Le Urla dal Silenzio

La speranza non può essere uccisa per sempre.

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E vado errando… di Antonio Piccoli

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Da Antonio Piccoli… delicate parole.. per dare un augurio a tutti coloro che leggono..

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E vado errando tra sentieri bui ad ululare alla luna ogni mia gioia e dolore. Tutto il mio travaglio tra le tante realtà espresse e viste in tanti modi.

La nostra vita è come un mutevole racconto, dunque, come nei un miei racconti, un viaggio nello spazio e nel tempo.

Ed è in questo affollato deserto che ho imparato a distinguere me stesso, ho scacciato i miei nemici e ritrovato i miei amici tra la gente che, seppur non mi circonda oggi, mi accompagna e indirizza con ponderata comprensione e riposto affetto.

E nessuna strada conduce al mio cuore se non traversa il cammino del mio intelletto.

Caro Alfredo Cosco, amici e lettori dl Blog, spero di potervi annoverare tra i giusti e ritrovati che, pur non presenti oggi, mi accompagnano.

Con poche parole, a voi esprimo stima e auguro un felice Natale e foriero anno nuovo.

da Antonio Piccoli

Manifesto del disagio sociale (prima parte)… di Antonio Piccoli

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L’avvocato Antonio Piccoli  -uno dei nuovi amici che ci scrivono dal carcere di Catanzar0- è una persona che ama gli approfondimenti di ampio respiro. Questa è la prima parte di un suo testo dove affronta, a modo suo, la tematica del disagio sociale.

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Dal soffio di Gea affiorerà Themis e ordine e giustizia regneranno nel suo Tempio. Chiedi consiglio all’oracolo e la Pizia vaticinerà ogni umana tragedia.

Oh uomo! Conosci te stesso e conoscerai l’universo.

Caro lettore un po’ distratto

Ernest Hemingway diceva: “per conoscere veramente lo spirito di un popolo, basta trascorrere un’ora in un suo bar”.

In un mondo “ossimoro”, ove vediamo ma non riconosciamo, sentiamo ma non ascoltiamo, vediamo i colori ma non riconosciamo l’arcobaleno, corriamo stando a tavola, lavoriamo dormendo e dormiamo lavorando, restiamo fermi andando in vacanza, piangiamo mentre giochiamo, violentiamo nel mentre facciamo l’amore, amiamo mentre odiamo e malediciamo, liberi in prigione e reclusi per le vie del mondo, prigionieri in un presente senza fine, sospesi tra inferno e presente dei dannati, ove moriamo mentre viviamo e viviamo mentre siamo morti.

Dimentichi della bontà e della gioia di una società comunitaria, ci siamo precipitati in un mondo “individualista”, centrato sull’individuo singolo e solo o su rare interazioni tra pochi, cui l’egoismo porta a essere instabili. Abbiamo dato vita a una “comunità estetica” (di spiriti), sempre più legata al mondo dell’apparire, fatta da attori senza parte sempre alla ricerca disperata di un’appartenenza che ci viene quotidianamente promessa e costantemente e brutalmente negata, traducendoci in una diversità omogenea di comunità fondate sul non essere e non appartenere e su un insieme amorfo di disperate anime solitarie. Misantropi in piazza.

Comprendiamo la collocazione di ognuno nello spazio socioculturale: le sue stratificazioni sociali. “Fammi sentire come parli e ti dirò chi sei”. Vecchio proverbio per specificare che, con i nostri discorsi, anche inconsapevolmente, indichiamo chi siamo. Cosa vogliamo, chi vogliamo essere, le nostre aspettative, dove andiamo, cosa crediamo di essere o vogliamo apparire, cosa pensiamo degli altri e del mondo che ci circonda. Trasmettiamo informazioni palesi e occulte, qualifichiamo noi stessi e gli altri. Ecco perché è necessario ascoltare per capire, “bisogna essere tanto veloci nell’ascoltare così come tanto lenti nel parlare”. Conoscere una persona e il suo stato, le sue devianze e virtù, così per interagire con essa e creare un rapporto interpersonale.

Se non è chiaro dove si viene e dove si va, quali sono le cause e quali sono gli effetti, cosa viene prima e cosa poi, si corre il rischio di smarrire l’orientamento e ritrovarsi nel caos sociale ed esistenziale, prigionieri del nostro presente e, per quanto ci sforziamo di volergli sfuggire, lui è qui. Abbiamo nuovamente costruito la nostra torre di Babele. La nostra arroganza, ancora una volta, ci porterà nel mare dell’incomunicabilità tra gli uomini.

Caro pensatore attento,

in vari luoghi, tra un caffè e l’altro, ho avuto modo di discutere con tanti  su questioni e problemi di varia natura che affliggono l’Italia e la società civile moderna tutta in questo particolare momento. Cosa dicono, cosa pensano, cosa non dicono, ma vorrebbero se solo qualcuno li ascoltasse, quali i loro sentimenti e aspettative?

Tanta rabbia, senso di solitudine e impotenza, abbandonati alla resa ma pronti a dar foga a ogni alito di entusiasmo e riscatto.

Non chiedono tanto, ma nessuno più neppure li ascolta. Il quadro che ne viene fuori è triste, confuso e assordante.

Differentemente da quelle di antico regime, la società moderna, nata dalla rivoluzione francese e caratterizzata dall’uguaglianza di diritto (ahimé! Non di fatto) di tutti i suoi membri, al di là del ceto o classe. “Tutti sono uguali di fronte alla legge”. Principio fondamentale cui dovrebbe ispirarsi ogni società “civildemocratica”. Ma non tutti godono degli stessi diritti e privilegi. Alcuni di questi sembrano ascritti, altri acquisiti; resta il fatto che oggi vi sono differenze tra varie classi sociali, non solo di fatto, ma anche di diritto. La legge è fatta applicare da uomini, che se stolti (non savi) rendono vano ogni principio di giustizia e uguaglianza.

 Mancanza di cultura sociale ed eccesso di cultura tradizionale atavica.

“La mancanza di un libero tessuto associativo e,  al contrario, la forza eccessiva dei legami famigliari o del clientelismo (cioè dei legami personali di dipendenza da un personaggio locale ed influente) sono causa di mancanza di uno sviluppo di autonoma personalità, sia individuale che collettiva, mancanza di coscienza civica, segno delle difficoltà di modernizzazione del Mezzogiorno”.

Così nascono le sottoclassi sociali (costituite da coloro che si trovano a vivere in uno stato permanente di disagio e povertà e che dipendono, esclusivamente, da assistenza pubblica e privata), causa e merito del proliferare di subculture.

“Staggiti” in patria. La sottoclasse “meridionale”, voluta e costituita dai Governi dall’Unità in poi, “è figlia indisciplinata di una padre che si prodiga nel viziarla: il welfare state. Non aiuta la popolazione povera, arretrata o svantaggiata, a darsi da fare per uscire dal suo stato, ma ha favorito il formarsi di atteggiamenti di rassegnazione, di demoralizzazione, di cinismo, comodità e compiacimento. Il tutto per tenerli buoni, ricevendone voti e potere che manifestano nei fabbisogni personali di chi li ha elevati”. “Un cavallo per il mio regno”. Forse è il caso di dire: “una (misera) pensione in cambio di una poltrona.

LA SCHIAVITU’ GLOBALE

In questo periodo di contingenze economiche e problemi di ogni tipo, specie esistenziali, si tende ad allontanarci dalla parte buona di noi, per farci abbandonare a reazione più o meno biasimevoli e comunque lontane dalla  nostra vera essenza, forse solo assopita. “Negli ultimi secoli un’evoluzione esponenziale ci ha portati al punto che il nostro ego prova come un senso di sazietà. Siamo arrivati ad un livello di saturazione. Abbiamo smesso di evolverci socialmente e siamo giunti al punto nel quale non vogliamo più avere famiglia, temiamo l’amore e gli affetti sinceri, siamo stufi della vita. L’umanità è depressa. Il tedio è una costante della nostra quotidianità, e non troviamo più il senso delle e nelle cose”.

Sotto la miseria dell’oppressione globale, la necessità impellente di trovare in se stessi rifugio dall’avvelenata vita materiale. Abbiamo ricacciato nell’empireo i nostri spiriti buoni e la memoria dei nostri avi. Privi di soccorso, smarriti nelle speculazioni empiriche, non abbiamo alcun modo di sfuggire all’abisso ove ogni disgrazia ci ha piombati.

Così, metà della nostra vita ci affanniamo per costruire egoisticamente ricchezza e potere; l’altra metà per apparire e difendere ogni conquista e ricchezza. Infine, per rendersi conto, troppo tardi che abbiamo non vissuto per noi e siamo infelici.

La storia è la didascalia della natura, anche umana. La nuova decadenza de “l’impero globale ancora una volta contraddirà l’ “evoluzione culturale”, dimostrando che lo sviluppo non equo, veloce ed eccessivo non è un processo unilaterale e progressivo. La storia ci insegna che la storia fa passi indietro.

Lontani dalla realtà della semplice bellezza, non resta altro che l’abbandono alle chimere. Un ‘ingannatrice corsa per raggiungere ogni meta per via diversa. Sotto cieli inesistenti,mondi immaginari, sognatori di avventure finiranno per cadere, senza sonno, in un mondo così reale.

Chi vorrebbe un ritorno alla filosofia bucolica e agreste per salvarci dall’inquinamento materiale e morale, dalla corruzione morale e nuove malattie (mali moderni). Coltivare la terra, e ancor prima rispettarla. Vivere di ciò che si produce, fare comunità. Abbattere le grandi città causa di perdizione, ove le costanti antropologiche dell’uomo si perdono, e rivivere in comunità autarchiche. Trovare se stessi nel rispetto dei valori umani e della natura. Solo così salveremo noi stessi e i nostri figli per un mondo migliore.

Nel Rinascimento  la società sognava: un uomo libero, artefice del proprio destino, per realizzare un mondo migliore per tutti. Progresso, libertà, democrazia, Stati Nazionali. Ci si chiede: dopo 500 anni si è poi realizzato quel sogno rinascimentale? O sono solo cambiati i confini e gli elementi costitutivi della prigione, della povertà, dell’oppressione? Diverse disuguaglianze sociali e ingiustizie sono cresciute con il progresso (“il progresso ti spoglia”) economico, sociale, scientifico-culturale. Non si è realizzata la felicità.

La società moderna attraversa  una fase di regressione economica e culturale. E’ collassata su se stessa, creando forti divari e spaccature socio-economiche. L’uomo comune è regredito a cacciatore-raccoglitore, proprio dell’era neolitica, qualificando la caccia con la violenza e la raccolta con il furto, l’espediente e il malaffare (mossi da impellente necessità e bisogni primari –sopravvivenza propria e del gruppo famigliare- ritengono tutto oggetto di caccia e raccolta; cacciano e raccolgono ovunque ne trovano, non riconoscendo più alcun valore etico, né della proprietà,  e della legalità dello Stato nazione liberaldemocratico).

Gli è stata negata, ancora una volta, la possibilità di essere, una società evoluta, razionale, interattiva, empatica, empatica, civile, industriale/sociale o capitalista; per alcuni neanche una società di “allevatori/agricoltori” (condizione arcaica dell’uomo preistorico, dopo la sua prima evoluzione dal grado di cacciatore-raccoglitore), poiché non hanno di che produrre, allevare, coltivare.

 

Proposta di legge su concorso in incidente stradale.. di Antonio Piccoli

Incidente

Antonio Piccoli, avvocato detenuto a Catanzaro, è da poco un nuovo amico di questo Blog.

Mente acuta e riflessiva.. si è interrogato su varie tematiche attinenti il sistema giudiziario. Ha pure voluto dire la sua circa la modalità con la quale potrebbero essere affrontate certe fattispecie criminose. Come nel caso di questo pezzo che pubblico oggi.

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Al di là delle sofferenze personali, quanto costano gli incidenti stradali in termini economici e di vite umane?

Per arginare il fenomeno degli incidenti stradali, anche mortali, provocati da conducenti che si cimentano -anche incapaci di intendere e di volere in quel momento- alla guida di un’auto sotto l’effetto di sostanze alcoliche o stupefacenti, si potrebbe:

estendere il reato per concorso in incidente o omicidio colposo stradale anche a coloro che sono presenti in auto, che non ne hanno impedito la guida o denunciato nell’immediatezza  il conducente che si è messo  alla guida di un auto sotto l’effetto  di sostanze stupefacenti o dopo avere assunto alcol. Questi dovrebbero avere l’obbligo di impedire, anche denunciando immediatamente allertando le forze di P.G., che qualcuno si è messo alla guida di un’auto in stato alterato, così come  ne risponderebbe per concorso chi in auto fa uso di sostanze stupefacenti o assume alcol. Il conducente ne risponderebbe sia per omissione di denuncia che per condotta attiva in concorso.

Inoltre, si potrebbe pensare di dotare le auto di un rilevatore (una voce di scatola nera) di sostanza stupefacente o alcol, collegato a una centrale presso la Polizia Stradale o altro organo, che avvisi la centrale ogni qualvolta in un’auto venga rilevata presenza di sostanze stupefacenti o alcoliche. In questo caso il segnale verrebbe dato alla centrale che lo trasmetterebbe alle pattuglie stradali che intercetteranno l’auto segnalata e, in caso non si riuscisse a fermare l’auto, verrebbe poi denunciato il proprietario o possessore. E se qualcuno vorrebbe tappare o manomettere la “scatola nera”, ne verrebbe dato segnale alla centrare e le pattuglie potrebbero intervenire o ne seguirebbe denuncia per la manomissione o il tentativo.

Lettera di Antonio Piccoli (prima parte)

Franz

Alcuni giorni fa mi giunte una lettera di un detenuto che ci scrive per la prima volta, Antonio Piccoli, recluso a Catanzaro.

Dalle parole che scrive si capisce che ha tanto da raccontare.

A partire da una lunga lettera che arriva a toccare anche la sua vicenda e che, per permetterne una migliore leggibilità, ho distinto in due parti. Di cui questa è la prima.

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“Il vero male è l’indifferenza” diceva Madre Teresa

In risposta a quanti non osano ascoltare, ma solo giudicare:

contro ogni barriera e pregiudizio, un confronto è segno di civiltà e una prospettiva di apertura sociale per tutti.

I detenuti, definitivi o in attesa di giudizio,  colpevoli o innocenti che siano; non più malati da circoscrivere e isolare, ma persone cui va garantito rispetto, dignità, partecipazione sociale e pari opportunità in vista di una loro redenzione e reinserimento; valori legati alla tutela più ampia degli esseri umani: “recidere il reo che può essere utile” è medievale.

La conoscenza nasce dal e nel confronto. Voglio condividere e rispettare ogni opinione, critica e disappunto, ma non se dettati dall’ignoranza.

Qualche tempo fa ho avuto modo di leggere (tra i tanti moti di solidarietà e positivi) un commento sul “blog di Corigliano”,  in risposta ad un mio precedente articolo pubblicato sul quotidiano “L’ Ora della Calabria”, ove qualcuno ha scritto che “le carceri non devono essere hotel… ma luoghi di espiazione… che non bisogna lamentarsi… “.

Condivido, non devono essere un premio e una comodità. E se fossero solo umani?

“… sono luoghi malsani e morbosi, dove la gente impara a morire e sottomettersi… dove non possiamo dimenticare la nostra storia… anche di un profondo Sud.. e la nostra Cultura, che sono soltanto altre forme di violenza, dove è facile deridere cose e persone; dove la gente è capace di molto amore, affetto, calore umano e generosità. Ma, mio Dio, quanto sappiamo odiare! Ogni due, tre ore esaminiamo il passato, lo rispolveriamo e lo gettiamo in faccia a qualcuno”.

Ogni male non giustifica atrocità, altrimenti saremmo da biasimare alla pari dell’assassino, se così fosse. E chi di noi non ha mai peccato o sbagliato. Tutti meriteremmo atroci sofferenze, di vivere in un mondo simile al girone dei dannati “dantesco”, ove tutti dovremmo morire per colpe vecchie e nuove.

Rabbia d’egoismo, solitudine e tanto altro ancora. E’ ciò che ci porta a scatenarci, in mancanza di empatia, contro chiunque. Non è l’odio o la ragione che ci portano ad essere aggressivi, in tutte le sue forme (anche verbali), ma il pregiudizio, che altro non è se non degenerazione dell’ignoranza: abbiamo abbandonato la carità nel nostro triste mondo, di questo mondo allo sbando, ove dell’edonismo abbiamo fatto la nostra filosofia di vita, sempre alla ricerca della forma e non dell’essenza, dell’apparire e non dell’essere; ove i valori li cerchiamo nelle cose materiali e non  nello spirito.

Al di là della mia personale condizione e situazione (e se fossi veramente innocente così come mi professo? Chi sta fuori e mi conosce bene, sa. Se fosse vero quanto contestatomi, l’ingiustizia sarebbe ancora più grave, poiché con centinaia di loro ho vissuto e mi sono accompagnato, ho condiviso gioie, speranze e dolori. Tutti questi sarebbero complici o stupidi?).

E’ vero, la galera non deve diventare divertimento: espiazione di pena? Sofferenza? Auotodafé o cosa?

Così com’è pur vero che “nessun uomo è così cattivo da non poter essere salvato”, e non l’ho detto io, benché mi pregi di recitarne la citazione e di condividerne il pensiero; ma Gandhi (uno sciocchino qualsiasi che ha contribuito a fare la storia di una grande Nazione, il cui esempio, la sua lotta, resteranno immortalati nelle menti e nei libri di storia per i tempi avvenire).

D’altronde hanno ragione loro: qui non è peggio che stare fuori, tra i salotti dell’ipocrisia. Qui i muri sono sozzi, lì tutto è sudicio. Qui topi e scarafaggi crescono in terra, lì camminano eretti con forma antropomorfa. Qui siamo troppi in una cella, lì siamo ingombranti, pronti a toglierci lo spazio e soffocare il nostro vicino.

Ho vissuto un tempo di cui non andare troppo fiero, a tratti vergognoso. Una società torbida, ove l’empatia e la carità lasciano il posto all’egoismo e alla perdizione dell’animo, abbandonando ogni virtù e l’insegnamento dei nostri genitori, certamente più saggi di noi. Ma questo è il mondo che ho trovato e che, anche mia colpa, ho imparato ad accettare per comodo. Tutti noi siamo colpevoli del nostro tempo, dei suoi mali, ove la virtù riecheggia nelle nostre anime come il frangersi dei flutti sulla battigia.

Non lasciamo che i nostri poco rifulgenti incarnino gli altrui ideali. Rivendico al Governo, fatto di uomini e istituzioni, la funzione che fu dei nostri padri, didattica educativa. Ma esso è semina di vizi, focolaio di corruzione, ricettacolo di banditi. Un buon Governo fa buoni cittadini, e buoni cittadini fanno grande una Nazione, cui ognuno deve ispirarsi.

Sono figlio del mio tempo e al mio tempo mi sono adeguato con silenzio. Chi direttamente, chi col proprio silenzio, tutti siamo complici e colpevoli. Una parola detta è un silenzio rotto: basta tacere, sempre pronti, col nostro falso perbenismo, a scagliarci contro chiunque, pur ignorandone ogni colpa. Se ciò che fuori ho lasciato è gente  riottosa, pronta a giudicare e mossa da rabbia, allora ho lasciato il male per trovare il meglio: me stesso.

Dimentico della bellezza di una vita morigerata, ho vissuto lascivo e licenzioso, non esente da vizi, ma ciò non giustifica quanto mi sta accadendo. Ho lasciato un mondo che ho trovato e che col nostro silenzio abbiamo fomentato, pronti a giudicare e a sprizzare veleno sulle altrui disgrazie.

Prima di indagare sui mali degli altri, correggiamo i nostri; il giudizio temerario è figlio della superbia e dell’invidia, frutto di superficialità, che fa esagerare i difetti altrui.

Non vi è giustizia che valga il sacrificio di una sola vita innocente: qualsiasi innocente può essere diffamato, ma convinto di reità non può che essere colpevole.

Se chi tanto cinicamente ha puntato il dito, avesse solo ascoltato, ne converrebbe con me che “la pena non è sempre equa; dell’incapacità dei magistrati; dell’incapacità della pena a rieducare; della volontà della legge e dei giudici a punire, non a reinserire”.

Io, “… angaria da un infame e premeditato sopruso. La vergognosa ingiustizia diviene duplice, quando capisci che (viene dalla legge) mi viene negata la protezione della legge. Ma si vuol (si deve) combattere a ogni prezzo simili iniquità giudiziarie e vivere le proprie reazioni come un dovere di fronte al mondo (dovere che dovremmo sentire tutti, colpiti e non). Ciò che  ne consegue è “il senso della giustizia ciò che fa, della vittima, un brigante e un assassino”.

In effetti, “il senso dell’ingiustizia, sopportata ma non riconosciuta, prima ancora che non punita, sta fra le nostre leve interiori più imperiose”.

Io, colpevole di essere innocente, punto il dito e accuso:

Gent.mo lettore, allego due lettere che avevo intenzione quanto prima di fare pubblicare, con le quali voglio esternarle alcuni miei pensieri sul controverso tema della giustizia, e alcune denunce e sentimenti che la mia travagliata e tragica situazione mi impongono.

Da oltre tre anni e otto mesi soffro ingiustamente una misura cautelare carceraria, ma di ciò no vi voglio tediare.

Oggi la paura di vivere ci toglie un tratto di umanità; la paura della legge ci uccide più del male e della fame; il problema è volere capire dov’è e qual’è il male.

Se sapessimo ogni qual volta la cosa giusta da fare saremmo dei saggi.

Voler apostrofare a tutti i costi gli italiani, quei “demoni e santi”, è un ‘offesa alla nostra memoria e alla storia, un vilipendio alla verità: al Sud i demoni, sterminateli.

Così, ancora una volta, dopo oltre un secolo e mezzo, in questa “terra di confine” non si applicano principi costituzionali e democrazia; oggi come allora l’Italia civile è divisa in due. Il Mezzogiorno d’Italia, e la Calabria in particolare, lo si vuole sottomesso e oppresso, senza speranza né futuro. Così come nel Risorgimento e ai tempi del “brigantaggio”; la “Legge Pica” viene applicata da “Magistratura Sabauda”, Tribunali speciali  e processi sommari ci giudicano e condannano: come si può pensare di reinserire e rieducare una vittima di ingiustizia soggetta a soprusi?

Oggi sul fenomeno delle mafie, come allora sul fenomeno del brigantaggio, le verità profuse sono nebulose e vengono incartate da processi farsa ove appare solo un barlume di verità. Ai tempi dell’Unità, se brigante era un meridionale esso era un criminale da trattare alla pari della peste, se brigante era un emiliano, esso era considerato “cortese”, così come definito da Pascoli il brigante Passatore: “il Passatore cortese”; anche la letteratura ci è avversa. Ma la verità non è come la polenta: se la si mangia al Nord è buona, e se la si mangia al Sud è… la verità deve essere unica al di là da chi la si scorga o la si racconti ed accerti.

Non mi stancherò mai di recitare una celebre citazione di Aristotele: “preferire la verità è un dovere morale”, ed io aggiungo che a essa non si deve pervenire che servendosi di vie oneste. Ma la verità spesso viene travisata e propagandata a piacimento dello scrivente sul martoriato Sud Italia.

Ma al Sud sono davvero tutti mafiosi e collusi? Anche chi non lo è? I fatti sembrerebbero non affermarlo, almeno non più di quanto è nel resto del globo, ma ciò poco importa: ad affermarlo e accertarlo, con metodi autoritari, basta la sola volontà dei Giudici. Soppressa la Costituzione va di scena la repressione poliziesca, la caccia all’uomo è scatenata e il luogotenente Cialdini avrà di che deliziarsi.

(FINE PRIMA PARTE)

 

“…

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