Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

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Lettera di Pasquale De Feo a Norma Rangieri

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Pubblico oggi una lettera che il nostro Pasquale De Feo ha inviato alla direttrice del quotidiano Il Manifesto, Norma Rangieri.

In questa lettera Pasquale denuncia come a Davide Emmanuello, ritornato al 41 bis dopo alterne vicende (in questi tre link riportai il racconto che Davide fece della sua vicenda https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/13/lettera-di-unodissea-prima-parte-di-davide-emanuello/ – https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/22/lettera-di-unodissea-seconda-parte-di-davide-emmanuello/– https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/26/lettera-di-unodissea-terza-parte-di-davide-emmanuell/), viene impedito di ricevere Il Manifesto, oltre ad essergli stato impedito di leggere il libro “Il nome della rosa”.

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Dott.ssa Norma Rangieri

Redazione Manifesto

Via A. Bargoni n. 8

00153 Roma

Egregia Direttrice

Il suo giornale tramite abbonamento gratuito invia il quotidiano al detenuto Davide Emmanuello ristretto nel regime di tortura del 41 bis ad Ascoli Piceno, Via dei Meli n. 218, cap 63100, Marino del Tronto (Ascoli Piceno).

Per ragioni oscure, la direzione del carcere gli ha sospeso la distribuzione del Manifesto quando gli arriva tramite posta.

Siccome con l’ultima legge del famigerato duo Alfano-Berlusconi, hanno reso questo infame regime simile ai centri di detenzione psichiatrici che usano tutte le dittature per rinchiuderci i dissidenti, per annullarne la personalità e annichilirne il pensiero.

Per farle un esempio, qualche mese addietro gli rifiutarono di fargli leggere il libro della biblioteca del carcere “Il nome della rosa” di Umberto Eco, perché ritenuto pericoloso dall’area educativa. Con la legge n. 94/2009 di Alfano è l’educatrice a decidere quali libri della biblioteca un detenuto può leggere; neanche Mussolini era sceso così in basso. Ad Antonio Gramsci permettevano di avere quattro libri in cella e libertà di leggere tutti i libri della biblioteca. Parliamo di ottant’anni fa. Le lascio immaginare il resto.

Credo che il motivo sia tutto nell’orientamento politico; nel sistema penitenziario non adorano tutto ciò che si volge a sinistra.

Siamo nel terzo millennio e ci sono ancora le censure sui quotidiani, riviste, libri da leggere, violando la Costituzione con la copertura del sistema penitenziario, principalmente dei magistrati di sorveglianza.

Il suo quotidiano non è un pericolo per l’ordine e la sicurezza, pertanto le chiedo un intervento affinché Davide Emmanuello possa continuare a leggere Il Manifesto.

Le scrivo io perché la direzione del 41 bis Ascoli Piceno non farebbe mai partire una lettera del genere.

Fiducioso nel suo intervento, le invio cordiali saluti.

De Feo Pasquale

Commento all’art. 15 Costituzione… di Davide Emmanuello

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Il 25 aprile ho pubblicato  la notizia dell’incontro avvenuto  il 3 aprile nel carcere di Catanzaro, nel quale è stato presentato  un opuscolo che contiene i commenti dei detenuti dell’A.S.1  alla Costituzione (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/04/25/opuscolo-sulla-costituzione-presentazione-a-catanzaro/).

Oggi pubblico il commento che il nostro Davide Emmanuello ha fatto all’art. 15 della Costituzione.

Nell’introduzione al post pubblicato il 16 aprile, ho fatto una sintesi della vicenda di Davide Emmanuello, indicando i testi pubblicati -su questo Blog- sul suo caso (vai al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/04/16/per-davide-emmanuello-lettera-al-presidente-della-camera/).

Cito il passaggio dove descrivo per sommi capi le surreali vicessitudini di Davide:

“Davide è da venti anni di carcere; quindici dei quali li ha passati  al 41 bis. Per tre volte il 41 bis gli è stato revocato e per tre volte hanno fatto in modo di ristabilirglielo. In tutti questi anni lui non ha commesso alcun “fatto nuovo” che potesse giustificare la riproposizione del 41 bis.  E i fatti che racconta, su come si sarebbe svolta fin dall’inizio la sua tribolazione carceraria, rendono ancora più surreale, incomprensibile l’intera vicenda.  L’ultima destinazione, dopo l’ultima revoca, era stata Catanzaro. Non per molto però.. presto dopo l’ennesima sentenza di annullamento della revoca, il 41 bis gli è stato nuovamente inflitto, e adesso si trova nella sezione corrispondente del carcere di Ascoli Piceno.”

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Art. 15: La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge.

Possiamo stabilire dall’analisi concreta della realtà che le garanzie di libertà sancite dall’art. 15 della costituzione smarriscono il proprio orizzonte di senso nella sua mancata applicazione.

Concretamente questo articolo si traduce in un mero uro retorico dei diritti, che propagandati come dottrina ufficiale dello Stato, assumono la titolarità ideologico-morale della Nazione, sottraendo agli individui ogni spirito di resistenza.

In Italia la rivoluzione copernicana securitaria, guidata dal populismo politico-giustizialista, ha lottizzato ogni spazio informativo.

Le emergenze urlate da questi signori procurano il panico sociale, sono promosse per ottenere “poteri” speciali, che in condizioni ordinarie sarebbero impediti dalla Costituzione.

L’egemonia di questi professionisti dell’insicurezza ha occupato ogni spazio di confronto, dove si forma la libera discussione razionale, istillando paura e insicurezza, sostituendo la pubblica opinione con un’opinione preconfezionata.

I mezzi di diffusione di massa non sono proprietà comune dei cittadini,e i “burattinai” che ne hanno il controllo, attraverso la catena informativa, deformando sistematicamente la realtà, riescono a cancellare o censurare verità che non permette il risveglio delle coscienze, su temi che evidenzierebbero l’alto prezzo che è pagato in nome della sicurezza, dai cittadini privati di ogni libertà.

Nelle sezioni di reclusione dove è applicata la tortura “democratica” del regime di 41 bis, i reclusi sono sottoposti ininterrottamente da vent’anni alla censura della corrispondenza. Oltre che all’inibizione della lettura dei giornali, alle limitazioni di programmi televisivi e lettura di libri della biblioteca del carcere stabiliti discrezionalmente dall’area educativa.

Così, attraverso la censura è profanato lo spazio interiore dei reclusi, messi a nudo nella loro intimità, mortificati nei sentimenti, perquisiti nell’anima, menomati nel pensiero.

Si provoca nella mente sottoposta a coercizione un blocco emotivo, un disordine concettuale, una fuga dell’IO dalla propria dimore (il SE’), proiettando il pensiero alla ricerca di una nuova identità.

Mentre la pedagogia repressiva istituzionale propone alla mente dei reclusi sottoposti ai rigori della segregazione, un percorso intellettuale pianificato da un imitato accesso alle “riserve spirituali” giacenti nelle biblioteche penitenziarie; imponendo tramite un “saggio” (sic) percorso culturale un nuovo  modello comportamentale.

Questa pianificazione pedagogica non è di certo finalizzata alla rieducazione del recluso, ma al suo annientamento e alla sua mortificazione.

L’orrore dell’ingegneria repressiva (nel regime di tortura del 41 bis), si avvale della metodologia manicomiale dell’internamento senza fine, che si fondava sul preteso sapere medico della prognosi  di pericolosità (diagnosi sconfessata, ma che ha contribuito all’annientamento fisico, psicologico e morale di tante persone che erano sotto la tutela dello Stato).

Questa prognosi non desunta da fatti oggetto di reato si fonda sulla pretesa non scientifica dell’esame della personalità.

Tuttavia l’arte di punire recupera da fallimento delle istituzioni manicomiali, una metodologia impiegata efficacemente come mezzo persecutorio da utilizzare contro chiunque dissente dalle dottrine dello Stato.

Il risultato che ha ottenuto il mastodontico apparato burocratico repressivo, contro chi è sottoposto al regime di tortura del 41 bis, è quello di avere creato dei “mostri mediatici” considerati intrinsecamente pericolosi, e con questa prognosi di pericolosità si legittima l’ordinaria applicazione di norme che violano i diritti riconosciuti dalla Costituzione, dalla Convenzione europea e dai trattati internazionali dei diritti umani.

La censura della corrispondenza in arrivo e in partenza è un punto centrale del sistema di tortura del regime di 41 bis, uguale al sistema usato nei gulag sovietici e nei lager nazifascisti, per recidere quei legami affettivi che costituiscono il nucleo fondamentale della personalità degli individui e azzerarne l’identità sociale sottraendoli a quelle interazioni interpersonali necessarie per la costruzione di un soggetto non alienato.

Catanzaro agosto 2012

Davide Emmanuello

Per Davide Emmanuello- lettera al Presidente della Camera

tortura

La vicenda di Davide Emmanuello è una di quelle che ci stanno più a cuore.

Abbiamo seguito tutti gli sviluppi del suo caso. E continueremo a seguirli.

Perché l’esistenza di Davide è diventata un inferno senza fine; segnata da quello che sembra un accanimento incredibile.

Il succo della vicenda:

Davide è da venti anni di carcere; quindici dei quali li ha passati  al 41 bis. Per tre volte il 41 bis gli è stato revocato e per tre volte hanno fatto in modo di ristabilirglielo. In tutti questi anni lui non ha commesso alcun “fatto nuovo” che potesse giustificare la riproposizione del 41 bis.  E i fatti che racconta, su come si sarebbe svolta fin dall’inizio la sua tribolazione carceraria, rendono ancora più surreale, incomprensibile l’intera vicenda.  

L’ultima destinazione, dopo l’ultima revoca, era stata Catanzaro. Non per molto però.. presto dopo l’ennesima sentenza di annullamento della revoca, il 41 bis gli è stato nuovamente inflitto, e adesso si trova nella sezione corrispondente del carcere di Ascoli Piceno.

Questo è quanto abbiamo pubblicato finora su questa storia:

-Una sintesi dell’intera vicenda (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/08/23/unodissea-nel-41-bis-la-vicenda-di-davide-emmanuello/).

-Il racconto (che ho pubblicato in tre parti) in cui Davide racconta la sua vicenda (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/13/lettera-di-unodissea-prima-parte-di-davide-emanuello/ – https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/22/lettera-di-unodissea-seconda-parte-di-davide-emmanuello/– https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/26/lettera-di-unodissea-terza-parte-di-davide-emmanuell/).

-La struggente lettera scritta alla madre (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/11/29/mia-amatissima-mamma-di-davide-emmanuello/).

-La poesia dedicata alla madre (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2012/12/06/per-mia-madre-di-davide-emmanuello/).

-Il testo del ricorso straordinario presentato al Capo dello Stato (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/31/davide-emmanuello-ricorso-straordinario-al-capo-dello-stato/).

E oggi pubblico la lettera che, sul suo caso, il nostro Pasquale De Feo ha scritto al nuovo Presidente della Camera Laura Boldrini.

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Egregio Presidente della Camera

Sono un recluso ristretto nel carcere di Catanzaro, condannato alla pena di morte con l’ergastolo ostativo.

Il boia per l’esecuzione della pena è stato affidato al tempo; fino alla fine dei miei giorni.

In Italia da un ventennio sono statre reintrodotte la pena di morte con l’art. 4 bis e la tortura con l’art.41 bis.

Su queste infamie c’è una copertura censorial dei media con la complicità dei tanti Savonarola e manettari giustizialisti, ma principalmente originari dello Stato con una mentalità criminale.

Ci sono tante personalità che potranno darle tutte le spiegazioni necessarie sull’argomento: Umberto Veronesi, Margherita Hack, Alessandro Margara e tanti altri, nel sito “carmelomusumeci” o “informacarcere” o nel Blog “urladalsilenzio” troverà tutte le risposte in merito.

Non le scrivo per me, ma per un mio compagno di detenzione, Davide Emmanuello. Per perorare la sua causa, essendo venti anni che viene perseguitato. Averlo condannato a a more con l’ergastolo ostativo non basta all’apparato  della repressione colonial, vogliono demolirlo psichiatricamente.

Di tutti questi anni ne ha passati  quindici nel regime di tortura del 41 bis, dove per tre volte tribunal diversi glielo hanno revocato, ma la DNA per la quarta volta glielo ha fatto applicare di nuovo il 18 febbraio 2013, non per fatti nuovi, ma per gli stessi argomenti da venti anni a questa parte, relazioni falsificate, manipulate e strumentalizzate.

Le invio documenti scritti da lui, memorie, denuncie, ricorsi, e una straziante lettera alla Madre, dove può apprendere a quail aberrazioni sono giunti determinate organi dello Stato

In questi quindici anni trascorsi nel 41 bis, gli hanno procurato patologie psichiatriche e nel tempo si sono aggravate.

Le sue patologie mentali sono state certificate da tutti gli psichiatri delle carceri dove ha soggiornato.

Negli anni novanta la tortura del 41 bis era molto fisica. Non solo limitazioni di acqua, cibo, igiene, vestiari. Eravamo bastonati e manganellati quotidianamente.

Chi scrive è stato per circa cinque anni nelle cayenne italiane dell’Asinara  di Pianosa, dove la barbarie aveva superato ogni limite umano. Nei siti citati troverà dei racconti raccapriccianti su questi luoghi. Nel tempo le torture del 41 bis sono diventate più scientifiche e meno fisiche. Con la riforma del 2009 del “duo Berlusconi-Alfano”, questo regime è diventato simile ai reparti psichiatrici dell’era sovietica, usati contro i dissident per annullarne la personalità e annichilirne l pensiero.

Da tanti anni sento dire che la pena riguarda solo la privazione della libertà, tutto quello in più è tortura. Qui parliamo di qualcosa che va al di là dell’umana comprensione.

Gli animali hanno tutti i diritti, qui non ne hanno, sono trattati alla stregua di bestie.

Ci sono persone condannate a morte e sepolte vive da vent’anni nel regime di tortura del 41 bis.

Nella censura totale si nasconde che i suicide sono 19 volte di più della media, che le patologie psichiatriche arrivano al 50% e che la propaganda razzista antimeridionale e giustizialista dei profeti dell’odio strombazzano che riguarda solo 700 reclusi. E’ falso, perché in vent’anni ci sono passati migliaia di meridionali; sono stati e sono ancora al 100% sempre meridionali.

Figli di un Dio minore, mostrificati lombrosianamente per legittimare stragi di Stato. Mostri a cui nessun diritto è conceso, ma solo oppressione, repression e torture.

Quello che le chiedo e un suo intervento umanitario, affinché venga loro fatta una perizia psichiatrica per valutare se Davide Emmanuello può sopportare la tortura del 41 bis.

Il garante dei detenuti della regione Lazio, Angelo  Morrone, può delucidarla e darle conferma di ciò che le sto scrivendo sulla tortura del 41 bis.

La ringrazio per la sua attenzione su noi detenuti nel discorso d’insediamento alla Camera, cosa che non aveva mai fatto nessuno.

Augurandole buon lavoro, la salute cordialmente.

Con Osservanza

De Feo Pasquale

Catanzaro 24 marzo 2013

Lettera di un’Odissea (terza parte)… di Davide Emmanuello

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Oggi pubblico la terza e ultima parte dell’Odissea di Davide Emmanuello, raccontata da lui stesso (per la prima parte vai al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/13/lettera-di-unodissea-prima-parte-di-davide-emanuello/ e per la seconda al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/22/lettera-di-unodissea-seconda-parte-di-davide-emmanuello/).

Di Davide abbiamo parlato in altri post, prima della pubblicazione di questa Odissea. La sua storia è di quelle che sembrano prese da quella famosa serie televisiva degli anni ’80 “Ai confini della realtà”. Solo che qui è tutto tremendamente reale.

Davide è da venti anni di carcere; quindici dei quali li ha passati  al 41 bis. Per tre volte il 41 bis gli è stato revocato e per tre volte hanno fatto in modo di ristabilirglielo. Una storia che genera un’infinità di dubbi e perplessità, dove Davide è come un sepolto vivo a cui, di volta in volta si fa vedere la luce del sole, per rigettarlo nuovamente nel buio.

L’Odissea di cui leggerete oggi l’ultima parte era stata scritta da Catanzaro -ultima sua destinazione dopo l’ultima revoca del 41 bis- prima di essere rispedito, ancora una vota, in una sezione 41 bis, ad Ascoli Piceno.

Vi lascio alla terza parte di “Lettera di un’Odissea” di Davide Emmanuello.

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Chi è quello scemo che si erge a capo senza comandare?

Stante i fatti, chi è più vicino alla verità, io o gli gnomi del diritto?

Cos’è preferibile? La verità o la retorica, la scienza o l’opinione, la pedagogia o l’adulazione, domandava Platone. Ma noi la risposta la conosciamo.

Questi sono i dilemmi che popolano i miei pensieri, mentre la mente giace dove il mio corpo riposa, perché caro Alfredo, niente evade dal buio della cella, niente a parte l’immaginazione, vola oltre il perimetro delle mura di cinta del carcere. E l’immaginazione è un prodotto del pensiero, la proiezione della materia che si trova nella mente, depositato nelle regioni della memoria. Immaginare è come guardarsi allo specchio. Ed in questo riflettersi, della memoria, gli orrori subiti assumono quelle fisionomie mostruose, come lo sono quelle esperienze oniriche che si vivono negli incubi.

Quando nel 1991, ancora incensurato, fui sottoposto, come altre centinaia di persone, ai rigori del regime di tortura, vennero sospese nei miei confronti tutte le regole tratta mentali previste dall’ordinamento penitenziario a garanzia dei diritti fondamentali.

Concretamente significò che il primo lodevole graduato che incontrai, pretendeva che quando entravo nel suo ufficio, avrei dovuto rivolgermi a lui, solo dopo essermi messo con la faccia girata verso il muro, cioè di schiena.

Le stesse modalità dovevano essere rispettate all’interno della cella durante le operazioni d’ispezione, la conta. Operazioni che venivano effettuate giorno e notte, con la pretesa notturna che avrei dovuto farmi trovare alzato, con il letto in ordine, quando al richiamo urlato conta sarebbero da lì a poco iniziate le operazioni ispettive.

La luce rimaneva rigorosamente accesa giorno e  notte. La cella era stata privata della finestra originaria e sostituita da un pannello-gelosia opacizzato, che, saldato ermeticamente, assicurava che l’estraneo sole e l’intruso vento non accedessero dove gli era stato proibito.

La cella veniva chiusa da un cancello interno e sigillata da un portoncino blindato. Potevo uscire solo per un’ora allo scadere delle 24 ore. Il passeggio non conosceva il cielo, non sapeva cosa significasse il sole, era all’ombra, umido, c’era un freddo che penetrava le ossa.

Si contavano cinque passi a Nord e cinque a Sud. Quest’unica ora d’aria comprendeva due perquisizioni corporali, delle quali taccio la modalità, e un’ispezione, anche della bocca, prima di uscire dalla cella e un’altra al rientro. Non si parlava; l’obbligo era di stare in silenzio; al televisore veniva tarato il volume. Il “braccetto” era isolato dalle altre sezioni e la distanza tra queste impedivano anche ai rumori di farti compagnia.

Questa verità smentisce la retorica delle “penne armate” della propaganda, quei “manovali della repressione” che sono le avanguardie degli “uomini in trincea”. Questa scienza dei fatti sbugiarda quegli uscieri da condominio della giustizia, che giocano col potere persuasivo delle opinioni. Sarebbe necessaria una rinnovata formula pedagogica per ridare alle coscienze quella consapevolezza smarrita d quando vivono nell’ampolla di cristallo dell’adulazione

Certamente il Tribunale dell’illegalità per costruire le proprie ordinanze deve avvalersi dell’opinione e non della scienza dei fatti, deve utilizzare la retorica e non la verità, perché la forza di chi rappresenta il potere comprende in sé sia la forza del denaro per persuadere e sia la forza militare per convincere. Così, e senza nessuna vergogna, l’ideologia repressiva si arricchisce di strumenti sempre più sofisticati. Nel mio caso prima mi hanno mostrificato mediaticamente, fino all’inverosimile,  gli stessi urlatori del panico sociale che proponendosi come unica soluzione del problema ne hanno guadagnato in consensi a fini politici, arricchendosi nello stesso tempo i loro conti in banca, oggi raggiungono la santificazione nascondendo con abili giochi di prestigio l’unico reale merito conquistato, guadagnato e ottenuto, con quel metodo torquemadiano: il premio “Auschwitz”.

Adesso con la legge del 2009, voluta trasversalmente da tutte le forze politiche che “civilmente” siedono in parlamento, questo regime di tortura può essere rinnovato all’infinito senza una reale attuale motivazione. Cioè la repressione legittimata dal parlamento, recupera dall’esperienza manicomiale dell’interno senza fine, quella metodologia fallimentare che si fondava sul preteso sapere medico della prognosi di pericolosità. Sapere medico sconfessato dalla scienza e che tuttavia nei decenni scorsi è causato l’annientamento di tanti uomini. Utilizzando tale metodo, nell’analisi della personalità, non collegata ad elementi di fatto, succede che un nano del diritto possa decidere sul destino di un recluso, segregandolo a vita in un regime di tortura finalizzato all’esclusivo annientamento fisico e morale.

Questo caro Alfredo vivo dal 1993, cioè da 20 anni, di cui 15 trascorsi nelle sezioni di tortura del 41 bis.

La pena di morte è stata abolita in Italia, ma la pena fino alla morte che sto scontando con l’ergastolo ostativo mi espropria della possibilità di vivere la vita e questo non è certo un progresso per la civiltà. Ancor peggio se pensi alle condizioni disumane studiate a tavolino per rendere terribili i giorni dei reclusi all’ergastolo da certi maestri dell’afflizione che si spendono in questo disegno. Nemmeno i sentimenti più intimi sfuggono alla crudeltà che  pianifica il controllo delle emozioni.

Essere sottoposto per venti anni alla censura significa  subire una perquisizione interiore che  profana lo spazio dell’anima che dovrebbe rimanere un angolo segreto nel quale potersi rifugiare.

Nel regime di tortura, pensa, anche la scelta culturale è organizzata dall’Area educativa che decide quali testi e autori mettere all’indice. Uomini di cultura, laureati, che al servizio della repressione, con metodi medievali gestiscono il sapere del recluso, trattando le biblioteche non più come granai per le riserve materiali dello spirito, ma come laboratori scientifici per la manipolazione delle coscienze.

All’interno di queste sezioni è inibito anche l’acquisto dei quotidiani locali, pur essendo intervenuta la Corte suprema censurando tale comportamento. Cosi come è vietato ricevere libri dall’esterno, mentre quelli che scelgono e ti permetto di acquistare devono poi essere lasciati al patrimonio del carcere. Scandalo  che nemmeno il pessimo Mussolini ha immaginato contro il nemico, non solo politico, Gramsci.

Ad Antonio Gramsci la storia ha concesso l’opportunità di regalare al pensiero occidentale quegli scritti dal carcere che neanche l’infamia mussoliniana, che pure lo aveva privato ingiustamente della libertà fino a cagionarne la morte, gli ha impedito di realizzare per i posteri, lasciando quell’eredità intellettuale di cui tutti senza distinzione ci possiamo pregiare.

E’ un crimine contro la civiltà sottrarre le migliaia di testi conservati nelle biblioteche alle tante intelligenze che invece sono obbligate ad oziare. E tuttavia nessuno ne è informato, tutti tacciono, tutti applaudono, mentre le segrete medievali traboccano di martiri che guardano se stessi nel grigio invecchiato del cemento della vergogna che li tiene sepolti.

Sono i sentimenti migliori a morire nell’assenza di un riscontro affettivo, nel quale si subisce una paralisi emotiva che annichilisce l’interazione col prossimo. Così scopri la tua identità violata che cerca di identificarsi, di riconoscersi, mentre non avendo più l’orizzonte emotivo c che dia senso alla realtà artificiosa che stai subendo, rimani schiacciato tra il vuoto interiore e il tempo che rallenta la corsa verso il futuro, imprigionati nell’afflizione instancabile del presente.

Il presidio sanitario preposto alla salute psico-affettiva che opera dentro quelle sezioni di tortura, realizza protocolli diagnostici-terapeutici finalizzati a mantenere compatibile la salute del recluso con il regime afflittivo a cui è sottoposto.

Nessuna cura ha per scopo il benessere psico-fisico del paziente. Dottori in medicina al servizio della legge e non del malato, il cui razzismo scientifico nei confronti dei pazienti reclusi si manifesta nel pregiudizio delle diagnosi di simulazione a priori e a posteriori dell’indagine clinica.

Quindi, come semplice deduzione, anche il medico umanamente e professionalmente migliore indossa non il camice ma la divisa. Alla sua penna è proibito l’inchiostro deontologico, poiché gli imploderebbe tra le mani nella stesura di relazioni condite di gratuite stigmatizzazioni che calpestano la sofferenza.

Nessuna meraviglia. Quando studiavo ero ancora aodelescente, raccontava che i campi concentramento nazisti furono ispirati alle Finetrelle, situata sulle Alpi, con la differenza che questa utilizzo la calce viva per eliminare i suoi prigionieri, , mentre i tedeschi, per i suo loro deportati utilizzarono i “forni crematori”.

Annoiato sui banchi di scuola chiedevo all’insegnante che cosa potesse riguardarci di un carcere sepolto da decenni di storia. Lui rispose che era stata fatta l’Italia politica colonizzando militarmente le terre del Sud, mentre a “Fenestrelle” morivano torturati gli italiani meridionali che si erano opposti a tale conquista. Uomini che arrivarono a conoscere l’inferno savoiardo, istituito con la legge Pica che avrebbe inaugurato i genocidi nel successivo secolo dell’orrore.

Quell’insegnante, che oggi ricordo con ammirazione, profetava sul destino che ancora dovevo sperimentare, rivolgendo quella lezione a noi figli del profondo Sud che a “Fenestrelle” avevamo perso la Patria. Figli di un dio minore, di fatto “colonizzati”, siamo trattati ancora come un problema di ordine pubblico.

Così come i nostri patrioti meridionali conobbero gli stati di assedio e le deportazioni, noi subiamo retate e incarcerazioni di massa. Come loro conobbero la “Fenestrelle” savoiarda, noi conosciamo le sezioni di tortura piemontesi; loro la legge Pica, noi quelle emergenziali del 41 bis.

Spesso si sente ripetere che l’unica industria al Sud che non conosce pressione è quella della repressione. Questa per auto-legittimarsi e mantenere inalterati i privilegi, necessita che la tensione sia sempre alta, la pericolosità sempre attuale e la criminalità sempre più forte.

E solo il carcere è la soluzione, ma solo gli atti vili come le erbe velenose fioriscono ne carcere, tutto quanto di buono vi è nell’uomo  qui  va in rovina e avvizzisce per sempre… scriveva Oscar Wilde.

Il tuo amico

Dal Jetsemani catanzarese

Davide Emmanuello

Catanzaro gennaio 2013

 

Lettera di un’Odissea (seconda parte)… di Davide Emmanuello

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Questa verità smentisce le retorica delle “penne armate” della propaganda, quei “manovali della repressione” che sono le avanguardie degli “uomini in trincea”. Questa scienza dei fatti sbugiarda quegli uscieri da condominio della giustizia, che giocano col potere persuasivo delle opinioni. Sarebbe necessaria una rinnovata formula psicologica per ridare alle coscienze quella consapevolezza smarrita da quando vivono nell’ampolla di cristallo dell’adulazione.” (Davide Emmanuello)

Questa Odissea di Davide Emmanuello volevo pubblicarla in due parti. 

Ma si tratta di un documento di tale importanza, e di tale intensità emotiva che voglio venga letto con la massima attenzione, col massimo “ascolto” del cuore e della mente. Per questo invece di due parti, ne ho fatte tre.

Quella di oggi è appunto la seconda parte (per leggere la prima parte vai al link.. https://urladalsilenzio.wordpress.com/2013/03/13/lettera-di-unodissea-prima-parte-di-davide-emanuello/).

Davide Emmanuello è l’emblema di una giustizia che assume il volto della persecuzione e dell’accanimento.

Venti anni di carcere, di cui quindici al 41 bis. Tre revoche del 41 bis, e per tre volte.. il ristabilimento del 41 bis. Una storia surreale, che genera un’infinità di dubbi, dove Davide è come un sepolto vivo a cui, di volta in volta si fa vedere la luce del sole, per rigettarlo nuovamente nelle tenebre. L’ultimo suo momento di “raggio di sole” è stato nel carcere di Catanzaro.. Prima di -da pochi mesi- essere rispedito tra i sepolti vivi nella sezione 41 bis di Ascoli Piceno.

Già altre volte abbiamo scritto di lui, e gli abbiamo dato la parola. In questa Odissea ricostruisce la sua vicenda.

Leggerla è un dovere morale e civile.

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Il TdS romano, divenuto presidio di illegalità, non si pone  il problema etico-deontologico dell’utilizzo delle fonti investigative, che perdono valore quando le stesse sono superate da sentenze penali d’assoluzione che se contraddette con illazioni in qualunque procedimento, si viola la legge. E questo è gravissimo da parte di chi in nome della legge è chiamato all’accertamento leale della verità.

Una verità che sostengo, producendo a mio favore un’assoluzione, dichiarazioni auto-accusatorie di collaboratori di quelle stesse procure che li utilizzano per incarcerare altre persone.

E dimostro che, non essendo chiamato tra la “rosa degli accusati”, di fatto non sono né indagato né sospettato, sia penalmente che moralmente, per reati che si sono consumati fuori delle mura del carcere. I cui “officianti”, confortati dall’immunità a posteriori della legge dei pentiti, compiono prima e confessano poi, smentendo qualunque partecipazione del sottoscritto.

Si riduce  così l’ipotesi  investigativa a mera spazzatura, fortemente inquinante sul piano ecologico, ma soprattutto su quello probatorio.

Ciononostante il TdS dell’illegalità continua a trarne utilità.

Ecco che l’esercizio del potere si è avvalso dell’atto amministrativo per “gabbare” il diritto: attraverso un funambolismo giuridico investigativo, si è utilizzato le note investigative, che in termini di prevenzione dovrebbero rappresentare l’intelligenza investigativa, e invece in assenza di un reale confronto probatorio, diventa un espediente legale che attraverso la violazione studiata del controllo giurisdizionale permette la permanenza illegittima dei reclusi nelle sezioni di regime di tortura del 41 bis a tempo indeterminato.

Scriveva 23 secoli fa Aristotele nei suoi studi di retorica che, tra la verità e l’errore c’è uno spazio intermedio dominato dal verosimile, dal’incerto, dall’opinabile.

E sicuramente la concretezza dei fatti sono una realtà che dà la misura del vero, è questo, nelle deduzioni logiche di certi “gnomi del diritto”, non dovrebbe essere opinabile.

Ad esempio, il tribunale dell’illegalità romano, scrive nella sua deplorevole ordinanza che tramite familiari pregiudicati in libertà potrei inviare ordini… Non tenendo in nessuna considerazione che non ho famigliari pregiudicati e gli stessi famigliari, nel senso stretto del termine, non hanno la disponibilità di raggiungermi nei luoghi della mia reclusione. Mia madre è un’ottantenne sulla sedia a rotelle, fatti incontrovertibili, documentati e confermati dal riscontro istruttorio penitenziario. Ma continuano gli acrobati, nel vuoto logico del loro argomentare, arrivando a sostenere che l’assenza dei colloqui potrebbe essere una strategia, così come la scelta di non presentarmi nei processi per non incontrare i coimputati, tacendo sul piccolo dettaglio che così facendo resto isolato da coloro con i quali mi vorrebbero in combutta.

Seguendo il ragionamento di questi acrobati della logica, che resta uno strumento d’indagine razionale, ci siamo ritrovati nel paradosso che della logica è il contrario.

Non incontrare nessuno, significa non parlare con nessuno. Non parlare con nessuno significa che nessuno riceve le mie parole. Non parlare per 20 anni  con nessuno a quale conseguenza logica porta? Solo a quella di uno stato d’isolamento.

Uno stato d’isolamento che non può conciliarsi con la logia di un capo al comando.

Dunque, quale significato logico può darsi alla mia “strategia” d’isolamento, riconosciutami anche dal Tribunale dell’illegalità, se non quella che non sono a capo di nulla? E perché lo stesso tribunale da tali premesse giunge poi ad altre paradossali conclusioni?

Chi è quello scemo che si erge a capo senza comandare?

Stante i fatti, chi è più vicino alla verità io o gli gnomi del diritto?

Cos’è preferibile? La verità o la retorica, la scienza  l’opinione, la pedagogia o l’adulazione, domandava Platone. Ma noi la risposta la conosciamo.

Questi sono i dilemmi che popolano i miei pensieri, mentre la mente giace dove il mio corpo  riposa, perché caro Alfredo, niente evade dal buio della cella, niente a parte l’immaginazione, vola oltre il perimetro delle mura di cinta del carcere. E l’immaginazione  è un prodotto del pensiero, la proiezione del materiale che si trova  nella mente, depositato nelle regioni della memoria. Immaginare è come guardarsi allo specchio. Ed in quest riflettersi, della memoria, gli orrori subiti assumono quelle fisionomie mostruose, come lo sono quelle esperienze oniriche che si vivono negli incubi.

Quando nel 1993 ancora incensurato, fui sottoposto, come altre centinaia di persone, ai rigori del regime di tortura, vennero sospese nei miei confronti tutte le regole trattamentali previste dall’ordinamento penitenziario a garanzia dei diritti fondamentali.

Concretamente significò che il primo lodevole graduato che incontrai, pretendeva che quando entravo nel suo ufficio, avrei dovuto rivolgermi a lui, solo dopo essermi messo con la faccia girata verso il muro, cioè di schiena.

Le stesse modalità dovevano essere rispettate all’interno della cella durante le operazioni d’ispezione, la conta. Operazioni che venivano effettuate giorno e notte, con la pretesa notturna che avrei dovuto farmi trovare alzato, con il letto in ordine, quando al richiamo urlato conta sarebbero da lì a pochi minuti iniziate le operazioni ispettive.

La luce rimaneva rigorosamente accesa giorno e notte. La cella era stata privata della finestra originaria e sostituita da un pannello-gelosia opacizzato, che saldato ermeticamente assicurava che l’estraneo sle e l’intruso vento non accedessero dove gli era stato proibito.

La cella veniva chiusa da un cancello interno e sigillata da un portoncino blindato. Potevo uscire solo per un’ora allo scadere delle 24 ore. Il passaggio non conosceva il cielo, non sapeva cosa significasse il sole; era all’ombra, umido. C’era un freddo che penetrava le ossa .

Si contavano cinque passi a Nord e cinque a Sud. Quest’unica ora d’aria comprendeva due perquisizioni corporali, delle quali taccio le modalità, e un’ispezione, anche della bocca, prima di uscire dalla cella e un’altra al rientro. Non si parlava; l’obbligo era di stare in silenzio; al televisore veniva tarato il volume. Il “braccetto” era isolato dalle altre sezioni e la distanza da queste, impedivano anche ai rumori di farti compagnia.

Questa verità smentisce le retorica delle “penne armate” della propaganda, quei “manovali della repressione” che sono le avanguardie degli “uomini in trincea”. Questa scienza dei fatti sbugiarda quegli uscieri da condominio della giustizia, che giocano col potere persuasivo delle opinioni. Sarebbe necessaria una rinnovata formula psicologica per ridare alle coscienze quella consapevolezza smarrita da quando vivono nell’ampolla di cristallo dell’adulazione.

(FINE SECONDA PARTE)

Diario di Pasquale De Feo- 22 agosto – 21 settembre

Eccoci all’appuntamento con uno dei momenti più importanti del Blog.. il diario mensile di Pasquale De Feo, detenuto a Catanzaro.

Essendosi – per una serie di contrattempi – accumulatosi un diario, in questo mese di ottobre ne sono apparsi due, quello di agosto e, adesso, quello di settembre.

Il Diario di Pasquale De Feo è un Mondo. Una mente che cerca di sfondare ogni limite, e di immaginare, sognare, sperare. E a volte si arrabbia, e l’indignazione gli esplode  dentro. Solo un bacchettone avrebbe la bacchetta rossa per sottolineare le frasi troppo dure o “fuori le righe”. Un bacchettone non vede il cuore, non vede la voglia di capire, non vede il legame che un essere umano sente con altri esseri umani. Non vede questa mano tesa allo spasimo verso la vita.

I pezzi da citare sarebbero tantissimi.. Mi limiterò a pochi..

Comincio con citare due passaggi.. tra loro strettamente connessi:

“Ieri mi hanno raccontato una cosa che stentavo a credere, anche se è la verità. Nei regimi di tortura del 41 bis, l’area tratta mentale decide quali libri della biblioteca del carcere i detenuti possono leggere. E’ una violazione palese della Costituzione. Ormai sono diventate cose normali queste torture, che anche i civili dell’area educativa le applicano come fosse tutto normale. ” (1 settembre)

“Anche i detenuti transitati nei regimi di tortura del 41 bis, si sono assuefatti alla tortura in tutte le sue forme, ritenendole fatti normali. Mi hanno raccontato che volevano denunciare un detenuto perché la sorella con le sue poesie ne aveva fatto un libro. Erano poesie che lui aveva scritto prima del 41 bis, ma la Direzione del carcere di Ascoli Piceno non lo sapeva. L’hanno chiamato nell’ufficio della Direttrice, insieme a lei tutto l’apparato repressivo: commissario e alcuni ispettori dei G.O.M., minacciandolo di sequestrare il libro e i proventi, perché lui  non poteva scrivere un libro, anche se era di poesie. ” (3 settembre)

E’ normale che nelle sezioni del 41 bis (o in alcune di esse) non ci sia libertà di accedere ai libri della Biblioteca? Quale è il timore.. che in “Pinocchio” ci sia una sorta di ispirazione protocriminale col burattino fin troppo discolo? O che in “Shantaram”, il carcere non sembra esattamente un luogo “benefico”.. o che in “Delitto e castigo” di Dostoevskji, nonostante il protagonista venga alla fine punito, rischia però di destare umana simpatia? Effettivamente i libri sono delle brutte bestie.. lo pensava anche Zio Benito (che, come dice Pasquale, non aveva stabilito la limitazione dell’accesso alla biblioteca carceraria per i detenuti).. ma.. ha davvero senso limitarli per qualunque tipologia di detenuti. Una limitazione di questo genere può avere mai qualcosa a che vedere con una qualsivoglia esigenza di sicurezza? 

Riguardo alla vicenda del carcere di Ascoli Piceno.. ma può essere che un detenuto al 41 bis è stato vicino ad essere denunciato, perché la sorella voleva pubblicare un libro con le sue poesie? Un detenuto in regime d 41 bis non può scrivere poesie? Credo di essere molto ignorante… e di avere solo due neuroni.. quindi sicuramente si tratta di una limitatezza mentale mia.. spero che qualcuno mi illumini e mi faccia presto comprendere perché scrivere poesie può essere una azione deleteria..

Adesso però voglio riportare due citazioni che riguardano il carcere di Catanzaro. Eccole qua…

“Ci avevano aperto le celle e, per circa due mesi ci siamo immersi in questa nuova realtà. Avevano messo un termine di prova fino al 31 agosto, se fosse andato tutto bene, sarebbe continuato. L’1 settembre ci hanno chiuso di  nuovo le celle, perché mancavano i vertici per decidere la continuazione, ci hanno riferito che a giorni sarebbero ritornati dalle ferie, avrebbero indetto una riunione e deciso, ma non ci sarebbero stati problemi, essendo che tutto era andato bene.  Sono trascorsi una decina di giorni, ma le notizie non sono buone. Voci di corridoio asseriscono che non ci apriranno più, perché sarebbe successa una cosa molto grave. Che cosa? Mistero. Ieri un mio compagno mi riferisce che un graduato, alla domanda del perché hanno chiuso le porte, ha  risposto “ci siamo sbagliati”. Il più piccolo di noi ha 40 anni, il più fresco di galera è in carcere da 10 anni. Conosciamo il sistema penitenziario e come funziona. Questa decisione di aprirci le celle è stata avallata dal DAP, dai vertici del Ministero e dall’Ufficio preposto, che è lo stesso del regime di tortura del 41 bis. Ora dire che si sono sbagliati è come calpestare la nostra intelligenza. Almeno ci dicessero la motivazione di questo cambiamento di rotta. Non riusciamo a comprendere il silenzio e certe risposte di facciata. Sarebbe stato meglio non aprirci le celle, certe aperture, quando vengono ritirate, fanno male psicologicamente. Un passo avanti e, al minimo pensiero cattivo, subito due passi indietro. Ormai ci ho fatto l colo, pertanto non mi toccano più di tanto, ma sono dure per tutti queste decisioni umorali, che toccano non solo la vivibilità ma anche la libertà interna. ” (12 settembe)

“E’ passata la Direttrice in sezione. Siccome non c’era nessuno, perché tutti erano al campo sportivo, si è fermata davanti alla mia cella per cinque minuti. Le ho fatto alcune domande sul perché ci hanno rinchiuso le celle, quando ci avrebbero dato il computer, ecc. Ho avuto una sensazione negativa, cosa che non mi era mai successa nei due anni e mezzo che sono qui. Ho avuto l’impressione di parlare con un’altra persona, come se fino ad oggi avesse avuto una maschera. Credo che non ci darà neanche i computer, anche se autorizzati dal GOT. Ma questo sarà niente, perché vedo un futuro nero sotto ogni punto di vista. Quello che non capisco è perché è tornata dalle ferie ed ha azzerato ogni discorso con la nostra sezione, almeno sapere il motivo, ma temo che saranno i soliti atti burocratici, che non tengono conto del lato umano. Sopravviveremo anche a questo. Non è la prima volta che un Direttore si alza la mattina e decide il destino dei detenuti, pertanto non sarà neanche l’ultima. Siamo carne da macello e si ritengono di avere il diritto di poterci usare e calpestare come e quando vogliono. Mi auguro per me e per i miei compagni che i miei siano solo cattivi pensieri. ” (21 settembre)

Io credo  nell’onestà e nella fiducia. Quando da Catanzaro sono venuti segnali positivi (ovvero fino ad ora), si è dato ad essi spazio su questo Blog, riconoscendoli come novità apprezzabili. Perché lo scopo non è mai essere a prescindere contro qualcuno (guardie, Direttori, amministrazione..) ma che ci sia una crescita dei diritti e del rispetto umano. Una battaglia di umanità che libera tutti. 

Circa gli ultimi eventi nel carcere di Catanzaro e le percezioni di Pasquale.. voglio continuare a credere che si debba ancora avere fiducia, e che tutti i movimenti di apertura che ci sono stati in questi mesi, non si riducano, alla fine, ad una bolla di sapone….. 

I fatti diranno.

Voglio concludere adesso con un passo che vola alto.. un passo di “libertà”.. Pasquale quando parla della solitudine, scrive queste parole.. 

“Quando ero giovane, ero convinto che le persone che si estraniavano dal contesto e preferivano la solitudine, avevano qualche problema di adattamento mentale. Oggi, comprendo che la solitudine è un moto interiore di profonda libertà, perché stare bene con se stessi è una forma di felicità, e se non si sta bene con se stessi non si può stare bene con gli altri. Solo con te stesso, puoi dissertare su tutti gli argomenti, approfondendoli senza remore. Spesso mi capita di arrivare a delle conclusioni che sbalordiscono anche me. Adoro il silenzio della solitudine, perché i rumori disturbano i viaggi della mente, che ha delle capacità straordinarie di rendere reale-immaginario ogni desiderio, anche chiuso in un buco al buio. Credo che bisognerebbe apprezzare di più stare in compagnia con se stessi, perché porta più equilibrio alla nostra persona, e rende più forte il nostro carattere.” (10 settembre)

Da sempre, nella solitudine della mente, anche in condizioni estreme, gli uomini, respirano la stessa sostanza degli alberi, della terra e dell’anima.

Vi lascio al Diario di Pasquale De Feo.. mese di settembre.. carcere di Catanzaro.

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La “principessa del foro” Giulia Buongiorno, Presidente della Commissione giustizia della Camera dei deputati, difensore dell’allenatore della Juve Antonio Conte, ha dichiarato che il suo assistito è innocente e chi lo accusa non è credibile. Non o se è innocente o meno, o se chi lo accusa è credibile o meno, non mi interessa. La principessa del foro, in primo grado, gli ha chiesto il rito alternativo del patteggiamento. Questo rito è un’ammissione di colpa che riduce notevolmente la pena. Ora, parlare in TV di innocenza, dopo avergli fatto fare il patteggiamento è una bestialità anche per chi non è esperto in materia. Questo dimostra che non sono i migliori che vanno avanti, ma chi ha le amicizie giuste. Lei difese Andreotti da perfetta sconosciuta, la candidarono alle politiche e, il ruolo di Presidente della Commissione Giustizia le ha reso molta visibilità mediatica, e anche molti clienti. I parlamentari e chi occupa incarichi istituzionali non dovrebbero esercitare il lavoro che facevano prima di entrare in politica. E’ una questione di decenza e di rispetto per la funzione politica che occupano.  –  22-08-2012

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Oggi è stato l’ultimo incontro con Pamela. Per noi qui dentro la chiusura di contatti esterni e i saluti finali, sono sempre esperienze che lasciano un vuoto. Tutti i partecipanti si augurano che possano esservi altre occasioni di incontro. C’è molta differenza tra la conoscenza scritta e quella di persona, perché il confronto verbale allarga molto di più gli orizzonti del nostro ristretto mondo. Credo che questi incontri non debbano rimanere delle eccezioni, ma diventare la normalità, affinché la distanza del muro di cinta rimanga solo una delimitazione fisica e non sociale. Pamela, la tua presenza mi ha donato preziosi momenti di normalità, che serberò con cura nei miei ricordi. Mia cara amica, ti terrò nei miei pensieri migliori, ringraziandoti per il tempo che mi/ci hai donato.  –  23-08-2012

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Ho finito di leggere il libro che mi mandò Alfredo. E’ intitolato “Ciò che i dottori non dicono- la verità sui pericoli della medicina moderna”. Scritto da Lynne McTaggart. Immaginavo qualcosa ma non fino a questo punto. Una industria mondiale che agisce come un clan criminale, con la complicità degli Stati e delle loro leggi. Le industrie farmaceutiche sono peggiori delle multinazionali del petrolio, spendono miliardi di dollari, non per trovare le cure, ma per somministrare medicinali per tutta la vita, come le multinazionali del tabacco, per ottenere la dipendenza. Altrettanto vale per le migliaia di operazioni, esami clinici, senza motivo, solo per alimentare il business sanitario, con chirurghi che farebbero invidia ai serial killer. Dove si aggiunge l’apice sono i vaccini. Uccidono e rovinano migliaia di bambini, infondendo patologie permanenti. Sono stragi che si ripetono nel tempo a livello mondiale. In tanti ne sono a conoscenza, ma le multinazionali farmaceutiche sono così impotenti da intimorire e ricattare gli Stati. Ci sarà mai una politica con un sano valore morale, che su tutto farà prevalere i benessere e la salute degli esseri umani?  –  24-08-2012

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Due notizie, seppur distanti tra loro, possono aiutarci a misurare il grado di civiltà di due Paesi. Il fanatico che ha ucciso oltre settanta persone in Norvegia è stato condannato a 21 anni di carcere, con piena soddisfazione dei familiari, che chiedevano giustizia non vendetta. Renato Vallanzasca, dopo oltre 40 anni di carcere, aveva ricevuto la possibilità di usufruire dell’art. 21, con un lavoro di commesso in un negozio (con l’art. 21 si esce solo per andare a lavorare e si rientra alla fine del lavoro). Il datore di lavoro è stato costretto a licenziarlo, perché i soliti giustizialisti hanno creato il clima da caccia alle streghe.”Piccoli Savonarola crescono”. Il brodo d’odio che propinano sta dando i suoi frutti. Come facevano i nazisti con i negozi degli ebrei, così si sono comportati con il negozio della signora che aveva assunto Vallanzasca. La Norvegia ci ha dato un’altra lezione di civiltà. Mentre in Italia, nei momenti di “buonismo” tutti si riempiono la bocca di belle parole sull’art. 27 della Costituzione; la Norvegia traduce in atti la sua civiltà. Non dimenticherò per il resto dei miei giorni, le parole del Primo Ministro norvegese dopo la strage.. “risponderemo a questa tragedia con più libertà e democrazia”. Come non posso dimenticare la tragedia di Brindisi, con l’ignobile spettacolo di Don Ciotti e le parole di Saviano, per non parlare delle farneticazioni dei vari Vigna, Caselli, ecc. Dopo il buio del Medioevo, con i fanatici “Savonarola” che hanno alimentato i roghi di piazza, questi squallidi personaggi sono la cancrena che sta facendo marcire le fondamenta che hanno illuminato l’Europa.  –  25/08/2012

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Negli Stati Uniti, l’analisi del D.N.A. ha scagionato 300 detenuti, con una media di 13 anni trascorsi nelle prigioni, tra cui 17 detenuti che erano nel braccio della morte. Devono ringraziare l’American Chemical Society di Philadelphia, una associazione di scienziati e avvocati che si dedicano a questi casi per aiutare tutte quelle persone disagiate che non hanno avuto la possibilità di una buona difesa. La povertà si ripercuote anche nei tribunali, con avvocati d’ufficio, indagini grossolane e verifiche scientifiche fatte alla buona. Con questa superficialità  hanno condannato migliaia di persone, alcune anche alla pena di morte. In Italia, una volta che la condanna è definitiva, non c’è verso di avere una riapertura del processo. Addirittura diventa una corsa ad ostacoli, anche se il vero colpevole si autoaccusa del reato. Bisogna aspettare che la sua condanna diventi definitiva, per ottenere la revisione del processo. Lascio immaginare, con i tempi della giustizia italiana, quando si finisce di scontare la pena. Anche in questo caso, non sarà la magistratura a provvedere, ma deve essere sempre l’imputato, tramite il suo avvocato, a chiederla. Se ha le risorse economiche per affrontare  il nuovo procedimento. Una burocrazia tortuosa e paludosa, volta a scoraggiare le revisioni, perché la magistratura li vede come una lesa maestà al suo ordine.  –  26-08-2012

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Ci sono alcune notti in cui non si può dormire, come stanotte. L’abbaiare dei cani è talmente forte e continuo da tenermi sveglio tutta la notte. Hanno anche dei riposi brevi, in cui il sonno prende il sopravvento, ma come un cane dà il segnale, subito succede il finimondo. La cosa strana è che non succede tutte le notti. Ieri sera c’era la luna piena, ho pensato che questa fase lunare influenzi i cani e che si scatenano tutta la notte, perché verso le cinque è come se ricevessero un ordine e si fermano. Ci sono tanti misteri della natura che ancora oggi, con tutte le nostre tecnologie, ci sono sconosciuti.  –  27-08-2012

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Ho finito di leggere Ristretti Orizzonti, il giornalino che scrivono nel carcere di Padova. E’ bimestrale e mi viene spedito in omaggio. Questo numero è improntato sull’assenza della possibilità di rapporti sessuali per i detenuti e circa il sistema dei contati familiari, troppo rigido. Con i rapporti sessuali ci sentiremmo uomini completi e continuerebbe il progetto di famiglia, e la coltivazione dei rapporti sentimentali. Ciò ci renderebbe più responsabili e alimenterebbe la nostra autostima. Viceversa, la castrazione sessuale è un’altra pena aggiuntiva alla condanna, che abbrutisce e inaridisce l’animo, perché nel tempo tante famiglie si sfasciano. Nel codice penitenziario è stabilito, con parole chiare, che devono essere agevolati i contatti familiari. La rigidità sia nei colloqui visivi, che in quelli telefonici, la burocrazia assoluta e il suo iter, incancreniscono ogni sentimento umano. Come se un colloquio o una telefonata potessero creare chissà quale problema al sistema. Personalmente credo che il problema siano i sindacati della polizia penitenziaria, che per difendere ogni piccolo privilegio, come far svolgere meno lavoro possibile agli agenti, bloccano ogni apertura progressista e il senso umano della pena. Nel giornalino ho letto alcune idee. Quella che mi ha colpito, anche per la sua semplicità, è stato il collegamento con skype. Usarlo per i detenuti che non possono fare colloqui, sia italiani che stranieri. Un’apertura di questo tipo ci metterebbe alla pari con la Norvegia. Siccome i nostri 150 PM al ministero –che lo tengono in ostaggio, e che hanno m esso in un angolo i funzionari che hanno anni di esperienza carceraria- non lo permetteranno mai, il loro feroce giustizialismo prevale su qualunque sentimento umano. La disumanizzazione della pena non disumanizza solo il detenuto, ma principalmente chi la attua.  –  28-08-2012

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In un articolo leggo che il segretario regionale siciliano del partito comunista, Pio La Torre, alcuni mesi prima di essere ucciso, nel 1982, convocò cinque intellettuali siciliani in gran segreto –sicuramente erano di fede comunista- a cui consegnò un dossier da studiare. Fino ad oggi non si era saputo niente. La paura dei cinque intellettuali li ha resi muti. Io credo che non sia certo di cosa nostra che avevano paura, se ancora oggi mantengono sia il riserbo sulla loro identità, sia il silenzio sull’evento. Solo gli ottusi come i giustizialisti lo potrebbero penare. E’ palese che la morte di La Torre fu ordinata molto in alto, e non per i motivi che riguardavano i comizi contro Costa Nostra. Gli esecutori possono essere assoldati in qualunque direzione, ma non sono loro che decidono la morte di qualcuno. La eseguono solamente. Personalmente credo che la sua morte sia stata decisa per i missili americani a Comiso, la sua ipocrisia nel contestare solo i missili installati in Italia e non quelli nella Germania dell’Est installati dai sovietici. E siccome all’epoca il mondo era diviso a metà, certi metodi non li usava solo il KGB dell’Unione Sovietica, ma anche la CIA americana. D’altronde, anche la morte di Enrico Mattei fu commissionata dagli americani, e la bomba sul suo aereo fu piazzata all’aeroporto di Catania. Dopo la morte del Generale Dalla Chiesa, il 3 settembre 1982 (anche lui ucciso per altri motivi rispetto a quelli ufficiali, fu mandato in Sicilia per farlo uccidere perché, con il memoriale di Moro nelle mani, si era messo in testa di ricattare i vertici della Democrazia Cristiana). Un mese dopo furono emanate due legge, in un solo disegno di legge, “Rognoni-La Torre”. Il 416 bis, “associazione mafiosa” e il sequestro dei beni; entrambe barbare e incivili, uniche nel mondo. Queste due leggi hanno permesso il rastrellamento di tipo militare e il saccheggio del Meridione è collettiva, come succedeva nelle colonie africane.  –  29-08-2012

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Ho letto uno dei soliti articoli romanzati, spacciati per verità del partito dell’odio, di Roberto Saviano. Mi è molto difficile credere che le persone che glielo permettono, quello che lo sostengono e tutte le persone che capiscono un po’ di economia e di banche, non capiscano le fesserie che scrive. Il ragazzo è molto furbo e si fa ben volere da chi comanda, non li attacca noi, anzi con acrobazie cervellotiche li difende. Ho scritto che la crisi economica globale degli ultimi anni l’ha innescata la criminalità globale, una sorta di “Spectre”. Ora non è più la criminalità italiana la può forte del mondo, ma ce ne sono tante altre. Tutto il mondo, anche  le persone più ignoranti, conoscono l’origine e chi ha innescato la crisi. Sono state le banche più grandi del mondo, principalmente quelle americane, e alcune si sono salvate con l’aiuto dei loro Stati. Ora lui scrive che la criminalità ha causato la crisi e che le banche sono state salvate dai soldi del narcotraffico.  E’ singolare che capovolge la realtà e nessuno glielo fa notare. Nel suo delirante articolo ha scritto che i problemi della Grecia derivano dalle varie criminalità. Ci vuole una faccia di bronzo per scrivere queste farneticazioni, perché tutti i giorni si parla della Grecia in TV, per i suoi problemi e l’esposizione debitoria nei confronti di altri Stati europei, come anche della speculazione dei poteri della finanza globale che fa affari attaccando gli Stati deboli, e siccome nell’Unione Europea è quello più debole, hanno iniziato con la Grecia. Non credo si fermeranno solo a questo Stato, perché questi signori la usano la criminalità; come i “bravi” dei Promessi sposi. Mi auguro che quanto prima si leverà la voce di qualche intellettuale serio, e dirà che questo signore può scrivere romanzi con la sua fantasia, e non articoli che parlano di problemi reali che coinvolgono milioni di persone, che hanno bisogno di arrivare a fine mese.  –  30-08-2012

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La vendetta di persone che hanno subito un familiare ucciso, è inesorabile nel tempo, ma la chiamano giustizia. Bene ha fatto Giuliano Ferrara, rivolgendosi ai Savonarola, a dire in TV a La7.. “ci avete rotto i…. con questa tiritera da trent’anni”. Leggo un articolo in cui la parlamentare europea, Sonia Alfano, con il suo rancore vendicativo è andata a inquinare anche Strasburgo. Avesse il coraggio di dire con chiarezza che la sua lotta è per vendicare il padre; anche se i colpevoli sono stati già condannati. L’apprezzerei, perché è umano, anche se sbagliato. Ha dichiarato che il suo obiettivo è la realizzazione di un codice unico antimafia europeo, che prevede il reato di Associazione mafiosa (art. 416 bis C.P.) , il 41 bis e le confische. Il reato previsto dal 416 bis è unico nel panorama mondiale, è un articolo in uso solo nelle dittature, utile per arrestare senza reato e per fare rastrellamenti di tipo militare. Il 41 bis è tortura, senza se e senza ma, e lo sanno tutte le associazioni internazionali che si battano per i diritti umani, e i Paesi occidentali. Le confische della legge La Torre assomigliano ai saccheggi legalizzati e siccome tutti ci mangiano, dal penta-potere (banche, associazioni, sindacati, confindustria e Chiesa), e chi cura il ladrocinio: curatori, le varie polizie e i magistrati. Credo che quando i piemontesi conquistarono il Meridione, attori diversi, ma il sistema di ladrocinio fu lo stesso, saccheggi legalizzati.  All’epoca trovarono la scusa dei briganti, ora hanno trovato la scusa delle mafie. L’obiettivo è sempre lo stesso, “rubare” in modo legale, con la cortina fumogena della repressione. Ora Sonia Alfano vuole portare queste leggi criminali in Europa. Mi auguro che la civiltà europea la seppellisca sotto una montagna di scherno, e che non permettano a lei e al suo sodale Crocetta di inquinare, con la loro sete di vendetta, la politica europea.  –  31-08-2012

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Ieri mi hanno raccontato una cosa che stentavo a credere, anche se è la verità. Nei regimi di tortura del 41 bis, l’area tratta mentale decide quali libri della biblioteca del carcere i detenuti possono leggere. E’ una violazione palese della Costituzione. Ormai sono diventate cose normali queste torture, che anche i civili dell’area educativa le applicano come fosse tutto normale. Anche le SS tedesche nei campi di concentramento erano convinte di fare il loro dovere, altrettanto gli impiegati civili. Mussolini faceva detenere nella cella solo quattro libri, ma non si sognava mai di proibire a qualunque detenuto la lettura di libri della Biblioteca del carcere. Gramsci, che passò molti anni in carcere, prima di essere scarcerato per problemi di salute, non ebbe mai ostacoli nel ricevere libri, giornali e riviste. Oggi succede che libri, giornali e riviste sono vietati; con una complicità istituzionale de dei media a dir poco criminale. Tutto ciò succede nel terzo millennio e in uno Stato che fa parte della civilissima Europa.  –  1-09-2012

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La politica con la complicità dei media fa passare alcune riforme come fossero eventi eccezionali, quando invece, alla loro emanazione, sono già vecchie. Il governo Monti ha emanato una legge che permette di aprire una società a responsabilità limitata con un euro e subito. Tutti i media hanno elogiato il governo per questa innovazione. Nessuno (omertà o complicità, secondo i punti di vista) ha detto che questa riforma doveva essere fatta 12 anni fa, trattandosi dell’implementazione dell’articolo 2 della Carta europea delle piccole imprese, firmata e ratificata dall’Italia nel 2000. La dittatura delle caste comanda questo Paese, anche con la lentezza melmosa della burocrazia.  –  2/09/2012

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Anche i detenuti transitati nei regimi di tortura del 41 bis, si sono assuefatti alla tortura in tutte le sue forme, ritenendole fatti normali. Mi hanno raccontato che volevano denunciare un detenuto perché la sorella con le sue poesie ne aveva fatto un libro. Erano poesie che lui aveva scritto prima del 41 bis, ma la Direzione del carcere di Ascoli Piceno non lo sapeva. L’hanno chiamato nell’ufficio della Direttrice, insieme a lei tutto l’apparato repressivo: commissario e alcuni ispettori dei G.O.M., minacciandolo di sequestrare il libro e i proventi, perché lui  non poteva scrivere un libro, anche se era di poesie. Per legittimare la tortura del 41 bis, lo chiamano “carcere duro”, e dicono che serve solo per impedire contatti con l’esterno. Questo episodio evidenzia la tortura di questo infame regime, anche nell’espressione dei propri pensieri. Nella Costituzione ci sono articoli con tanti concetti belli, ma nella realtà vengono calpestati dal più feroce criminale, “lo Stato”.  –  3/09/2012

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Le multinazionali del petrolio per anni hanno foraggiato Stati e scienziati prezzolati, per negare che i combustibili fossili fossero la causa del riscaldamento globale. Ora che penso che questo fatto è acclarato. Hanno trovato un altro sistema. Funziona un po’ per tutto, per portare avanti la tesi di trovare soluzioni al riscaldamento, non risolverlo, ma contenerlo, affinché loro possano continuare a vendere e bruciare petrolio e gas. Si sono inventati le nuvole artificiali, le alghe mangia CO2, usare filtri per catturare il carbonio, gli alberi che catturano la CO2, la pioggia artificiale, gli specchi spaziali per deviare i raggi del sole, rendere liquida la CO2 e iniettarlo nella profondità della terra, ecc. ecc. Questi mostri, per continuare a lucrare, sono capaci di rendere il pianeta una fornace, ma la cosa più aberrane è che sono ritenuti dei grandi capitalisti imprenditori, una sorta di benefattori. Ciò è dovuto al fatto che con le loro enormi disponibilità economiche, controllano e condizionano buona parte dei meda, che li fanno apparire come dei cavalieri della tavola rotonda. Chiamarli criminali, non corrisponde alla reale pericolosità di questi sinistri e oscuri personaggi.  –  4/09/2012

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Alcuni scienziati, con un rapporto, hanno esortato a diventare tutti vegetariani per il 2050, perché, in caso contrario, non si riuscirà a sfamare tutta la popolazione mondiale, e questo innescherà guerre e carestie per il cibo e l’acqua. Il problema di partenza è l’acqua, già ora scarseggia e fra 40 anni, con 9  miliardi di persone (ora siamo 7 miliardi) sarà una catastrofe. Il cibo ricavato dagli animali, consuma da cinque a dieci volte l’acqua di quella che serve a una alimentazione vegetariana. Un terzo delle terre arabili del pianeta, sono destinate alla crescita di sementi e raccolti destinati a spalmare gli animali da allevamento. Metà dei cereali coltivati e tre quarti di soia prodotti nel mondo, sono usati per la crescita di animali. Per avere un kg di carne ci vogliono 15.000 litri d’acqua e gli animali d’allevamento producono circa il 20% di emissioni di anidride carbonica. La carne fa male ed è nociva per l’ecosistema. Dove si consuma più carne c’è più incidenza di cancri all’intestino, molti obesi, diabete e problemi cardiovascolari. In Paesi come l’India, dove non si mangia carne per motivi religiosi, i ragazzi crescono bene ed hanno quozienti di intelligenza altissimi. D’altronde, il toro, che è l’animale più proteico  che ci sia, è un erbivoro, e i suoi muscoli non ne risentono. Secondo i dati dell’ONU, già oggi, 900 milioni di persone vanno a letto affamate tutte le sere; e di questi 158 milioni sono bambini, e ne uniamo tanti ogni giorno per fame, oltre 2 miliardi di persone sono considerate mal nutrite. Fra 40 anni, ci saranno altri 2 miliardi di persone da sfamare, ciò renderà drammatica la carenza di cibo. Rinunciare alla carne o limitarla a poche volte al mese fa bene alla nostra salute e aiutiamo a salvare il mondo, così ci sarà più frutta, verdura, legumi e cereali per tutti.  –  5/09/2012

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Ieri pomeriggio, a Canale 5, nella trasmissione di Barbara D’Uso, si è svolto il solito tiro al piccione. Non è nuova la D’Urso, a simili battute di caccia. Vengono organizzate per mostrificare il malcapitato di turno. Chiama sempre la solita fascista, la Mussolini, che da attricetta fallita si è riciclata in politica, facendo appello al cognome di quel criminale di suo nonno, che ha provocato milioni di morti (Benito Mussolini). Discutevano di Renato Vallanzasca, se era giusto quello che gli era capitato. Un clima da caccia alle streghe, per fargli perdere il posto di lavoro. I partecipanti erano tutti prevenuti, al sindacalista della polizia alla Mussolini e gli altri, gli unici che facevano ragionamenti logici e moderati erano il direttore di TGCOM24 Liguori e un giornalista che conosce Vallanzasca da oltre 30 anni. La Mussolini faceva la sceneggiata per aizzare la folla, con il pubblico presente preparato al linciaggio. Anche Liguori alla fine non ne ha potuto più, e gliene ha cantate quattro alla Mussolini, che alla fine ha fatto la sceneggiata di volere andare via. Trasmissioni come queste mirano alla pancia della gente per alimentare odio e rancore, pertanto è vergognoso che Canale 5 lo permetta e la D’Urso si presti a queste ignobili barbarie. Durante il fascismo e il nazismo questi obbrobri si ascoltavano alla radio, contro gli ebrei.  –  6/09/2012

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Il giovedì sera seguo su Rai4 la storia di Roma a puntate. Mi piace perché è ben fatto, mescola la storia con la quotidianità. E’ impressionante come certi metodi si possano riportare ai giorni nostri. Nella Roma antica c’erano i collegi e questi venivano assegnati a uomini di fiducia delle istituzioni e del senato, ma in questo periodo storico erano i triumviri; Marcantonio, Ottaviano e Lentulo a scegliere le persone. Questi capi collegi si facevano una squadra di uomini pronti a fare qualunque cosa. Mantenevano l’ordine, eseguivano ogni traffico, incassavano le percentuali sui vari commerci, venivano usati per la riscossione dei crediti e bastonavano chi non si metteva in riga. Tutti i collegi di Roma erano organizzati così. Con la forza della legalità, usavano l’illegalità per i fini dei poteri dell’epoca: senato, aristocratici, e gli uomini forti del momento. Anche Giulio Cesare li usava per le sue vendette e il suo potere, altrettanto Marcantonio e Ottaviano. Arrivando ai giorni nostri, nulla è cambiato. Il potere reale del Paese usa la criminalità per i lavori sporchi, anche se oggi lo fanno in segreto e, dopo averli usati, per rifarsi una verginità politica o contrastare una eventuale accusa futura, fanno leggi disumane e coprono la repressione illegale delle varie forze di polizia, ma principalmente delle procure speciali (D.D.A.). Per mantenere questo circuito infernale, alimentano il brodo di cultura della devianza, con tutti i disagi sociali possibili, affinché l’industria della mostrificazione abbia sempre carne fresca.  –  7/09/2012

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Mi ha scritto Carmelo dal carcere di Padova, informandomi che, dopo 22 giorni di isolamento e proteste varie, ha risolto il problema della cella singola. Nella sezione AS-1 hanno messo gli ergastolani a soli e gli altri detenuti due per cella. L’ergastolano per legge deve stare in cella singola; ma i detenuti in regime AS1 devono anche loro stare in cella singola, pertanto doppiamente gli tocca per legge stare da soli in cella. Alcune direzioni disattendono i regolamento e, con la forza, vogliono mettere i detenuti che per cella, e informano il ministero di avere il doppio dei posti, questo causa proteste da parte dei detenuti, che vengono sanzionati con rapporti disciplinari e denuncie, perché costringono a lottare contro l’ingiustizia, spesso sfasciando le celle. E’ singolare che l’amministrazione dovrebbe insegnarci la legalità e il rispetto delle regole, attua l’illegalità violando le regole penitenziarie in modo sistematico, sicuri dell’impunità. Un ergastolano, tra cui il 90% è ostativo, destinato a morire in carcere, vorrebbero che anche la carcerazione diventasse un veleno, non gli basta questa pena infame e disumana. Mi hanno raccontato che la vecchia sezione AS1 di Nuoro “Badu e Carros”, in Sardegna è stata spostata nel nuovo padiglione, quelli fatti costruire dall’ex ministro di giustizia Angelino Alfano (il segretario di Berlusconi) sono illegali per due motivi; hanno tolto quel poco di spazio che c’era nelle carceri, e hanno fatto le celle per tre posti letto, che poi diventano sei e anche nove posti letto, con le cuccette. Violando il codice penitenziario europeo che stabilisce celle singole e, in casi eccezionali, in due in una cella. Invece non solo l’hanno fatto diventare ordinario, ma hanno aggiunto un posto in più, per poi violare sistematicamente anche le loro violazioni. Senza dimenticare che il CPT (Comitato per la prevenzione della tortura in Europa) ha stabilito un minimo di 7 metri quadrati per ogni detenuto, pertanto al di sotto di questa misura è tortura. Forse anche per questo l’apparato repressivo si oppone all’introduzione del reato di tortura. Il sistema è criminale e, fino a quando lo Stato è un criminale seriale, alimenterà la fabbrica della devianza come risposta (errando) agli abusi, alle torture e all’illegalità divenuta normale amministrazione.  –  8/09/2012

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Ho finito di leggere un libro di Jack London, “Il popolo degli abissi”. Lo scrittore lo scrisse nel 1903. Andò di persona nell’East-End di Londra, una zona dove erano stati confinati tutti i poveri, un alveare umano dove la miseria più squallida imperava su tutto e tutti. Tutto ciò succedeva nel periodo più florido dell’Inghilterra. L’impero britannico dominava nel mondo ed era padrone dei mari. Questa massima espansione economica nascondeva 8 milioni di persone che facevano costantemente la fame; un milione solo a Londra. Su una popolazione di 40 milioni, 939 su mille morivano in miseria. In questa estrema povertà ogni bambino nasceva con un debito. Lo scrittore scrive “a causa di un artificio noto come debito nazionale”. In Italia conosciamo questo metodo truffaldino. I parassiti di quel degrado sociale erano i nobili inglesi, circa mezzo milione, che vivevano nel lusso ai danni del resto della popolazione indigente, principalmente anche per la loro cattiva gestione della cosa pubblica. Ancora oggi questi signori godono di privilegi dinastici con la Camera dei Lord e detengono i due terzi dei terreni agricoli dello Stato. E’ un libro che va letto perché farebbe capire che il sistema inglese è iniquo ancora oggi. Quarant’anni prima gli inglesi e i francesi (Parigi non era diversa da Londra), dopo avere aiutato quel truffaldino di Cavour a conquistare e depredare  il Meridione, usarono la menzogna per denigrare Napoli e i meridionali. A Napoli non c’era la miseria nera di Londra e Parigi. Loro ricavavano le loro risorse economiche, depredando le colonie che avevano  nel mondo; il Regno delle Due Sicilie alimentava la sua economia con la sua industria, commercio e agricoltura. La storia quando è scritta da chi comanda o chi vince, è sempre menzognera.  –  9/08/2012

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Quando ero giovane, ero convinto che le persone che si estraniavano dal contesto e preferivano la solitudine, avevano qualche problema di adattamento mentale. Oggi, comprendo che la solitudine è un moto interiore di profonda libertà, perché stare bene con se stessi è una forma di felicità, e se non si sta bene con se stessi non si può stare bene con gli altri. Solo con te stesso, puoi dissertare su tutti gli argomenti, approfondendoli senza remore. Spesso mi capita di arrivare a delle conclusioni che sbalordiscono anche me. Adoro il silenzio della solitudine, perché i rumori disturbano i viaggi della mente, che ha delle capacità straordinarie di rendere reale-immaginario ogni desiderio, anche chiuso in un buco al buio. Credo che bisognerebbe apprezzare di più stare in compagnia con se stessi, perché porta più equilibrio alla nostra persona, e rende più forte il nostro carattere.  –  10/09/2012

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Ci stanno martellando in TV e sui quotidiani, sia di destra che di sinistra, sulla genialità del Presidente del Consiglio Mario Monti, premesso che le cose che sta facendo le avesse fatte Berlusconi, la sinistra e il sindacato l’avrebbero linciato. Credo che il 90% dei cittadini italiani, odia Monti, per tutte le ristrettezze che ha causato, continuando imperterrito a impoverire la gente. Addirittura, i media fanno una cronaca di glorificazione, quando trasmettono la notizia che il governo ha venduto 5 o dieci milioni di euro di BOT, e lo fanno come se Monti avesse scavato una brillante idea economica. Anche la mia povera mamma ignorante e analfabeta avrebbe saputo fare questi debiti. Anche lui, come gli altri, prima di lui, continua a fare,  debiti addossandoli alle future generazioni. Il problema è che quando si deve tirare la cinghia, la riversano sempre sul popolino, e mai ai ricchi, che ingrassano in ogni epoca sulle sofferenze della popolazione. Se non ci sarà una riforma radicale di questo sistema marcio e pieno di vergognosi privilegi, non cambierà mai niente e tutto continuerà ad andare avanti in questa sorta di rassegnazione che ha svuotato la popolazione delle sue energie dinamiche per il miglioramento di una società sempre più giusta. Ci vorrebbe un moto di rabbia e scendere tutti in piazza.  –  11/09/2012

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Ci avevano aperto le celle e, per circa due mesi ci siamo immersi in questa nuova realtà. Avevano messo un termine di prova fino al 31 agosto, se fosse andato tutto bene, sarebbe continuato. L’1 settembre ci hanno chiuso di  nuovo le celle, perché mancavano i vertici per decidere la continuazione, ci hanno riferito che a giorni sarebbero ritornati dalle ferie, avrebbero indetto una riunione e deciso, ma non ci sarebbero stati problemi, essendo che tutto era andato bene.  Sono trascorsi una decina di giorni, ma le notizie non sono buone. Voci di corridoio asseriscono che non ci apriranno più, perché sarebbe successa una cosa molto grave. Che cosa? Mistero. Ieri un mio compagno mi riferisce che un graduato, alla domanda del perché hanno chiuso le porte, ha  risposto “ci siamo sbagliati”. Il più piccolo di noi ha 40 anni, il più fresco di galera è in carcere da 10 anni. Conosciamo il sistema penitenziario e come funziona. Questa decisione di aprirci le celle è stata avallata dal DAP, dai vertici del Ministero e dall’Ufficio preposto, che è lo stesso del regime di tortura del 41 bis. Ora dire che si sono sbagliati è come calpestare la nostra intelligenza. Almeno ci dicessero la motivazione di questo cambiamento di rotta. Non riusciamo a comprendere il silenzio e certe risposte di facciata. Sarebbe stato meglio non aprirci le celle, certe aperture, quando vengono ritirate, fanno male psicologicamente. Un passo avanti e, al minimo pensiero cattivo, subito due passi indietro. Ormai ci ho fatto l colo, pertanto non mi toccano più di tanto, ma sono dure per tutti queste decisioni umorali, che toccano non solo la vivibilità ma anche la libertà interna.  –  12/09/2012

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Il ministro della giustizia ha emanato una circolare, dopo il clamore suscitato dal tour carcerario dei parlamentari Sonia Alfano e Giuseppe Lumia, che per motivi politici volevano convincere alcuni noti detenuti al 41 bis a pentirsi. La circolare stabilisce che i colloqui devono essere in Italiano e non si deve parlare dei propri processi. In caso avvenga, ci sarà subito interruzione del colloquio. Premesso che il mandato parlamentare non ha questi paletti, e una semplice circolare non può limitare ciò che stabilisce la Carta Costituzionale. Non tutti i detenuti sanno parlare in italiano, ed escludere gli analfabeti e chi conosce solo il dialetto, è un abuso e una violazione dei diritti umani. Dando fondo alla mia memoria, i detenuti hanno sempre scritto ai parlamentari per lamentare gli abusi processuali e in carcere, ed esternare la propria innocenza. Vietare che un detenuto possa discutere con un parlamentare del proprio processo o esternare la propria innocenza, mi sembrano quelle censure in uso nei Paesi dove le libertà civili sono solo quelle sulla carta. Ci sono molti parlamentari avvocati. Cosa fanno? Gli limitano il diritto alla difesa? Purtroppo quello che è vergognoso è il silenzio dei parlamentari, principalmente quello degli avvocati parlamentari. Alla fine il conto del tour dei due Savonarola, lo pagano i detenuti, la parte più debole, nel silenzio generale. Il silenzio è sempre complice dei misfatti della politica.  –  13/09/2012

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Il Ministro della Giustizia Paola Severino ha dichiarato che è contro i tagli alle paghe dei detenuti. La stessa si riferisce ai detenuti che lavorano nelle officine dell’amministrazione, la decurtazione è stata del 71% in due anni, da 11 milioni a 3,1 milioni. Questi detenuti fabbricano arredi vari per le carceri. Il ministro deve sapere che anche le paghe dei detenuti che lavorano nelle varie mansioni del carcere, hanno una paga da sfruttati, approfittando della povertà che c’è nella popolazione detenuta. Quando parlo di sfruttamento, mi riferisco ai 100-150 euro al mese, una cifra non adeguata ad avere una indipendenza economica. Dove sono i sindacati? Ha iniziato Berlusconi nel 2001 a tagliare sulle carceri, e la cosa è continuata nel tempo, impoverendo tutte le risorse destinate ai detenuti. La ministra non deve parlare solo di quello che le interessa, cioè degli arredi per i nuovi padiglioni (illegali), ma di tutte le paghe dei detenuti, in caso contrario le chiacchiere stanno a zero.  –  14/09/2012

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Leggevo su un quotidiano di un signore che si lamentava che su una statale vicino Torino stanno costruendo un ponte di circa 30 metri. Sono 6 mesi che ci lavorano e sono a metà dell’opera. Rifletteva che se l’avessero costruito i cinesi, ci mettevano una notte. Lui ha fatto le debite proporzioni con il grattacielo più alto del mondo, che verrà costruito in 90 giorni dai cinesi. Le nostre opere pubbliche hanno tempi che sfociano alle calende greche, perché dalla politica, alla burocrazia, alle solite ditte, e agli infiniti subappalti, tutti devono lucrare. Non solo l’opera verrà fatta con materiali scadenti, ma verrà prolungata nel tempo per fare salire i costi, che spesso si moltiplicano come i pani e i pesci. Con i tempi cinesi, non ci sarebbero queste ribalderie legali, ma verrebbero fatte anche subito. Il pozzo nero della politica non lo permetterebbe mai, perché i suoi padroni li prenderebbero a calci.  –  1/09/2012

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Il nuovo presidente serbo Tomislan Nikolic, ha dichiarato che “a Srebrenica non c’è stato alcun genocidio, ma gravi crimini di guerra commessi da alcuni serbi che vanno trovati, perseguiti e puniti”. Il presidente della Bosnia, Bakir Izetbegovic ha replicato che è un’offesa per i musulmani di Bosnia e per i sopravvissuti i Srebrenica. Questo massacro successe nel luglio 1995, costò la vita a più di 8000 musulmani bosniaci. La giustizia internazionale lo ha definito come genocidio e crimine contro l’umanità. Mi viene spontaneo chiedermi se 8000 morti siano un genocidio. E ritengo che lo siano; perché tutte le stragi contro una comunità sono crimini contro l’umanità. Perché l’unificazione della penisola italiana, comportò nei confronti dei meridionali un milione di morti, mezzo milione di arrestati, 54 paesi rasi al suolo, saccheggi indiscriminati, emigrazioni delle migliori maestranze in ogni settore.. e poi, con ferocia, la distruzione dei discendenti attraverso l’abile e paziente manipolazione per farne dei figli minori e degenerati, affinché il sistema coloniale venisse metabolizzato dagli stessi e, nel tempo, ritenuto un brodo naturale della propria razza. Questo non è un genocidio? Se non lo è, cosa è?  – 16/09/2012

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Ieri sera, per la festa patronale è passata a processione, si è fermata sotto le nostre finestre, hanno detto alcune preghiere, il prete ci ha salutati con parole di speranza, dirigeva la processione e le preghiere con un megafono. Vedere tutta quella gente che viene per noi, qualunque sia il motivo, è molto bello, perché ti dà una piacevole sensazione, e, anche per poco tempo, ti senti di fare parte di questa società. Di manifestazioni  che infondono fiducia all’autostima hanno bisogno i detenuti, pertanto le aperture in carcere aiutano questo processo. Viceversa le chiusure repressive alimentano solo rabbia, odio e rancore, trasformando le carceri in fabbriche di recidiva.  –  17/09/2012

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Tre anziani combattenti dei Mau Mau, i ribelli kenioti che si ribellarono all’occupazione coloniale inglese del loro Paese, hanno fatto ricorso all’Alta Corte di Londra, per chiedere risarcimenti e scuse per le atrocità che hanno subito in Kenia dal 1952 al 1960. Accusano le autorità inglesi di gravissimi maltrattamenti, che vanno dalla tortura alle violenze sessuali. L’unica donna del gruppo denuncia che fu stuprata con una bottiglia piena di acqua bollente. Un altro denuncia di essere stato arrestato dal suo datore di lavoro, un bianco, accusato di avere fornito cibo ai ribelli. Lo immobili rizzarono al suolo e fu castrato dagli agenti di polizia. L’Inghilterra ritiene di non poter essere ritenuta responsabile per quanto accaduto, in Kenia mezzo secolo fa. Hanno paura che escano tutti gli scheletri dall’armadio del loro passato coloniale. Questo li spaventa molto, sia per la loro reputazione e sia per i risarcimenti economici. Dimenticano che sono stati i più intransigenti contro le barbarie tedesche durante la seconda guerra mondiale. Ora si oppongono al riconoscimento dei propri crimini. L’azione legale ha portato alla luce duemila casse di documenti che si ritenevano fossero andati perduti e ora sono in via di pubblicazione. Tutti i Paesi coloniali hanno commesso atrocità. L’Inghilterra ha avuto anche un colonialismo interno, dove ha commesso barbarie indicibili, principalmente verso gli irlandesi. Mi auguro che questo processo sia l’inizio della riscrittura della storia sull’infamia di tutti i colonialismi. Senza dimenticare quello del  Meridione d’Italia, che continua tutt’ora. Gli inglesi, dopo avere aiutato i piemontesi nella loro conquista, saccheggio e distruzione della sua economia, inorridirono per le atrocità che stavano commettendo i piemontesi contro le popolazioni meridionali e, nel 1865, dopo cinque anni di bestiali  massacri, insieme all’Europa, gridarono contro la barbaria savoiarda. Il risultato fu che mitigarono le atrocità alla luce del sole, ma continuarono, nel silenzio, uguale a come fecero i nazisti contro gli ebrei.  –  18/09/2012

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Stamane, un quarto d’ora prima delle otto, mentre vedevo Rai Uno, in studio c’era un professore universitario di Pisa. Il discorso era improntato sulla genetica e di portarla in tribunale, perché sarebbero i geni che predispongono le persone a delinquere. Ho subito pensato che “i nipotini di Lombroso ritornano”. Le teorie di Lombroso hanno creato il razzismo antimeridionale che dura tutt’ora. Riteneva che noi meridionali eravamo predisposti geneticamente od essere dei criminali. Mi meraviglio che l’ammiraglia della Rai possa trasmettere simili obbrobri. Tutto il novecento è stato attraversato da questi criminali in giacca e cravatta, che con le loro teorie assurde hanno causato guerre, genocidi e odi generazionali. Dopo tutti questi orrori, come si possono ancora fare questi discorsi orribili, che sono sempre stati la copertura per le follie politiche? Non esiste la predisposizione genetica al delitto, esistono persone che vengono influenzate a compiere delitti, le motivazioni sono molteplici. E’ criminale anche solo pensalo, che i geni da soli possano dettare il comportamento di un essere umano. Bisogna vigilare affinché queste barbarie non ritornino.  –  19/09/2012

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Per due giorni consecutivi sono venuti ispettori del Ministero nella sezione. Erano tre commissari del GOM (Gruppo operativo mobile), quelli che fanno servizio nei regimi di tortura del 41 bis. Il secondo giorno erano più numerosi, c’era anche la Direttrice e un’altra donna. Oscuri presentimenti attraversano la mia mente, perché questi signori non portano mai niente di buono. Devono prendere una decisione che riguarda la nostra sezione. Sicuramente non sarà favorevole e né tantomeno per un miglioramento. Lo smantellamento della sezione AS-1 di Spoleto è stata decisa dalle relazioni di questi signori. Mi auguro che rimanga una mia impressione, ma l ‘esperienza ultratrentennale mi suggerisce  pessimismo. Nella sezione, anche quelli più giovani, sono tutti marinai di esperienza, sapranno affrontare le avversità che decidono i burocrati negli uffici del D.A.P. al Ministero.  –  20/09/2012

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E’ passata la Direttrice in sezione. Siccome non c’era nessuno, perché tutti erano al campo sportivo, si è fermata davanti alla mia cella per cinque minuti. Le ho fatto alcune domande sul perché ci hanno rinchiuso le celle, quando ci avrebbero dato il computer, ecc. Ho avuto una sensazione negativa, cosa che non mi era mai successa nei due anni e mezzo che sono qui. Ho avuto l’impressione di parlare con un’altra persona, come se fino ad oggi avesse avuto una maschera. Credo che non ci darà neanche i computer, anche se autorizzati dal GOT. Ma questo sarà niente, perché vedo un futuro nero sotto ogni punto di vista. Quello che non capisco è perché è tornata dalle ferie ed ha azzerato ogni discorso con la nostra sezione, almeno sapere il motivo, ma temo che saranno i soliti atti burocratici, che non tengono conto del lato umano. Sopravviveremo anche a questo. Non è la prima volta che un Direttore si alza la mattina e decide il destino dei detenuti, pertanto non sarà neanche l’ultima. Siamo carne da macello e si ritengono di avere il diritto di poterci usare e calpestare come e quando vogliono. Mi auguro per me e per i miei compagni che i miei siano solo cattivi pensieri.  –  21/09/2012

Da dentro a dentro.. da Gianluca a Carmelo

Per la rubrica “Da dentro a dentro”  che è dedicata alle lettere giunti a detenuti da parte di altri detenuti, pubblico oggi la lettera ricevuta da Carmelo Musumeci da parte di Gianluca Migliaccio, detenuto ad Ascoli Piceno.

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26 maggio 2011

Salve Dott. Carmelo

Prima di tutto mi presento, e poi vengo al motivo di questa missiva.

Mi chiamo Gianluca Migliaccio. Sono di Napoli, ma da diversi anni vivo qui nelle marche. Sono in carcere da due anni per avere commesso una rapina. Sono stato condannato a cinque anni. Pochi giorni fa mi sono arrivati 180 giorni di liberazione anticipata. Quindi più o meno dovrò scontare altri 2 anni e mezzo, se non mi arrivano altre cose…

Il motivo di questa lettera, principalmente, è quello di complimentarmi per la sua forza d’animo invidiabile. Ho letto alcuni articoli suoi sul giornalino “Mai dire mai” (del 2010), capitatomi per caso tra le mani.

Spero che lei, insieme a tanti altri, continuiate la lotta contro l’ERGASTOLO. Tempo fa scrissi una poesia che parlava degli ergastolani, con il titolo di “Sepolti vivi” e un’altra.. “Speranza”, che pubblicai sul giornalino che abbiamo all’interno di questo carcere di Ascoli Piceno, con l’aiuto dei volontari della Papa Giovanni XXIII.

Le scrivo per chiederle se gentilmente potrbbe inviarmi una copia del suo libro, “Gli uomini ombra”. So che ne ha scritti altri di libri, però non conosco i titoli. Magari mi invierebbe le copie. Io qui ad Ascoli lavoro in cucina a mesi alterni, e gestisco anche la biblioteca del carcere. Magari dopo averli letti, li metterò a disposizione di tutti.

Come di sicuro sa, anche qui c’è il 41bis. Magari anche loro potranno leggerli.

Sicuro e fiducioso di reicevere una sua cordiale risposta, la saluto con distinti ossegui.

Gianluca Migliaccio

La lotta per lo studio e altre vicende.. di Gianmarco Avarello

Di Giovanni Marco Avarello, che per comodità preferisce essere chiamato Gianmarco Avarello, avevamo già pubblicato qualcosa mesi fa (https://urladalsilenzio.wordpress.com/2010/02/05/da-me-a-te/). Dopo un bel lasso di tempo ecco il suo ritorno. Un ritorno corposo e ricco di condivisione. Lui si scusa per.. l’ “assenza”. Ma ogni scusa è impensabile. Il carcere è già un ambiente in cui devi lottare ogni giorno per cose vitali. Ci mancherebbe solo che ci si dovesse scusare per non scrivere all’esterno. E poi, leggerete tra poco.. che vita all’ultimo respiro è quella di Gianmarco.. da anni succhiata fino all’ultimo centimentro per cercare di studiare, lavorare quel pò che consente il carcere, e mantenere la salute mentale.

Testi come questi sono un’altra specie di patrimonio per il blog e per tutto coloro che leggeranno. Perché raccontano la vicenda di un uomo. Le radici, la caduta, i duri anni di dolore, la riscoperta delll’impegno e delal passione. Questi testi dovranno essere letti anche altrove; perché sono illuminanti della condizione umana e danno ammaestramento e spunti per ricerche e percorsi personali.

Non è solo la considerazione dell’importanza dello studio, ciò che io vedo in questo testo. Ma anche la titanica volontà di mettersi alla prova, di dimostrare qualcosa, di raggiungere qualcosa, di riscattarsi in ogni modo, di crescere e di espandersi. E li vediamo, questi nostri compagni di un tratto di strada, questi ergastolani, bollati dal mondo come “supercattivi”, sbattere la testa contro il muro di gomma dell’Assassino dei Sogni, e costruirsi un proprio percorso. Vediamo il sangue buttato sullo studio, la voglia spasmodica di cultura e conoscenza.. in Carmelo Musumeci, Alfredo Sole…Giuseppe Barreca… e altri.. fino, oggi, a Gianmarco Avarello.

Vedete, qui nessuno angelica o demonizza nessuno. Ma da molta ispirazione questa capacità di andare avanti, senza mollare mai, per quello in cui si crede. E paradossalmente alcuni di questi detenuti possono “dare” a molti di coloro, “a piede libero”,c he si approcciano ad essi. Perchè spingono alla lotta, al sacrificio, alla perseveranza. Gianmarco è arrivato ad un buon punto della laurea, partendo da una istruzioni a livelli minimi, dovo averne passate di tutti i colori. Compresa la… “criminale” pollitica di obbligo di cambiare sede universitaria, ad ogni trasferimento di sede dei detenuti, per far risparmiare quattrini al D.A.P. Io francamente penso che se il D.A.P. decide un trasferimento allora deve garantire che il detenuto continui a svolgere le sue attività di studio universitario presso la precedente sede. Il detenuto si iscrive a una sede universitarai in relazione alla scelta fatta dal D.A.P. circa il luogo di assegnazione della detenzione. Se poi il D.A.P. “cambia coppola”, allora faccia fronte a lui alle conseguenze. Volete trasferire un tipo dalla sera alla mattina? Ok.. ma vi toccherà garantirgli la posizione scolastica attuale. Invece si costringono quei detenuti che intraprendono spontaneamente un pe rcorso importantissimo per la rieducazione, a dover riaffrontare ogni volta la trafila delll’iscrizione, senza avere alcuna certezza di quali esami verranno convalidati di volta in volta oppure no.

Gianmarco ci descrive anche la sua attività di lavoro, durata pochi anni, come “assistente” di una persona con gravi patologie fisiche e psichiche; ora fortunatamente liberata.

E conclude con la narrazione degli ultimi esami sostenuti.. l’impegno verso se stesso a buttarsi subito sugli altri (il prossimo sarà “fondamenti di geografia) e il riconoscimento della grande importanza che lo studio e la cultura hanno per la crescita di una persona.

Vi lascio alla sua lettera…

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Vi avevo detto, amici del blog, che mi tenevo occupato studiando e lavorando (cosa che faccio tutt’ora), ed è di ciò che oggi vorrei parlare.

Inizio con lo studio. La prossima volta vi parlerò del mio lavoro.

Dico sempre a me stesso che l’errore più grave, o, meglio dire, iniziale della mia vita, è stato quello di avere abbandonato la scuola quando ero ragazzino. Chi lascia la scuola in età adolescenziale, credetemi, rischia di cacciarsi in guai seri.

I miei genitori non erano d’accordo che io lasciassi la scuola a tredici anni. Avrebbero voluto  che almeno prendessi un diploma, ma i loro buoni consigli non sono serviti a nulla. Mio padre fece di tutto per farmi cambiare idea. Ci provò anche a suon di schiaffi, ma quando capì che ero ostinato a non volere più studiare, mi portò con lui a lavorare. Voleva farmi capire cosa significava guadagnarsi da vivere sudando. Nella sua vita ha sempre lavorato duramente, mi diceva che era bravo a scuola, avrebbe voluto continuare a studiare, ma mio nonno aveva bisogno di lui, aveva bisogno della sua manodopera, del suo unico figlio maschio, per aiutarlo nei lavori della propria campagna; a falciare il grano, a raccogliere le olive, le mandorle e quant’altro produceva  la sua terra.

Ora capisco perché mio padre voleva, con rabbia, che io andassi a scuola…

Lui sapeva cosa significasse lavorare a mani nude… Lui voleva il mio bene, voleva che seguissi una strada diversa, una strada meno tortuos, più comoda. Ma così non fu. Delusi le sue aspettative. Da grande mio padre faceva il camionista. Trasportava collettame (non sono sicuro di aver capito bene la parola..) per conto delle Ferrovie dello Stato, facendo consegne di varia merce in mezza Sicilia. Era un lavoro molto pesante per un ragazzino della mia età. Mi alzavo alle cinque del mattino e ritornavo a casa di sera. Non era lavoro per me. Dopo circa un anno, litigai con mio padre e non andai più a lavorare. Altro errore della mia vita.

a lì a poco, il passo verso la perdizione fu breve. Erano gli anni ’80, cominciai a frequentare ragazzi e ragazze più grandi di me. Giravamo con i vesponi, andavamo nelle discoteche, mare, falò, spiagge, e via discorreno. Non è il caso di prolungarmi raccontando tutte le mie vicessitudini negative, che poi mi portarono nelle patrie galere. Non è l’argomento di oggi.

All’età di 23 anni andai alla scuola serale. Mi occorreva la licenza media.

Faceno un lungo passo avanti negli anni.. nel 1999 mi trovavo già in carcere da circa otto anni, con alle spalle cinque anni di 41 bis e con diversi ergastoli da scontare.

Come se non bastasse, in quel periodo (1999) mi applicarono l’isolamento diurno (una pena accessoria all’ergastolo), sicché, trovandomi completamente isolato dal resto del mondo, ed essendo messo a dura prova psicologia, mi abbracciai ai libri di scuola. Cominciai a farmi mandare da casa i libri che un tempo avevo messo da parte, libri di scuola media, per rinforzare le basi.

Le mie giornate da carcerato, da allora, cominciarono a trascorrere più velocemente. Studiavo e imparavo molte cose. La sera mi sentivo stanco e dormivo più serenamente.

Finito l’isolamento diurno, e avendo rinforzato le basi, mi decisi di iscrivermi alla scuola superiore: Istituto Tecnico Commerciale.

In quegli anni mi trovavo detenuto al carcere di Ascoli Piceno, un supercarcere di massima sicurezz, il quale ospitava circa settanta detenuti di un certo “spessore”, famigerati. Insomma non era possibile ottenere un aiuto scolastico, né all’interno, né all’esterno del carcere. Il regime carcerario del 41 bis vietava di avere contatti con terzi. Eravamo esclusi dal mondo.

Malgrado le difficoltà che incontravo nell’apprendere, malgrado non avessi nessun tipo di aiuto, non mi sono mai arreso. Non volevo mollare. Non mi sono mai arreso. Studiavo autodidatticamente, con le mie sole capacità intellettive. Gli esami li sostenevo all’interno del carcere.

Finito il 4° anno scolastico, fui trasferito al carcere di Spoleto. La vita carceraria di Spoleto era più vivibile rispetto a quella di Ascoli Piceno, era meno stressante, ma le difficoltà ad iscriveri al 5° anno di ragioneria, per giungere al desiderato diploma, non mancarono. Persi un anno prima di iscrivermi. La burocrazia nelle patrie galere è sempre lenta, a volte inesistente. Purtroppo, ripeto, quando ero sottoposto al regime del 41 bis non ho mai avuto nessun tipo di aiuto ai fini  della scuola; sono andato avanti con le mie sole forze. L’unico aiuto che potevo ricevere, e che in effetti ricevevo, era quello dei miei familiari.

Le mie ue sorelle, malgrado i loro impegni, di tanto in tanto mi davano una mano. La grande, Luisa, esseno laureata in Scienze Sociali, mi ha sempre aiutato nei momenti di difficoltà di apprensione. Ma anche nella fase burocratica, fungeno da tramite tra me e l’università. Invece la piccola, Tanya, fresca di diploma, mi aiutava la 5° anno di ragioneria. Parliamo di aiuti scolastici molto limitati, in quanto avvenivano tramite corrispondenza epistolare, con la posta censurata.

Mi sono diplomato il 3 luglio 2003, al carcere di Spoleto. E’ una data che non potrei mai dimenticare, in quanto proprio quel giorno nacque mio figlio. Sì, sono padre di un bellissimo bambino di sette anni, nato grazie all’inseminazione artificiale. Ero doppiamente felice, avevo appena conseguito il diploma di ragioneria, e opo un pò un telegramma mi annunciava la nascita di mio figlio.  Avrei voluto correre da mia moglie e abbracciare entrambi, ma non potevo. Ho dovuto aspettare che mia moglie si riprendesse dal parto, e che mio figlio crescesse un pò, prima di vederli e abbracciarli. Ho dovuto attendere circa tre mesi.

Non voglio aggiungere altro. La tematia di oggi è quella di cercare di spiegare alla gente comune quali possono essere le problematiche, le difficoltà di un ergastolano sottoposto ad un regime carcerario ristretto, quale il 41bis, l’alta sorveglianza e il 14bis. Tutte forme di detenzione che tendono ad annullare la persona, isolandola il più possibile dal contesto sociale, culturale, ecc.

Se da ragazzino ho avuto la sfortuna di abbandonare gli studi, avviandomi verso la perdizione; da grande ho avuto la fortuna di riappropriarmene, salvandomi dall’ozio carcerario. Chissà che fine avrei fatto se non avessi deciso di dedicarmi allo studio…? Forse avrei messo un punto alla mia vita.

Dopo alcuni anni di sosta, annoiato dal non far niente, ho deciso di iscrivermi all’Università di Perugia, alla facoltà di Lettere e Filosofia, con precisione.. e al corso di Lettere Moderne. Non avrei mai pensato di andare oltre il diploma. Raggiungere ciò, per me era già unaimpresa molto ardua.. figuriamoci la laurea…! Non ci pensavo proprio.

Invece pian piano maturai l’idea di proseguire gli studi universitari. All’inizio ho avuto paura di non farcela. Mi presentarono un programma di studi vastissimo, circa ventitré esami da sostenere, fra cui latino e inglese. Non sapevo davvero da dove incominciare. Lì al 41 bis ero a binario morto, nessuno poteva aiutarmi. A chi potevo rivolgermi se non a mia sorella? Mi consultai di nuovo con lei, sempre tramite corrispondenza epistolare censurata; e così alla fine concordammo che avrei iniziato a sostenere gli esami di “Storia della letteratura italiana”. Due “mattoni” che non finivano mai! Com’era possibile studiare tutta quella roba e poi ricordarsi tutto agli esami? Pensavo davvero di non farcela.

Eppure non potevo mollare, dovevo provarci; avevo pagato l’iscrizione universitari, la prima rata dell’anno accademico. L’impegno preso con me stesso e con i miei cari, i quali sostenevano tutte le spese. Insomma dovevo avviarmi. E così ho iniziato questo lungo e difficile percorso. Però, credetemi, non trovavo il tempo per studiare. Uno può pensare che in carcere se c’è una cosa che non può mai mancare… è il tempo. Invece non è così. Dovete sapere che un carcerato conduce, per necessità una vita da casalinga. Lava la propria biancheria; pulisce la cella che occupa; cucina per poter mangiare un pasto decente; cura gli affetti familiari e non attraverso corrispondenza epistolare; si dedica alle attività sportive per potersi mantenere più in forma possibile; va ai passaeggi a prendere una boccata d’aria e un pò di sole; in saletta a socializzare con i compagni i sezione; legge un giornale, una rivista, o guarda la televisione per sapere cosa accade nel mondo esterno, dove si vive la vita, chi lavora, ecc.

Ecco cosa fa un detenuto attivo durante il giorno… Si autogestisce la propria vita quotidiana per necessità di sopravvivenza. Naturalmente uno che vuole studiare seriamente non può pretendere di dedicarsi a quanto sopra detto. Non può avere, come si suol dire, la moglie piena e la botte ubriaca. A qualcosa deve rinunciare. Bisogna eliminare, per forza, le esiegenze meno importanti, o comunque alternando. Un buono studio richiede almeno 5/6 ore al giorno. Altrimenti non studi, ma studicchi. E poi, cosa importante, ci vuole serenità mentale. Lo studio va affrontato a mente serena, fresca, in modo tale da assorbire ciò che leggi. Quindi occorre ritagliarsi uno spazio temporale adeguato alle proprie esigenze di studio, a scapito di altro. Il problema diventa serio quando vi è anche la necessità di lavorare per mantenersi economicamente, come nel mio caso. Quando è così, è veramente difficile far coincidere studio, lavoro e tutto il resto.

Dove lo trovi il tempo? Devi per forza rinunciare alle cose più necessarie per la vita di un detenuto, come le ore d’aria, le attività sportive, ricreative. Devi ridurre la corrispondenza, e via discorrendo. E’ chiaro che se uno si priva per lungo tempo di quanto appena detto, il rischio di una crisi depressiva è altamente possibile. Un detenuto che sta chiuso in una cella venti ore su ventiquattro, non può rinunciare ad andare ai passeggi o in palestra. La tensione nervosa si accumulerebbe nel giro di pochi giorni.. e il rischio di ricorrere ai tranquillanti è dietro l’angolo.

Allora, innanzi tutto, bisogna svagarsi, curando un pò di tutto, studio compreso. Ma senza esagerare. Occorre trovare il giusto equilibrio in tutto, evitando lo stress carcerario.

Può anche capitare l’inconveniente di un improvviso trasferimento di carcere; il che comporterebbe un enorme danno per chi poi è costretto a cambiare Università, iscrivendosi in quella vicina al carcere di assegnazione., così come impone il Dipartimento Amministrativo Penitenziario, per risparmiare soldi di traduzione con i furgoni blindati. Il D.A.P. risparmia, ma il detenuto no. Anzi, viene danneggiato, sia economicamente, che temporalmente. Economicamente perché è costretto a cambiare iscrizione da una all’altra Università, e ciò comporta una spesa notevole. Poi si aggiungono altre spese per l’iscrizione, e altre rate da pagare. Insomma un danno economico non indifferente. In quanto ai danni temporali, c’è da perere circa un anno prima di riprendere nuovamente gli studi. L’iter burocratico è così. Inoltre ti ritrovi con un programma di studi diverso, perché ogni Facoltà ha il proprio programma.

Queste cose le so per esperienza diretta, in quanto sono stato trasferito dal carcere di Spoleto a quello di Voghera, dove risiedo attualmente. Quindi ho dovuto cambiare iscrizione, dall’Università di Perugia a quella di Pavia. Tuttavia il mio è stato un trasferimento gradevole, perché sono stato declassificato. al 41 bis all’Alta Sorveglianza Uno (AS1). Però se da una parte ho riacquistato un avvicinamento agli affetti familiari, in quanto sono aumentate sia le ore di colloquio visivo, sia le telefonate; dall’altra ho perso la possibilità di avere la cella singola, cioè la comodità di studiare a qualsiasi ora del giorno, senza vincoli da pare del compagno i cella, nel rispetto del quieto vivere.

Quando arrivai al carcere di Voghera, mi collocarono in una cella già occupata da un detenuto, il quale non era interessato, come lo ero io, allo studio. Dovetti fare sforzi enormi per ritagliarmi un piccolo spazio di tempo da dedicare giornalmente ai libri. Nonostante ciò, studiando due ore al giorno, sono riuscito a sostenere tre esami di fila: “Storia della Letteratura italiana”, “Storia medioevale” e “Storia moderna” (con buoni profitti).

Poi, come vi ho già detto, sono stato costretto a cambiare Università. Mi sono iscritto a Pavia.

Il circuito in cui sono ristretto non è come il regime del 41 bis; si vive meglio. Siamo sempre sorvegliati, ma è anche vero che abbiamo la possibilità di avere aiuti  ai fini scolastici, sia interni che esterni. Ma limitati. Personalmente ho avuto la possibilità di essere seguito da una insegnante di italiano, la quale insegnava all’interno dell’Istituto carcerario di Voghera. Una gentilissima e bravissima professoressa, disposta a nche a fare volontariato, venendomi a trovare quando era possibile. Purtroppo adesso non mi segue più; in quanto lavora in un paese distante.

E’ da molto tempo che chiedo alla Direzione l’autorizzazione ad acquistare un computer (come prevede l’art. 40 D.P.R. 230/1000), ma il Direttore è ostinato a non volermi concedere tale mio diritto. Trova sempre delle scuse  e rinvia sempre a dopo. Stanco di ciò, mi sono rivolto più volte al Magistrato di Sorveglianza di Pavia, il quale mi ha dato ragione. Ma lui prende sempre tempo. Vedremo come andrà a finire.

Circa un anno fa ho dovuto mettere da parte lo studio, in quanto subentrò un’altra fase della mia vita carceraria: il lavoro. Ci fu un lungo periodo della mia detenzione in cui ero diviso tra studio, corsi rieducativi e lavoro. Lo stress fu tanto e alla fine crollai. NOn riuscivo più a conciliare tutto quanto. Decisi così, a malincuore, di fermarmi con lo studio.

Ho continuato a lavorare per diversi motivi; non solo per bisogno economico, ma soprattutto per dare una mano al compagno di sezione di cui mi occupavo. Facevo il piantone di una persona molto ammalata, con patologie psico-fisiche. Lo accudii per oltre tre anni. Lo trattavo come un padre. Anche lui mi voleva bene, non me la sentii di lasciarlo al suo destino, preferii mettere da parte lo studio.

Pochi mesi ffa, il signore i cui mi occupavo è stato scarcerato per sospensione di pena. Era incompatibile col regime carcerario. Sono stato molto contento di ciò, anche perché eravamo diventati buoni amici, ma soprattutto perché sapevo che la libertà gli avrebbe ato la possibilità, non solo di curarsi in una struttura ospedaliera adeguata, ma anche di stare vicino ai suoi cari. Per un brevissimo periodo sono rimasto senza lavoro.

Ma non potevo restare con le mani in mano, senza fare nulla. E così mi sono rimboccato le maniche. Nel giro di un mese ho ripreso sia a lavorare che a studiare. Un mese fa ho sostenuto gli esami di “Storia della lingua italiana”, una disciplina molto complessa in quanto tratta anche la parte tecnica della linguistica; ma è andato tutto bene. Non mi era mai capitato di sostenere gli esami in una sala infermieria, dove avvengono prelievi di sangue e quant’altro. Mi è capitato di trovarmi in una biblioteca, in sala colloqui familiari, in un’aula di scuola, ma mai in una sala infermieria. Mi sono dispiaciuto per l’insolita accoglienza della docente e dell’assistente da parte della Direzione. Proprio quel giorno aule e sale erano tutte impegnate. Eppure la data degli esami era stata fissata molto tempo prima… Però capita anche ciò. Ma non importa. Ciò che importa è l’aver sostenuto gli esami. Anche se questa volta non sono andato oltre il 26/30esimi.

Adesso bisogna andare avanti.

Il prossimo esame sarà “fondamenti di geografia”.

Sono del parere che lo studio non è una perdita di tempo; specialmente per un detenuto ergastolano, il quale di tempo ne ha da perdere. La cultura arricchisce dentro, aiuta a crescere eticamente, cambia la p ercezione di vita, migliora umanamente.

Lo Stato italiano dovrebbe investire di più sulla divulgazione del “sapere” nelle carceri; dove la stragrande maggioranza della popolazione detenuta si trova “dentro” proprio a causa dell’ignoranza. Investire nella CULTURA significa restituire alla società uomini, non più pericolosi, uomini pronti a riscattarsi.

Concludo con una bellissima frase che proprio oggi una Professoressa mi ha scritto:

“Portare la conoscenza di cose nuove in carcere significa aprire qualche porta e permettere un pò di evasione”.

A presto

Voghera 03.08.2010

Gianmarco

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