento viene presa di mira, provo rabbia e tristezza.

Anch’io sono stato ragazzo e avrei voluto qualcuno che mi avesse sollecitato a studiare e oggi essere utile alla società, ma non è stato così. I miei genitori, a causa di una famiglia numerosa avevano bisogno di me in campagna e non potevano mandarmi a scuola. Perciò, raccomando ai ragazzi della Sua scuola il massimo impegno nello studio.

Negli anni 89/90 scrissi al Prefetto di Reggio Calabria e ad altri uomini delle istituzioni, pregandoli di prestare attenzione verso Platì, creando le condizioni di sviluppo, socializzazione e strutture per i ragazzi che potessero essere di ausilio e finalizzate alla non devianza giovanile, ma, essendo io un detenuto, nessuno l’ha presa sul serio, tranne l’onorevole Catanzariti che è sempre attento alle problematiche platiesi.

Quando in un paese come Platì si fa bersaglio un luogo d’insegnamento, con atti vandalici, non si fa altro che dare ulteriore motivo ai detrattori di incentivare la criminalizzazione di una comunità tanto disagiata ed abbandonata dalle Istituzioni centrali, regionali e provinciali.

Dopo quello che ho passato e che sto passando io, vorrei che a nessuno capitasse questa avventura negativa ed ingiusta persecuzione, perciò, cerco di dare consigli di legalità quando incontro un ragazzo giovane, sia esso di Platì o no, parente o no. Provo solo amarezza per il fatto che questi miei buoni propositi non vengano recepiti dalle strutture istituzionali, e siano sempre guardati con sospetto, solo perché sono stato oggetto di propalazione, senza riscontro, da parte di un “pentito” che, per sua convenienza, ha tratto in ingallo lo Stato.

Il 13 novembre 2003 Platì ha subito un’ingiustizia da parte dello Stato. Si è colpito indistintamente una popolazione onesta e laboriosa, alla quale dovrebbero andare le scuse a quelle persone incarcerate e lo Stato non perderebbe certo la faccia. La Civiltà di uno Stato si consolida anche con il riconoscimento dei propri errori.

Io che sono vittima dell’ingiustizia non odio, né i giudici, né le istituzioni. Dio è il giudice Supremo a cui tutti dobbiamo dare conto. Perciò, vorrei che i ragazzi di Platì, che saranno gli uomini di domani, non odiassero le istituzioni e chi il 13 novembre 2003, si è visto portare via nel cuore della notte il padre, la madre, il fratello, la sorella o il nonno, deve sapere perdonare ed impegnarsi nello studio e nel rispetto della legalità perché domani Platì possa risorgere ed essere migliore. 

Voglio dire a questi ragazzi della scuola media di non “marinare” la scuola. Io sono in carcere innocentemente, ma se i miei genitori mi avessero mandato a scuola, avrei potuto studiare e prendere una strada diversa, tale da non trovarmi coinvolto in certi ambienti ed essere accusato  ingiustamente, solo per il fatto di essere considerato facente parte e frequentatore di aree emarginate dal consorzio civile. Mentre non ho potuto seguire gli studi e, come si vede, sono riuscito ad imparare a scrivere in carcere in qualità di autodidatta e quel poco che so (e male) l’ho fatto da solo perché in certi regimi carcerari non è consentito nemmeno frequentare la scuola.

Per cui la mia esperienza mi porta a sollecitare questi ragazzi, che io immagino vivaci ed intelligenti, ad essere educati, rispettosi della legalità, e ad impegnarsi nello studio tanto da formarsi futuri uomini onesti e contribuire affinché nel futuro Platì possa diffondere solo notizie positive.

La prego di scusarmi se mi sono dilungato, ma soprattutto per gli errori di scrittura e il mio esprimermi, ma, come dicevo sopra, non ho potuto studiare.

La ringrazio per l’attenzione e per Suo tramite rivolgo un cordiale saluto a tutti gli insegnanti e un forte abbraccio e tanti auguri per i ragazzi, convinto che faranno buon uso del mio consiglio e si impegneranno nello studio con profitto. Se qualche ragazzo vorrà scrivermi per appagare la sua curiosità, sarò lieto di rispondere alle sue domande.

La saluto cordialmente.

Domenico Papalia

Carinola 07/03/2004

Il mondo siamo noi.. di Pasquale De Feo


Il nostro Pasquale De Feo -detenuto a Catanzaro – ci ha inviato questo suo brano, contro la follia di ogni visione di discriminazione, abuso, marginalizzazione di altri essere umani in base a criteri assurdi, malati, fanatici.

Un testo di forte indignazione morale. 

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IL MONDO SIAMO NOI

E’ sempre chi gestisce il potere a creare differenze, alzare muri e alimentare separazione, mai i popoli, che subiscono ogni sorta di condizionamento funzionale per essere controllati e addomesticati da chi ci governa. La scienza ritiene che la popolazione mondiale discenda da esseri umani provenienti dal centro dell’Africa, e per il loro nomadismo, essendo cacciatori e raccoglitori, si sono sparsi in tutto il pianeta.

Il clima ha plasmato il calore della pelle e anche il calore dei capelli. Questo conferma che all’inizio eravamo tutti simili con la pelle nera.

Questo dimostra che le teorie razziste non hanno fondamento, sono solo le squilibrate teorie di scienziati, dittatori e pseudo profeti di qualunque natura. Pazzi criminali che per avere successo, arrivare al potere o imporre dottrine di qualunque tipo, stravolgono la realtà e inquinano  le menti della gente per raggiungere i loro obiettivi.

Il potere per mantenersi crea sempre un nemico, affinché le persone siano impegnate con l’odio a non avere pensieri razionali. Le separazioni che ne conseguono li fanno rimanere schiavi del padrone di turno. In Italia abbiamo avuto Cesare Lombroso, con tre mesi di soggiorno in Calabria teorizzò che i meridionali erano una razza incline alla delinquenza, creando il razzismo antimeridionale che dura tuttora, per legittimare una repressione di tipo coloniale e un saccheggio sistematico del Meridione.

Le sue teorie giustificarono stragi e crudeltà inaudite, una vergogna tutt’ora nascosta dalla censura della storia e dal segreto di Stato.

Queste elucubrazioni barbare non finiscono con chi le ha create, ma sopravvivono nel tempo e sono la causa di odi che contribuiscono alle tante piccole grandi brutture nel mondo.

Estirpare questa nuova pianta delle teorie dei profeti criminali dovrebbe essere l’imperativo di tutti, affinché non producano flagelli peggio delle epidemie.

Per costruire il villaggio globale basato solo sull’economia,  si consente di calpestare la dignità e i diritti dei popoli, si distrugge e si inquina l’ambiente, si innescano guerre e guerriglie, per alimentare la vendita delle armi, perché l’unico “Dio” che conta è il profitto.

Un mondo disumano non è quello che auspicano i popoli. Ciò che desiderano è la pace, l’eguaglianza, il benessere, la giustizia sociale e il rispetto della loro dignità. L’istruzione e una equa distribuzione del potere e della ricchezza alimentano la consapevolezza dell’eguaglianza. La conoscenza è l’arma per abbattere i pregiudizi alimentati da nazionalismi e fondamentalismi, che usano gli odi culturali, razziali e religioni per dividere e gestire il potere.

Il male non è radicato in noi, solo il bene lo è, perché noi siamo nati per il bene, l’amore e la libertà. Dovremmo sempre farli prevalere, affinché cresca in noi il virus da contrapporre ai pifferai magici che incontriamo sul nostro cammino, che seminano discriminazioni e distruzioni nel tessuto sociale.

Amare tutti gli esseri umani non è umanamente possibile. I nostri limiti ci impediscono un cuore così grande, ma tutti abbiamo la capacità di rispettare ogni essere umano.

Siamo nati uguali, è tempo che non sia solo una teoria, ma venga applicato anche nella quotidianità della vita.

Quando tutti gli esseri umani saranno considerati tali e avranno il rispetto della loro dignità, con il riconoscimento di tutti i loro diritti e una giustizia sociale in tutti i campi, ci sarà pace e fratellanza nel mondo.

Il modus operandi di un imperatore barese.. di Domiria Marsano

Come potete vedere dall’immagine, anche l’orango è sinceramente perplesso per la vicenda che ci racconta la nostra Domiria Marsano; che scrive dal carcere di Lecce, ed è da un bel pò di mesi presenza attenta e preziosa nel nostro Blog.

Circa le dinamiche surreali della vicenda che racconta, vi lascio alla lettura. Dico solo che in storie del genere emerge nettamente la profonda ingiustizia del nostro sistema, dove privilegi intollerabili vengono permessi, e si diventa feroci contro chi non può diffendersi.  Non solo il rigore è inversamente proporzionale al denaro e alla posizione sociale. Ma tante volte, non c’è neppure rigore, ma solo irrazionalità.

Mi piace inserire i testi di Domiria. Sia per quello che descrive, che per come lo descrive. Domiria ha un suo stile nello scrivere, ironico, letterario, indignato. 

Vi lascio all’ennesima vicenda kafkiana che proviende dal mondo lunare delle carceri e dei tribunali.

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IL MODUS OPERANDI DI UN IMPERATORE BARESE

Protagonista di questa storia è il tribunale di Bari, sezione del giudice per le indagini preliminari (GIP).

Una compagna di sventura è detenuta da circa un anno. Non possedeva  e non possiede nulla né all’esterno né all’interno della casa circondariale. I suoi vestiti sono generoso dono dei volontari.

Non effettua colloqui in quanto i familiari non hanno la possibilità economica di intraprendere un b reve percorso, quale è Bari-Lecce. Non possono inviarle denaro, tant’è che la stessa ha usufruito  del sussidio che il carcere, eccezionalmente,  concende una tantum, e per un massimo di 20 euro. La signora in questione attualmente svolge attività lavorativa, nonostante il sovraffollamento, essendo una delle prime in graduatoria.. proprio per lo stato in cui versa. Il compenso è così esiguo che a stento copre le spese di prima necessità.

Premesso questo, racconto quant’è “reale” la garanzia del diritto alla difesa.

Filomena (così si chiama) ha chieso di essere ammessa al gratuito patrocinio, ovvero di avere un avvocato a spese dello Stato. E’ un diritto civile costituzionalmente garantito, che consiste nell’assistenza penale gratuita delle persone che non dispongono dei mezzi economici per assicurarsi una difesa professionale su incarico (remunerato). Il pagamento di tali spese costituisce indubbiamente un’obbligazione di carattere patrimoniale, e lo Stato trova poi il titolo esecutivo nel provvedimento di condanna al rimborso.

L’istanza è stata rigettata. Soprendente è la motivazione. Quasi una caricatura gli accertamenti, tenendo conto che si tratta di un ufficio di indagini preliminari!

Costituendo le sentenze della Corte di Cassazione un precedente nella casistica, l’esimo giudice, il dott. Marco Guida, secondo il “costante orientamento” della Suprema Corte, espone:

“In materia di gratuito patrocinio, i redditi da attività illecita possono e debbono essere computati a tal fine ed accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui anche le presunzioni semplici”.

l’Ill.mo giudice ritiene di avere fatto ricorso alle presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c., come indicato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.11 del 30/03/92, tra le quali rientrano il tenore di vita dell’interessato, dei familiari conviventi, e qualsiasi fatto di emersione della percezione lecita o illecita dei redditi. Sostiene, quindi, che nel caso in esame emerge chiaramente che il soggetto ha subito due condanne per estorsione, per cui si può ragionevolmente presumere la sussistenza di una notevole fonte di guadagno.

Innanzitutto si tratta di due episodi, e non vedo proprio l’attualità delle fonti di guadagno. Non si tratta di una esponente della criminalità organizzata, per cui è consueta la continuazione dell’attività illecita. Nel caso in questione, forse, il dott. Guida ha letto un rigo sì e un rigo no, o peggio.. solo gli artt. contestati al reo. Trattasi infatti di persona tossicodipendente da anni, e la cospicua entità delle due estorsioni è rispettivamente di 40 euro e di 10 euro.

Anche avendo una fertile immaginazione e una buona dose di illogicità, presumendo:

– che l’illecito guadagno sia ancora in possesso dell’imputata,

– che siano stati perpetrati delitti della stessa specie, non accertati.

non supererebbe ugualmente il reddito (mi pare di euro 8000 anni) per accdere al gratuito patrocinio.

Bastava poi una semplice richiesta alla C.C. di Lecce, di  rapporto informativo, per accertare il “tenore di vita dell’interessato”…

Mi spiace solo, avendo il Dott. poca attitudine alla lettura, non potergli rivolgere la seguente domanda:

“Perchè infierisce su una persona che non ha neanche l’acqua da bere, dato che quella dei rubinetti del carcere è di colore marroncino e ‘presumibilmente’ dannosa alla salute, e non persegue i cortigiani disonesti che, unitamente ai clienti, criminali facoltosi, percepiscono la parcella e in aggiunta i denari anticipati dallo Stato?”

Credo che la sentenza della Cassazione  e il pronunciamento della Corte Costituzionale fossero diretti a perseguire proprio tali situazioni, affidando al buon senso del magistrato la singola valutazione dei casi.

La discrezionalità riconosciuta è per questo, non per ergersi ad imperatori arbitrari e negligenti.

Vuoi studiare? Quest’anno no, la scuola è finita! Lettera dai detenuti di Spoleto

Quella di oggi è un’accorata lettera scritta per i detenuti di Spoleto da un loro compagno, Carlo Marchesi, già laureato ma che difende il diritto alla scuola per coloro che quest’anno si sono  visti negare la possibilità di continuare il 4 e il 5 anno dell’Istituto d’Arte. Pensate al valore rieducativo della Scuola, pensate a chi dopo una vita riprende a studiare in carcere e dopo tre/quattro anni si sente dire che non può frequentare il 4° o il 5° anno, perchè la classe quest’anno non viene istituita. Tagli su tagli, e allora i primi a rimetterci sono sempre gli studenti, ma questi studenti particolari non si possono permettere di andare in un’altra scuola di un altro quartiere o della città vicina… E allora???

Leggete questa lettera e dite la vostra:

Dai detenuti/ studenti,

dalla Casa di Reclusione di Spoleto.

Al Ministro dell’istruzione,

On.le  Mariastella Gelmini,

                                     Roma

 

Al Magistrato di Sorveglianza di Spoleto,

 

All’Ufficio Scolastico Regionale dell’Umbria,

Via Palermo n.4,

Perugia.

 

Ai Direttori della Casa di Reclusione di Spoleto,

 

Al Dirigente Scolastico

I.I.S. “Pontano Sansi-Leonardi”,

Spoleto.

 

All’Educatore della C.R. di Spoleto,

Gentile Ministro dell’istruzione, On.le  Mariastella Gelmini,

e destinatari di questa lettera, siamo alcuni detenuti della C.R. di Spoleto, abbiamo bisogno del vostro aiuto.

Necessita per subito sottolineare l’importanza della Carta costituzionale, che prevede tassativamente il diritto inviolabile della “umanizzazione” e della “tendenza alla rieducazione” di tutte le pene, detentive o meno che siano.

 Sulla rieducazione il discorso è molto lungo, e non è questa l’occasione per approfondirlo.

È certo, però, che tale finalità della pena può essere ottenuta principalmente  con lo studio scolastico e, come ha detto la Corte costituzionale nella sentenza 2 luglio 1990, n.313, è cogente e non facoltativa, coesiste nella pena.

Il carcere deve proseguire nel cambiamento, il trattamento penitenziario si realizza con il progetto dell’istruzione scolastica presente in quest’istituto da parecchio tempo, che deve favorire a non bloccare il percorso di orientamento e di reinserimento sociale, perché è anche utile a sottrarre molti detenuti all’angoscia dell’ozio forzato, in cui spesso maturano tensioni e conflitti verso l’istituzione.

Non è possibile che 5 alunni del quarto e 5 del quinto “anno scolastico 2011-2012”, non possono più frequentare l’istituto statale della scuola d’arte I.I.S. “Pontano Sansi-Leonardi” di Spoleto.

È stata un’amara sorpresa venire a sapere dalla polizia penitenziaria che non sono stati istituiti i corsi scolastici del 4° e 5°.

È stata appresa la notizia senza l’intervento del Dirigente Scolastico, Dr.ssa Roberta Galassi, ci è sembrato molto indelicato, irriguardoso.

Tagliare il numero dei docenti per l’attuazione della riforma scolastica è un fatto a sé, ma chiudere la scuola a coloro che hanno intrapreso uno studio per 3 e 4 anni, è a dir poco sconcio, indecente.

Studenti che hanno faticato studiando per anni, si vedono all’improvviso sbattuta in faccia la porta per completare lo studio, per ottenere un diploma, e magari successivamente intraprendere lo studio universitario, come è accaduto per tanti condannati.

Anche l’anno scorso hanno accorpato in una unica classe il 2° e il 3°, per un totale di una decina di alunni, circostanza accettata da tutti, docenti compresi.

Ci chiediamo: perché il Dirigente Scolastico, Dr.ssa Roberta Galassi, non ha accorpato in un’unica classe il 4° e il 5° ?

Lo dice e lo prescrive il legislatore, razionalizzando il sistema e mettendo tutti i condannati sullo stesso piano, realizzando una vera parità di trattamento.

Sono stati autorizzati quest’anno i corsi scolastici del 1°, 2° e 3°, escludendo il 4° e il 5°.

Per molti di noi lo studio è una passione, molti sono rammaricati nel non aver studiato da bambini, sarebbe stata forse la nostra salvezza, e adesso ci troviamo in un contesto che ci può sicuramente far crescere.

Se potessimo tornare indietro, andremmo a scuola appena iniziato a muovere i primi passi.

Addirittura, per motivi di sicurezza è previsto fare socialità in poche persone, ma con la scuola cambia il metodo, dobbiamo essere invece numerosi, in barba alla sicurezza.

Il legislatore ha imposto un punto fermo in modo chiaro: anche i condannati hanno dei diritti precisi, cui corrispondono doveri altrettanto precisi, la cui violazione, pur non specificatamente sanzionata, dà adito a responsabilità, anche sul piano etico, sociale e politico.

Nel nostro caso è evidente addirittura la violazione di più disposizioni della Carta Costituzionale, il diritto alla scuola, sancito dalla L. n. 390/ 1991, la tendenza alla rieducazione del condannato, ecc.

Molti detenuti hanno voglia di imparare quale eventuale lavoro svolgere appena scontata la pena, imparare come muoversi preparati nel mondo del lavoro che fuori li attende.

Con lo studio vogliono capire quello che non abbiamo capito prima, siamo certi che è un percorso che ci aiuterà a entrare nel mondo del lavoro.

Molti di Noi sono bravi nei lavori artigianali, il laboratorio è un ambiente che fa venire fuori delle doti straordinarie, ringraziando le figure professionali degli insegnanti.

Anche il cameriere, se impara bene a farlo, ha una professionalità che sarà spendibile per sempre appena fuori.

Se ci togliete lo studio, restiamo disillusi, senza speranza.

Noi non stiamo in carcere perché “bamboccioni”, che non vogliono uscire di casa, noi siamo l’eccezione , siamo stati puniti, ed anche  ad essere un numero inferiore alla formulazione di una classe, non può esserci negata l’opportunità, perché non possiamo andare in un quartiere sito nell’altra parte della città, o in un paese vicinitorio, per trovare una classe completa, e concludere il nostro studio.

Il pensiero di tutti i detenuti è racchiuso sinteticamente in questo scritto, è stato redatto da un condannato alla pena dell’ergastolo ostativo, tale Marchese Carlo, che grazie allo studio scolastico in carcere, si è laureato in legge con “11o e lode”, e siccome uscirà di carcere solo da morto, per la propria acquisita professionalità, sarà in grado di svolgere la funzione di avvocato nelle aule giudiziarie dell’aldilà, dove la Giustizia del nostro Signore è giusta e benedetta.

Ci sono anche degli ergastolani ostativi nella lista dei 10 studenti appiedati per la frequenza scolastica.

Se non è possibile istituire il corso scolastico per il 4° e il 5° in forma autonoma, in subordine, chiediamo che siano accorpate le due classi in una sola.

Siamo certi della disponibilità a venirci incontro due Direttori della C.R. Spoleto, Dr. Ernesto

Padovani e Dr. Pantaleone Giacobbe,qualora fosse necessario, per la loro sempre dimostrata umanità, è giusto “dare a Cesare quel che è di Cesare”.

Ai destinatari di questa lettera, in primis al Ministro dell’istruzione, On.le  Mariastella Gelmini, chiediamo cortesemente un rapidissimo impegno, perché ancora nulla è compromesso.

Spoleto, 26 settembre 2011

                                                            Ringraziamo, porgiamo cordiali saluti e alleghiamo le nostre firme.

Gino Rannesi sul progetto di legge “processo lungo” e risposte ai vostri commenti

Anche Gino Rannesi commenta, con rabbia e tanta amarezza, l’approvazione da parte del Senato del progetto di Legge sul cosidetto “Processo lungo”  e sulla prospettiva di voler negare il rito abbreviato e ogni beneficio penitenziario alle condanne all’ergastolo… Ecco lo sfogo di Gino, di seguito alcune risposte ai vostri commenti:

Basta!!! Non voglio più sentire alcun TG.    A detta di molti pare che si stia materializzando l’ennesima legge ad persona. Il guaio è che con essa, ancora una volta, pare che saranno colpiti i carcerati. Si fa una legge ad persona e per “renderla meno amara” si colpiscono le persone comuni.  “Niente più rito abbreviato per i reati che prevedono l’ergastolo.” Nessuno spiega che però che cosa sia realmente il rito abbreviato e a cosa serva. Il rito abbreviato non si chiede per ottenere lo sconto di pena. Lo si chiede ad esempio quando la “difesa” dell’imputato ritiene che, sulla base della documentazione acquisita da parte dei p.m., le prove a carico del proprio assistito non siano tali da fargli rischiare una condanna. Il rito abbreviato gli consentirà di giungere in tempi ragionevoli alla sentenza di assoluzione. Ma, nel caso in cui lo stesso dovesse essere condannato, la pena massima non potrà superare i 30 anni. Lo “sconto” deriva dal fatto che la richiesta del rito abbreviato comporta la rinuncia  ad ascoltare i numerosi eventuali testimoni a discolpa che l’imputato potrebbe citare, ecc… ecc… Di conseguenza,  alla possibilità  che si possa giungere alla scarcerazione per la decorrenza dei termini.

Quindi, un processo rapido, che più delle volte si conclude con l’assoluzione. Rapido, quindi meno costoso, e con meno risorse da impiegare da parte dello Stato. Chiedere il rito abbreviato è un azzardo, ma con il c.d. il rito normale, per giungere ad una sentenza di assoluzione o  di condanna definitiva, nella migliore delle ipotesi,  ci vogliono almeno 10 anni. Anni che l’imputato a torto o a ragione passerà in galera.

Inoltre, pare che nel pacchetto già approvato al Senato, vi sia una legge che vieterebbe qualsiasi beneficio penitenziario ai condannati all’ergastolo. Gli ergastolani ostativi se la ridono, infatti, questi sono già esclusi da ogni qualsiasi beneficio. Morale della favola: l’ergastolo ostativo sarebbe stato esteso a tutti.  

Ne sapremo di più nei prossimi giorni.

In compenso, però, taluni soggetti potranno far durare i loro processi quanto basta perché questi vadano in prescrizione. Però non ditelo a nessuno, facciamo finta di niente, altrimenti per l’ennesima volta dovremmo subirci tutta la storia che loro sono onesti. E che lo dimostra il fatto che loro hanno reso il carcere duro, ancora più duro. Come se l’infliggere sofferenze a uomini inermi, renda i loro carnefici persone giuste e oneste. Ed infine eccola qua, la legge che sancirebbe senza dubbio alcuno che chi viene condannato all’ergastolo non potrà mai più uscire dal carcere. E questo a prescindere dal contesto in cui sarebbe maturato il delitto… bene. Gli stessi che per le loro malefatte non vogliono neanche essere indagati, continuano a macellare persone ormai inermi da decenni. Questa è la vita. C’è chi può e c’è chi non può. Non ridete forcaioli: la libertà la stanno togliendo anche a voi…

Conscio del fatto che questo mio scritto risulterà meno “brillante” del solito.

Buone vacanze a tutti. Ci risentiamo a settembre. Se Dio vuole.

 

Come passeranno il ferragosto gli ergastolani in lotta per la vita di Spoleto?

Ammazzando zanzare. Causa stress e nervosismo, taccio e chiudo, che è meglio…

Gino. Agosto 2011.

 

 

CELESTE- Ciao Gino, è la prima volta che ti scrivo. Che gioia per me quando leggo nomi di persone che scrivono per la prima volta. Celeste. Che bel nome. Nell’ultimo anno delle medie ricordo una ragazza che si chiamava come te. Era mora e bellissima. Io tredicenne, lei quindicenne. Io un bambino,  che però si sentiva malandrino, lei una “Donnina”. Mi fece tanto soffrire. Non mi degnava neanche di uno sguardo, inoltre non mi rivolgeva quasi mai la parola, ma quando lo faceva, però, era solo per ricordarmi che per lei altro non ero che un bambino monello… Il fatto che tu trovi interessante quello che scrivo non può che farmi piacere. Bene, in considerazione del fatto che hai scritto che: Dopo aver letto un commento fatto da un’altra persona, ossia, saluto tutti quelli che leggono e non scrivono. Non posso che ringraziare quella persona che ti ha spinto a scrivere. : Sono felice d’averti scritto. Ed’io sono felice d’averti letto. Ciao Celeste. A presto. Gino.

 

MICHELE- Altro che grande trio, ma che figura mi fate fare?

Ma come, non sapete ancora come richiedere la tessera di adesione all’associazione “Fuori dall’ombra” ? Mamma mia, e cuccumiungiu. (Sabina, per favore pensaci tu.)

Scrivi che sei davanti al computer unitamente a Salvatore ed Elena. Mizzica! Come ti invidio.

Ringrazio Salvatore per il bagno che mi dedicherà. Turi, ma ti sei forse dimenticato che una delle nostre ultime uscite è stata quando ci siamo recati alle Gole dell’ Alcantara?

Carciofi arrostiti e carne di cavallo… buona digestione. Lasciate qualcosa anche per me. Arrivo…

Va bene, grande trio, vi saluto con un fortissimo abbraccio. Vi voglio un gran bene. Baci. Vostro affezionatissimo Gino.

 

A NESSUNO- Caro nessuno, giacché ultimamente sono nervoso, mi rivolgo a te, diciamo per uno sfogo. Ultimamente non me ne va bene una. Il nervoso non mi passa, questo fa sì che lo stress aumenti sino all’inverosimile. Vorrei non avere nessuno, nessuno che aspetti che forse un giorno potrei uscire. Solo, vorrei essere solo come un cane. Questo mi consentirebbe di dare sfogo a tutta la “rabbia” compressa nell’anima mia. Invece no. Non sono solo. Qualcuno da qualche parte aspetta ancora il ritorno del figliol prodigo. Magari prima che la vecchiaia se li porti via. Ecco, questo, nonostante tutto, fa di me una persona di buon senso. E’ dura, con uno stato di cose che ti incita alla violenza, che ti incita a delinquere, è dura.

Ma io non voglio cadere, perciò non cadrò. Tuttavia, il fatto di non cadere, comporta immani sofferenze che qualcuno vorrebbe fossero senza fine. Dio mio, ma come si fa. Il mondo va in pezzi,così come anche la nostra nazione. Davanti alle desolanti prospettive di crescita, qual’ è la preoccupazione di taluni soggetti?

Quella di infliggere quanto più sofferenze possibili ai carcerati. Così facendo cercano di esorcizzare quelle che sono le loro malefatte… ricercatori di facile consenso. Quelli che più si accaniscono, sono gli stessi che più di tutti hanno gli scheletri nell’armadio. È facile riconoscerli…

Certo, il crimine va combattuto e fermato, a partire dalla corruzione. Questa è il male assoluto. La   corruzione, colei che è sempre stata la madre di tutte le mafie… Ciao nessuno, mi fermo qui che è meglio. Grazie per aver ascoltato il mio sfogo. Solo chi è con me, può veramente capire.

Nessuno.      

 

L’UOMO OMBRA – la rubrica di Carmelo Musumeci

Ecco Carmelo Musumeci e la sua rubrica.. L’UOMO OMBRA… che prende le mosse dai tanti morti che costantemente il carcere regala.. e poi il discorso si estende. Ma rispetto a queste parole, che seguiranno.. non c’è bisogno di ulteriori commenti.

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Ministero di giustizia e di morte

“ Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare” ( Jean Paul Sartre )

 

Il Ministro di giustizia e di morte è impegnato a difendere il Presidente del Consiglio e a urlare che ha firmato nuovi decreti di sottoposizione al regime di tortura del 41 bis, ma mai che in questi provvedimenti ci sia un politico, un corruttore, un notabile, un colletto bianco mafioso.

In carcere si continua a morire e tutto tace.

Pescara: detenuto di 35 anni si impicca in cella, è il 33esimo morto “di carcere” dall’inizio dell’anno (Il Messaggero, 21 marzo 2011).

Nell’anno 2010 si sono tolti la vita in Italia 66 detenuti.

Perché in Italia, sono molti i detenuti che si tolgono la vita?

Credo perché il prigioniero in Italia sta tutto il giorno attorno al nulla sdraiato in una branda, se è fortunato ad averne una tutta per se, a guardare un mondo che non vede e non sente. Probabilmente perché da noi il carcere ha solo una funzione: quella punitiva, diseducativa e criminogena.

Non ci si può opporre al male con altro male, con altra violenza.

Il carcere, così com’è oggi, non solo ci punisce, ma ci fa soffrire, ci odia, ci isola, ci istiga e spesso ci convince a ucciderci.

E i più deboli, o i più forti, a seconda dei punti di vista, scelgono di fuggire, di andarsene da questo mondo d’illegalità istituzionale.

Il carcere così com’è, quando va bene, ti convince a ucciderti e quando invece va male distrugge i corpi e le menti, perché sempre e solo galera invece di risolvere i problemi li  peggiora. Non solo quelli dei detenuti, ma anche quelli della società.

In carcere in Italia non c’è  solo il rischio che ti venga voglia di ucciderti, ma se non lo fai hai buone probabilità di diventare più criminale e più cattivo di quando sei entrato.

Purtroppo l’uomo in gabbia o diventa violento o si lascia morire.

E chi non ha il coraggio di farlo, come me, sente spesso il desiderio di farlo.

Voglio ricordare ai funzionari del Ministero di giustizia e di morte che molti detenuti scelgono di morire perché non hanno scelta.

Loro invece la scelta per fare smettere queste morti l’avrebbero: umanizzare i carceri e renderli luoghi di legalità e di diritto istituzionale.

In questo modo molti detenuti preferirebbero vivere che morire.

Carmelo Musumeci

Carcere Spoleto

Marzo 2011

 

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